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Ambiente

La gestione dell'acqua del Mare d'Aral

La gestione dell'acqua del Mare d'Aral


Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è felicitato per la decisione dei Paesi del bacino del Mare d’Aral (Kazakistan ed Uzbekistan che se lo dividono territorialmente e Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan) di aprire finalmente un dibattito sulla gestione dell’acqua che diventa sempre più critica nell’area a causa dei cambiamenti climatici.
Illustrando un rapporto del Consiglio di sicurezza dell’Onu al Summit degli Stati dell’International Fund for Saving the Aral Sea, riunito ad Alma Ata, in Kazakistan, Ban Ki-moon ha detto di essere incoraggiato dal fatto che una tale questione ecologica venga discussa al più alto livello. Il Fondo internazionale ha una posizione ideale per facilitare lo sviluppo di soluzioni benefiche sostenibili tra i Paesi dell’Asia centrale. Secondo Miroslav Jenca, rappresentante speciale dell’Onu per l’Asia centrale ed a capo del Centro regionale per la diplomazia preventiva della regione, “Tutte le discussioni sul Mar d’Aral devono riconoscere la minaccia crescente dei cambiamenti climatici. Le Nazioni Unite pensano che la volontà dei dirigenti di trovare delle soluzioni comuni in questo campo sia estremamente importante”.(...)

L'articolo:

http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=19319


Informazioni di base:

http://it.wikipedia.org/wiki/Lago_d%27Aral

http://en.wikipedia.org/wiki/Aral_Sea


Altri articoli:

http://lanuovaecologia.it/view.php?id=10908&contenuto=Notizia


La lezione video:

http://www.desertarte.enea.it/lezioni.php?tid=40


I video:

http://www.youtube.com/watch?v=X7_GfoAbYQw&hl=it

http://www.youtube.com/watch?v=EAUyddi_5j8&feature=related

http://video.google.it/videosearch?hl=it&rlz=1B2GGGL_itIT206IT208&q=Lago%20d%27Aral&um=1&ie=UTF-8&sa=N&tab=wv#q=Aral+Sea&hl=it&emb=0

http://it.euronews.net/2009/06/04/vento-avvelenato-dal-lago-di-aral/

 

 

 

 


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IISD Report: Climate change poses threat to peace and security in Middle East

IISD Report: Climate change poses threat to peace and security in Middle East



A new report developed by the International Institute for Sustainable Development (IISD), commissioned by The Danish Ministry of Foreign Affairs, being launched this week in the Middle East, has found that climate change may hold serious implications for peace and security in the Levant.

Drawn from extensive consultations and workshops throughout the region, augmented by desk research, the report makes three key points:

1. The legacy of conflict in the countries of the Levant undermines the ability of countries and communities in the region to adapt to climate change. The history of hostility and mistrust in the region greatly complicates efforts to collaborate over shared resources, to invest in more efficient water and energy use, to share new ways to adapt to climate change and to pursue truly multilateral action on climate change. Ultimately, climate change presents an even more serious challenge than it would otherwise.

2. The report shows that climate change itself poses real security concerns to the region. It may increase competition for scarce water resources, complicating peace agreements. It may intensify food insecurity, thereby raising the stakes for the return or retention of occupied land. It may hinder economic growth, worsening poverty and social instability. It could lead to destabilizing forced migration, increased tensions over refugee populations, the increased militarization of strategic natural resources and growing resentment and distrust of the West.

3. Nevertheless, the report points out there is much that national governments and authorities, civil society and the international community can do address the challenge of climate change, and in so doing, address some of the threats it may pose to regional peace and security. They can promote a culture of conservation in the region, help communities and countries adapt to the impacts of climate change, work to reduce greenhouse gas emissions and foster greater cooperation on their shared resources.


The Press Release:

http://www.iisd.org/media/2009/june_2_2009.asp


The Report:

http://www.iisd.org/pdf/2009/rising_temps_middle_east.pdf

 

 





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“Capire l'ambiente attraverso l'incrocio dei saperi – Il contributo della scienza e dell'arte”

ENEA - Progetto “DESERTARTe”

Educazione, formazione, sensibilizzazione dei giovani ai temi della lotta alla desertificazione

 

La lotta contro la desertificazione e al degrado del suolo, come tutte le problematiche ambientali globali, investe aspetti disparati del nostro essere nel mondo, del modo in cui conviviamo con il territorio e con le risorse naturali. La desertificazione può essere analizzata a vari livelli, da quello internazionale, nazionale, sub-regionale, fino al locale. Tuttavia in questa distinzione manca il livello minimo rappresentato dalla mente umana, quale “luogo” indivisibile ma fondamentale dove si formano le idee, le convinzioni, le visioni del mondo che determinano in modo cruciale il tipo di rapporto che l’uomo instaura con l’ambiente. L’educazione allo sviluppo non deve escludere stili cognitivi che facciano leva sulla fantasia e sulla percezione sensibile e soggettiva.
La letteratura e l’arte in generale con i loro codici espressivi intensi e totali possono prestarsi anche meglio del linguaggio tecnico a veicolare nei giovani non solo la sensibilità al problema, ma anche una forma più interiorizzata di conoscenza. I temi che le voci letterarie, in prosa o in poesia, in qualunque angolo del mondo riescono a mettere in luce, ne favoriscono l’acquisizione corretta e partecipata, ma anche eticamente ed emotivamente sostenuta. Il mondo dei giovani appare poco sensibile a tale problematica e mobilitato quasi esclusivamente da una generica lotta ideologica contro la globalizzazione, accompagnata da scarse conoscenze ambientali, geografiche, biofisiche, antropologico-culturali. Tale percorso di sensibilizzazione intende allontanarsi dalla spettacolarizzazione delle catastrofi ambientali, presenti o incombenti, la quale molto spesso soggiace alle regole e ai tempi dello strumento divulgativo mediatico che mal si presta a cogliere gli aspetti scientifici ancora controversi o quei dettagli significativi ma difficili, spesso affidati a strumenti dalla voce più bassa, rappresentati dalla stampa scientifica specialistica. Troppo spesso le spettacolarizzazione si limita a veicolare informazioni generiche, che non riescono a suscitare né una partecipazione emotiva duratura, né una solida conoscenza dei temi, mentre gli articoli e i rapporti scientifici, sono vincolati ad un linguaggio che può risultare freddo e poco comunicativo. Un approccio e una visione improntati al catastrofismo non fanno altro che rafforzare il processo di estraniazione al problema, inducendo all’adozione di un atteggiamento fatalistico e sostanzialmente improduttivo verso questi temi.(...)

Il Progetto:

https://www.mase.gov.it/pagina/progetti-pilota

Il sito del Progetto:

http://www.desertarte.enea.it/index.php

 

Video Lezione

Capire l'ambiente attraverso l'incrocio dei saperi – Il contributo della scienza e dell'arte”

 

Prof. Fabio Caporali – Docente di Ecologia (Università della Tuscia)

 

Il video:

http://www.desertarte.enea.it/lezioni.php?tid=21&vid=25

 

 

 

 

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“The End of the Line”: Film warns of 'world without fish'

The End of the Line”: Film warns of 'world without fish'


They are dramatic images to make a dramatic point. The End of the Line is a film packed with footage of big-scale fishing in oceans around the world. The work is efficient, modern, industrial and, according to the film makers, unsustainable. Amid doom laden music, the narrator tells us: "Our view of the sea has always been that it is huge, beautiful and inexhaustible. The oceans are the common heritage of all mankind and for billions of years they have been full of life." But that, according to the film-maker and journalist Charles Clover, is changing. The world's ocean environment - and the fish in it - is facing catastrophe.

"These huge resources which we once believed to be renewable, that our whole human history has led us up until now to believe are renewable, are not renewable any more because of what we are doing to them. And so our entire philosophical approach has to change. It is not going to be the same in the future as it was in the past." The documentary claims to be to the marine environment what “An Inconvenient Truth” was to global warming. The basic problem, says the film, is the huge over-capacity of the modern fishing industry. (...)

The article:

http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/8078234.stm


Other articles:

http://www.telegraph.co.uk/earth/earthnews/5402266/An-Inconvenient-Truth-for-Fish.html

http://www.worldfishing.net/news/news_story.ehtml?o=2952

http://blogeko.libero.it/2009/pesca-insostenibile-esce-il-film-documentario-the-end-of-the-line-il-trailer/


The website of the film:

http://endoftheline.com/

 

 



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Clash of cultures: The conflict between conservation and indigenous people in wild landscapes

Clash of cultures: The conflict between conservation and indigenous people in wild landscapes



In most human conflicts, there are good guys and bad guys. This is not so in the history of global conservation, which is at least partly a story of good guy versus good guy. The major contestants in the struggle to protect nature and preserve biological diversity may seem to be transnational conservation organisations on one side and rapacious extractive industries on the other. But there is a larger, more lamentable conflict: the one between transnational conservation and the worldwide movement of indigenous peoples - good guys both.

These two forces share a goal that is vital to life on earth - a healthy and diverse biosphere. Both are communities of integrity led by some of the most admirable, dedicated people alive. Both care deeply for the planet and together are capable of preserving more biodiversity than any other two groups on it. Yet they have been terribly at odds with one another over the past century or more, violently so at times, mostly because of conflicting views of nature, radically different definitions of "wilderness" and profound misunderstandings of one another's science and culture. (...)


The article:

http://www.guardian.co.uk/environment/2009/jun/03/yosemite-conservation-indigenous-people

 

 



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Amazzonia: schiavi del consumismo

Amazzonia: schiavi del consumismo


Dall’alto è facile trovarli. Con un piccolo aereo, seguendo le colonne di fumo che salgono dal manto compatto dell’Amazzonia, si arriva alle radure strappate a forza alla foresta. Dove fino a ieri si alzava un mondo verde alto 50 metri, pieno di bellezza e di acqua, ora c’è una distesa piatta destinata a inaridirsi nel giro di pochi anni: un luogo senza futuro. Ed è qui che vive chi non ha futuro, gli schiavi del ventunesimo secolo condannati a esaurirsi assieme alla terra da cui non possono scappare. L’ultima inchiesta di Greenpeace, costata tre anni di lavoro sul campo e sulle mappe satellitari, non è solo una denuncia dettagliata delle responsabilità dei giganti del mercato della carne che trasformano in hamburger il polmone del mondo. E’ un racconto da brivido, una sorta di Gomorra tropicale in cui si descrivono gli assalti delle squadre armate, tollerate per decenni dal governo brasiliano. Squadre che spadroneggiano in un’area grande quanto un continente uccidendo indios, sindacalisti e sacerdoti e sostituendosi al potere dello Stato.(...)

Non si tratta di casi eccezionali. Secondo la Dirty List pubblicata nel febbraio scorso, gli schiavisti sono concentrati soprattutto nel Mato Grosso e nel Parà e le loro vittime sono migliaia. La denuncia è confermata da un rapporto Onu (UN report GeoAmazonia) in cui si afferma che tra il 1960 e il 1970 lo schiavismo è riapparso in Brazile «come conseguenza dell’espansione della moderna agricoltura in Amazzonia. L’agro business su larga scala ha provocato una pesante pressione sulle risorse naturali della regione, accelerando i processi di deforestazione e aumentando il lavoro in schiavitù». Un disastro che, secondo Greanpeace, ha nomi e cognomi. Nel rapporto si citano tre giganti del mercato della carne e della pelle brasiliani: Bertin, Jbs, Marfrig. Sono loro l’anello di collegamento tra il disastro sociale e ambientale che sta travolgendo l’Amazzonia e il mondo che guarda con raccapriccio alla violenza degli schiavisti ma finisce, più o meno inconsapevolmente, per comprare i prodotti frutto di quella violenza.(...)


L'articolo:

http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=12860


Altre fonti:

http://semprevigili.blogspot.com/2009/01/schiavitu-e-deforestazione-in-amazzonia.html

http://schiavieservi.blogspot.com/2009/05/in-nome-della-foresta.html


L'inchiesta di Greenpeace:

http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/rapporti/macello-amazzonia.pdf


Il nuovo rapporto di Survival:

http://www.survival.it/notizie/4599


Informazioni di base:

http://it.wikipedia.org/wiki/Amazzonia


Video:

http://video.google.it/videosearch?q=amazzonia&hl=it&rlz=1B2GGGL_itIT206IT208&um=1&ie=UTF-8&sa=N&tab=wv#

http://www.youtube.com/watch?v=BHiXlyMhvfY&hl=it

http://www.youtube.com/watch?v=oxAHei3V5wA

http://www.youtube.com/watch?v=fRSyyM7Wuw4&hl=it

 

 




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