• Ambiente

    Ambiente

    Environment

  • Agricoltura

    Agricoltura

    Agriculture

  • Salute

    Salute

    Health

  • Diritti Umani

    Diritti Umani

    Human Rights

  • Nutrizione

    Nutrizione

    Nutrition

icone agricol

icone NUTR

icone salute

icone DIRITTI

icone ambiente

icone VIDEO

Agricoltura

Raccolta di firme per una legge sull'Agricoltura Contadina

CIVILTÀ CONTADINA LANCIA OGGI UFFICIALMENTE LA

Campagna popolare per una legge che

RICONOSCA L'AGRICOLTURA CONTADINA E LIBERI IL LAVORO DEI CONTADINI DALLA BUROCRAZIA

Oggi 17 gennaio 2009 parte ufficialmente una nuova campagna con raccolta di firme organizzata da Civiltà Contadina assieme ad altre quattro associazioni (Consorzio della Quarantina, CIR, Antica Terra Gentile, Rete Bioregionale Italiana) per rendere possibile la rinascita della figura del contadino e della contadina. La decisione di promuovere questa campagna è stata presa a metà estate 2008 e ora diventa operativa e coinvolge tutti i soci. Vi chiediamo di partecipare firmando e facendo firmare la petizione contenente la proposta di legge che rappresenta il primo passo di questa campagna popolare. Trovate tutto sul sito www.agricolturacontadina.org

 

Contadini: un'altra specie in estinzione

Da quando la figura di chi lavora la terra è stata istituzionalizzata e resa, da anni di leggi, definitivamente e regolamente "imprenditore agricolo", le piccole e piccolissime fattorie rurali hanno gradualmente ceduto il passo: chi chiudendo, chi vendendo, chi evolvendosi in azienda più grande per sopravvivere.  Altre cose sono cambiate e hanno preso forma e nomi nuovi. La terra fertile non esiste più, ora è chiamata, in burocratese, SAU (superficie agricola utile).  Assieme al trattore e ai suoi attrezzi l'agricoltore non può fare a meno di avere al suo libro paga un commercialista, un esperto di finanziamenti statali, un geologo e altri professionisti vari che avallano le sue pratiche firmandole, perché la burocrazia è diventata parte della sua attività lavorativa quotidiana. Il suo mercato non è più la piazza di paese o di rione ma è la "filiera", corta o lunga che sia, ma di rado l'agricoltore vede il viso di chi mangerà i suoi prodotti. Le sue sementi, di "altra" qualità ibrida, non sa nemmeno che genetica contengano e non le può possedere o riseminare ma le deve ricomprare ogni anno. E se usa antiparassitari e concimi chimici dovrà possedere una profonda conoscenza di studi farmaceutici per distrigarsi nella lettura delle schede tecniche  e comprendere tutti gli effetti collaterali che hanno quei prodotti sulla sua salute. Pochi sanno ad esempio che molti di questi portano all'infertilità. Ogni fase del suo lavoro è regolata da articoli di legge che una commissione agricoltura che si riunisce a Bruxelles, fatta di persone che non sanno "cos'è un campo di grano", gli hanno scritto. Tutto ciò ha prodotto una nuova generazione di lavoratori della terra, profondamente diversa da quella del passato, che non può fare a meno di ampie superfici coltivate con una sola specie (monocoltura) e che cerca di vivere producendo molto ma a basso costo, anche perché i loro clienti, spesso grandi gruppi commerciali, di più non offrono e il prezzo lo fanno loro.

Tutto ciò ha chiuso le porte alla contadinanza di piccola scala, quella che ha a disposizione piccoli appezzamenti e ha solo "mercato di piccola scala" per i suoi prodotti. L'agricoltura contadina e i contadini hanno semplicemente cessato di esistere, sostituiti dagli impreditori agricoli che vivono anche grazie ai finanziamenti della comunità europea. Noi di Civiltà Contadina vorremmo far rinascere sia i contadini sia un modello nuovo di agricoltura contadina, non per nostalgia, non per "tornare alle origini", non perchè crediamo che "gli asini volano". Siamo invece sicuri che si può fare di meglio sui campi di ciò che  si fa ora e se abbiamo deciso di lanciare questa campagna  popolare è perché crediamo che, come noi, la pensino in tanti. Infatti l'agricoltura industriale attuale ha dato fin troppo prova di essere un insuccesso quasi totale. Pensiamo solo alla carenza di cibo nel mondo dovuta in gran parte alla importazione di derrate alimentari dai paesi più poveri a quelli più ricchi che sono incapaci di essere autosufficienti sul piano della produzione agricola interna, Italia compresa. Pensiamo alle continue scoperte di cibi posti in vendita già avvelenati o adulterati (carni alla diossina, cereali ammuffiti, influenza dei polli, latte alla melamina solo per citare quelli successi e i più noti dell'ultimo anno) che sono il risultato dell'agricoltura industriale. Pensiamo alla differenza impressionante che esiste fra il prezzo pagato al produttore agricolo e quello che costa al cliente finale per via di un mercato intermediario pervertito. Pensiamo all'uso di sementi geneticamente modificate e ai tanti prodotti agricoli tossici immessi nell'ambiente di vita umano solo per avere produzioni a norma dei regolamenti di mercato internazionali. Pensiamo infine alla perdita di sapore dei prodotti da supermercato e alla perdita di poesia dei campi di pianura ormai ridotti a tavole piatte a perdita d'occhio.

La Campagna per l'agricoltura contadina guarda al futuro, a far rinascere una nuova generazione di persone che lavoreranno la terra dove abitano e vivono. Guarda  a persone che si vogliono riappropriare del nome di contadino. E per ridare contadini alla terra siamo partiti da poche e semplici proposte che con il tempo e le energie di tutti diventeranno realtà. Anni fa alcuni di noi che ora organizzano questa campagna hanno profuso energie per sostenere leggi a protezione e diffusione della biodiversità delle sementi. Oggi tutte le leggi auspicate sono state tutte promulgate assicurando così piena legaità alle sementi della biodiversità rurale. Per questo motivo crediamo che avremo da aspettarci un'altra vittoria con questa Campagna Popolare, quella di rivedere le facce dei contadini ripopolare le campagne e renderle produttive. Nella petizione abbiamo voluto riassumere alcuni di quelli che riteniamo essere i principi basilari della contadinanza. Ma non vogliamo, non possiamo fermarci qui, e con il dialogo e la discussione sul sito che abbiamo creato, www.agricolturacontadina.org,  arriveremo a completare il quadro delle proposte per rendere perfetta l'identità contadina. Sul sito è possibile firmare la petizione on line come pure scaricare un modulo per far firmare.

In che modo partecipare alla campagna popolare:

  • innanzitutto firmando e facendo firmare la petizione web sul sito www.agricolturacontadina.org. Civiltà Contadina è contitolare e promotrice di questa campagna, che se pur non ci distrarrà dagli obiettivi primari che sono la conservazione della biodiversità, l'ha lanciata e ne è protagonista;
  • puoi diventare un punto di raccolta di firme stampando il modulo scaricabile dal sito e facendolo firmare ad altri; se puoi organizza un punto fisso di raccolta, sempre che abbia a disposizione un luogo aperto al pubblico; segnalacelo e noi indicheremo indirizzo e gli orari di apertura nella sezione Punti di Raccolta del sito;
  • discuti o fai quesiti sulla campagna popolare; ogni punto della petizione è stato riportato suddiviso nelle pagine del sito e i commenti sono aperti; dalla discussione possono emergere i punti di vista che aggiungono maggiore valore alla proposta;
  • lascia nella sezione "Di la tua" la tua proposta per il futuro della campagna: in questa campagna la petizione non è un punto di arrivo ma di partenza e noi che la stiamo promuovendo sappiamo molto bene che i punti della petizione non sono sufficienti ma da qualche parte occorre cominciare; lancia la tua proposta per rilanciare la contadinanza, tutte le idee valide saranno vagliate con attenzione;
  • linkaci al tuo sito: se hai un tuo sito web esponi un link per farci arrivare visitatori;
  • se fai parte di una associazione proponile di entrare fra i promotori di questa campagna per portare insieme a noi questa petizione a diventare legge; per aderire come associazione contattaci via email. Non solo il suo logo e nome sarà riportato nel sito ma avrà la completa contitolarità della azione.

 

Alberto Olivucci

Presidente di Civiltà Contadina

Stampa

ALIMENTI TRA… CULTURA E NATURA


Testo tratto dal sito: http://www.dbpiante.altervista.org/index.html

 

Le piante rappresentano i più importanti produttori naturali di cibo, legno, fibre, oli e sostanze medicinali. Da sempre esse hanno influenzato in misura rilevante gli aspetti fondamentali della vita dell'uomo, sia economici che culturali o politici.
Presumibilmente l'uso a scopo alimentare dei prodotti vegetali è stato il primo ad essere sperimentato dalla specie umana.


 

L’origine dell’agricoltura


E' molto difficile stabilire un inizio dell'agricoltura. I ritrovamenti più antichi, quali mortai, macine o altri utensili collegati alle pratiche agricole, sono stati effettuati nella Valle del Nilo e datano circa 10.000 anni.
Le difficoltà ed i rischi connessi ad un'alimentazione fortemente dipendente dalle piante selvatiche hanno rivestito un ruolo non secondario nella nascita delle pratiche agricole, che consentivano un di selezionare piante con un basso livello di sostanze tossiche. Un aspetto essenziale dell'agricoltura è, infatti, la domesticazione delle specie vegetale (ed animali), che, fra le altre caratteristiche, determina la soppressione dei meccanismi di protezione delle piante, e in particolare delle loro difese chimiche, costituite proprio dalle sostanze con effetti tossici sugli animali che se ne nutrono.
Presumibilmente le prime piante ad essere coltivate furono i cereali e quelle che posseggono strutture sotterranee (tuberi o bulbi) in cui si accumulano sostanze nutritive. I cereali dal punto di vista ecologico sono delle erbe infestanti, capaci anche di crescere rapidamente su terreni spogli, ove ci sono poche altre piante antagoniste. Un' altra loro importante caratteristica è quella di possedere un frutto (cariosside) commestibile che si mantiene per anni senza deteriorarsi.
Le colture di piante con tuberi e bulbi sono, probabilmente, ancora più antiche. Questo tipo di pianta, infatti, è molto facile da coltivare, basta anche una zappa rudimentale, si mangia soltanto il tubero o il bulbo, il resto (semi compresi) viene ridato alla terra, permettendo alla pianta di ricominciare il proprio ciclo vitale.
E' altrettanto difficile stabilire anche il luogo d'origine delle prime coltivazioni: fino a venti anni fa, l'ipotesi più accreditata era quella dello studioso russo Vavilov, il quale riteneva che la nascita dell'agricoltura dovesse essere avvenuta in pochi centri dai quali si sarebbe poi diffusa nel resto del mondo. Le ricerche condotte soprattutto da Harlan negli ultimi anni hanno reso il problema molto più complesso; attualmente la teoria più seguita tende a vedere l'inizio della agricoltura come un processo realizzatosi indipendentemente e contemporaneamente, più o meno, in molti luoghi.
I progenitori selvatici delle piante più importanti d'uso alimentare sono ampiamente diffusi in aree geografiche molto vaste, e in tutta questa loro estensione spaziale furono manipolati da vari popoli che, in questo modo, acquisirono informazioni su come coltivare queste piante al fine di ottenere una resa migliore.
Si tende, quindi, a credere che l'agricoltura non sia stata una scoperta o un'invenzione, ma che si sia sviluppata con un processo di estensione e di intensificazione di quello che la gente faceva già da tempo.
Per i primi tempi l'introduzione dell'agricoltura spinse, parallelamente alle esigenze della caccia, le popolazioni al nomadismo, allo scopo di trovare territori su cui si realizzassero le condizioni migliori per ottenere un buon raccolto. Infatti, le tecniche agricole più primitive erano basate sul metodo del "taglia e brucia" in cui prima la vegetazione era bruciata per lasciare sgombro il terreno; successivamente, per qualche anno, la terra veniva coltivata con un graduale impoverimento delle risorse minerali del suolo. Un tale tipo di coltivazione rendeva poco ed il contadino che l'adottava era obbligato a spostarsi, insieme con gli animali domestici, alla ricerca di nuovi terreni su cui ricominciare.
Questi primi agricoltori nomadi avrebbero in tal modo svolto un ruolo fondamentale nella diffusione della agricoltura, sia direttamente, coltivando nuovi suoli, sia indirettamente, trasmettendo informazioni sulle tecniche agricole ad altre popolazioni con cui entravano in contatto durante i loro spostamenti. Ancora oggi il metodo del "taglia e brucia" è praticato in gran parte dell' Africa tropicale a sud del Sahara. Successivamente, quando attrezzi più efficaci resero possibile una coltivazione più redditizia, si passò ad una condizione stanziale in cui gli uomini cominciarono a costruire insediamenti stabili intorno a campi che permettevano buoni raccolti.

 

Le conseguenze della nascita dell'Agricoltura

Il passaggio all'agricoltura ebbe profonde conseguenze. Le popolazioni non condussero più un'esistenza perennemente nomade, potendo conservare il cibo non solo in sili e granai ma anche sotto forma di animali domestici. Oltre alle riserve di cibo, altri beni poterono essere accumulati in misura di gran lunga maggiore a quella prima possibile. Inoltre, la terra potè essere posseduta e ceduta in eredità.
Poichè l'attività di pochi poteva produrre abbastanza cibo per tutti, le comunità cominciarono a diversificarsi. Gli uomini divennero commercianti, artisti, banchieri, studiosi, poeti, dando vita a tutta la varietà che caratterizza le comunità moderne. Anche la densità di popolazione potè aumentare. Nelle economie basate sulla caccia e sulla raccolta di vegetali sono necessari, in media, 5 chilometri quadrati per la sussistenza di una sola famiglia.
Una conseguenza diretta ed immediata della nascita dell'agricoltura fu l'aumento della popolazione. Una caratteristica peculiare dei gruppi nomadi è la rigorosa limitazione della loro composizione numerica. Una donna in continuo movimento non puo portare con sè più di un bambino, insieme ai bagagli familiari, per quanto questi siano ridotti. Quando i sistemi di controllo delle nascite non sono efficaci, essa ricorre all'aborto o, più frequentemente, allo infanticidio. Inoltre, esiste un'elevata mortalità naturale, in particolare fra i neonati, gli anziani, i malati, i menomati, e le donne gravide. A causa di questi motivi, le popolazioni nomadi tendono a rimanere poco numerose.
Una volta affermatasi un'organizzazione di vita stanziale non vi fu più la stessa continua ed impellente necessità di limitare le nascite, e, nello stesso tempo vi fu anche un calo della mortalità, a causa delle migliorate condizioni di vita.

 

La Domesticazione delle Specie Selvatiche

Sin dai tempi più remoti gli agricoltori hanno focalizzato la loro attenzione su poche specie che risultarono economicamente redditizie e più adatte alla coltivazione. L'utilizzazione prolungata di queste piante e la continua selezione che sin dall'inizio l'uomo effettua su di esse, determinarono col tempo la domesticazione di queste specie stesse.
Non bisogna far confusione tra coltivazione e domesticazione di una pianta.
La domesticazione comporta delle mutazioni genetiche che rendono una pianta più adatta alle condizioni di un ambiente creato dall'uomo e meno adatta alle condizioni di un ambiente naturale.
Conseguentemente alla domesticazione le piante subiscono profonde modificazioni a livello di quelle parti che presentano maggiore interesse per l'uomo. Così, se si tratta di un tubero, la più grande variazione e la più grande deviazione dal tipo selvatico si avrà nel tubero stesso; se si tratta di un cereale, le parti più modificate saranno la spiga ed i chicchi che essa contiene.
L'esempio più straordinario è quello della specie selvatica Brassica oleracea che, come risultato dell'influenza dell'uomo, è stata modificata in una mezza dozzina di modi.
Le principali piante alimentari utilizzate in tutto il mondo hanno subito questa sorte, anche se, in molti casi, si tratta di specie utilizzate intensivamente da non più di trecento anni.
La patata, per esempio, è originaria delle regioni montuose delle Ande, ed è rimasta confinata in questa zona fino a che gli europei non vi arrivarono nel XVI secolo. Poco dopo fu portata in Europa, ma non era molto adatta alle condizioni agricole locali, ed entrò in un periodo di acclimatamento, soprattutto per adattarsi alle giornate lunghe, tipiche delle estati europee. Benchè gli europei inizialmente fossero restii a cibarsene, la patata trovò una dimora congeniale nell'Europa settentrionale e divenne così produttiva da procurare, a detta di alcuni storici, una piccola esplosione demografica. Anche altre colture importanti, come gli agrumi, il pomodoro, la barbabietola da zucchero, la canna da zucchero, hanno dato solo di recente un contributo importante alle disponibilità alimentari del mondo, di solito in luoghi diversi e, a volte, lontanissimi da quelli nativi.
Al giorno d'oggi, l'alterazione implicata nel processo di domesticazione di queste specie è arrivata al punto in cui esse risultano adattate esclusivamente ad un ambiente artificiale: le piante coltivate dipendono totalmente dall'uomo per la loro sopravvivenza.
D'altro canto, possiamo dire che la specie umana è stata a sua volta domesticata da queste piante e dai pochi animali che alleva. La conseguenza è che la popolazione umana in gran parte del mondo o muore di fame a seconda dell'andamento produttivo di quelle poche specie di piante (e di quei pochi animali) che rappresentano la base alimentare dell'Uomo.
Da sempre gli agricoltori hanno tentato di migliorare la produttività delle specie in coltura selezionando varietà che fossero più resistenti all'attacco di malattie, garantendo una resa migliore.
In questi ultimi anni si sta sviluppando un nuovo approccio al problema che tende ad ampliare le possibilità esistenti in natura, piuttosto che selezionare artificiose varietà nuove. Il 65 % delle specie vegetali (ca. 500.000) si trova nei paesi in via di sviluppo, una metà di queste nelle foreste tropicali. Qui possono essere trovate piante capaci di resistere spontaneamente a malattie, parassiti, e forzature climatiche, caratteristiche ereditarie che è possibile trasferire nelle nostre specie coltivate.
La FAO (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura) e l' UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) hanno programmato la creazione di banche genetiche atte a conservare stock di semi o colture i tessuti vegetali potenzialmente utili.
Già gli esempi di piante in coltivazione migliorate grazie alla acquisizione di caratteristiche da parte delle loro forme selvatiche sono numerosi. Consideriamo, per esempio, il caso del riso: a partire dal 1970 un'epidemia virale distrusse oltre 116.000 ettari di risaie in Indonesia, India, Vietnam, Filippine e Ceylon. Attualmente, in tutta quest'area geografica si coltiva una varietà di riso ottenuta da incroci tra Oryza sativa con una specie selvatica, Oryza nivara, o meglio, con un suo ceppo isolato nell'India centrale, l'unico che possiede la caratteristica ereditaria (gene) della resistenza al virus.
Accanto ad iniziative come questa della FAO e dell'UNESCO che hanno dato dei risultati sicuramente incoraggianti, vanno menzionati altri processi intrapresi negli ultimi tempi. Bisogna innanzitutto considerare l'aumento di terreni destinati alla produzione agricola, un processo in corso in tutto il mondo, dall'America alla Siberia, dall'Australia alla Cina, che ha consentito un notevole incremento produttivo. Secondo stime sviluppate recentemente, circa il 30 % delle terre emerse potrebbe essere sfruttato per fini agricoli; attualmente ne utilizziamo solo il 10 %. Questo dato può sembrare confortante, ma va aggiunto che la spesa necessaria per rendere coltivabile un'area mai utilizzata è altissima, per cui, sebbene i mezzi odierni a disposizione potrebbero rendere fertili terre inutilizzabili fino ad un secolo fa, l'espansione delle terre coltivate è estremamente lenta.
La strategia adottata dalla gran parte delle nazioni è sempre stata quella di convogliare tutti i fondi disponibili sulle aree già coltivate, tentando in vari modi di aumentarne la produttività. Questa tendenza ha portato nei primi anni del secolo alla nascita dell'agricoltura intensiva negli Stati Uniti e nelle altre nazioni occidentali.
Oggi la ricerca scientifica internazionale è concorde nell’affermare che è fondamentale salvare e conservare il maggior numero di piante alimentari. Questo saggio principio ben noto a tutti gli agricoltori fino ad alcuni decenni fa, è stato stravolto dall’industrializzazione dei processi agricoli che, in nome della massimizzazione dei profitti ha drasticamente ridotto le varietà ortofrutticole attualmente prodotte. Recuperare la grande diversità biologica delle piante alimentari è importante non solo perché evita che particolari parassiti possano compromettere i raccolti (ci saranno sempre varietà che non saranno sensibili a quel particolare parassita), ma anche perché alcune varietà si prestano ad essere prodotte anche in suoli poveri e sassosi e possono costituire un valido presidio contro i processi di inaridimento e desertificazione.

 

Piante alimentari e salute: la riscoperta delle varietà perdute

Oggi alcuni dei componenti presenti nelle piante edibili e in alcune bevande stanno suscitando notevole interesse scientifico per i loro potenziali effetti positivi nel mantenimento del benessere. Sono i cosiddetti nutraceutici che esplicano le funzioni più disparate e, operando parallelamente ai processi biosintetici, manifestano azione antiossidante e citoprotettiva determinando una diminuzione dell’incidenza di malattie cronico-degenerative.
Uno dei principali obiettivi della più recente chimica delle sostanze naturali è infatti l'individuazione di metaboliti biologicamente attivi presenti nelle piante, usate comunemente come vegetali nella dieta umana e che, nei secoli passati, hanno trovato impiego, oltre che come cibo o spezie, anche nella medicina popolare. Il contributo maggiore delle piante, nelle diete umane, è imputabile all'apporto di vitamine, acido folico e minerali. Tuttavia esse contengono altri metaboliti secondari, che vengono definiti nutraceutici e che sono stati, di recente, al centro di intensi dibattiti scientifici. Le piante edibili sono ricche di terpenoidi, flavonoidi, alcaloidi, pigmenti, polifenoli, fitosteroli, acidi grassi insaturi, che hanno un ruolo importante nel mantenimento del benessere. La dieta mediterranea include una buona quantità di piante alimentari (frutta, verdure, nocciole, semi, vino, olio di oliva) che impedendo le reazioni di ossidazione determinano una forte riduzione dei fattori di rischio in malattie coronariche, e abbassano livelli di colesterolo nel sangue. Risultano inoltre diminuiti i rischi da malattie croniche degenerative quali il cancro, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, malattie autoimmuni, la sclerosi multipla.


 

Database sulle Piante Alimentari:

http://www.dbpiante.altervista.org/elenco.php

http://et2.unipv.it/omp/dizionario.htm
http://www.agraria.org/coltivazionierbacee.htm

Testi sulle piante alimentari:
http://www.nap.edu/catalog/lca/
http://www.stampabasilicata.net/default.cfm?fuseaction=dettaglio&obj=3501
http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/argomento-piante_selvatiche_.htm

 

La ricerca su piante alimentari e salute:
http://www.ricercaitaliana.it/prin/dettaglio_completo_prin-2004038183.htm#base
http://community.aster.it/alimentare/tiki-index.php?page=PoliFerruccio_2&PHPSESSID=7ebd64dc29b5fe4a909840cafb758b96

 

Fitoalimurgia
http://wiketica.ilbello.com/index.php?title=Alimurgia
http://wunnish.altervista.org/diario/index.php?page=Alimurgia%20e%20piante%20selvatiche%20utili
http://www.astilibri.com/cultura/phytoalimurgia.htm
http://www.aemetra-valeriosanfo.it/fitoalimurgia.html
http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/leverdure.htm
http://www.esculenta.org/index.htm
http://www.strie.it/alim_fitoalimurgia.html

 

Le piante alimentari nella storia
http://www2.pompeiisites.org/
http://www.ecologist.it/goldsmith07.html
http://ssai.interno.it/conferenze/inaugurazioni/2004_2005/alcazar.html

 

Le piante alimentari nella didattica:
http://www.gol.grosseto.it/puam/scuole/caspesca/piante/

http://www.ipsaa-avezzano.it/index.php?option=com_content&task=view&id=33&Itemid=93

Stampa

QUANDO LA SCIENZA È AL SERVIZIO DELL’UOMO

Agronomo - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


La storia di George Washington Carver: da schiavo a scienziato benefattore dell’umanità.

 

Nato a Diamond Grove nel Missouri nel 1864, era figlio di una schiava, Mary, che apparteneva alla famiglia Carver. Il padre, schiavo anche lui di una fattoria vicina a quella dei Carver, rimase ucciso in un incidente quando il piccolo George era ancora bambino.La sua infanzia fu anche tragicamente segnata dal rapimento a cui fu sottoposto insieme alla madre e al fratello James da parte di alcuni soldati confederati datisi alla macchia: dato il loro aspetto macilento i due ragazzini furono presto rilasciati e, rimasti orfani, furono adottati dai coniugi Carver che diedero loro la possibilità di frequentare una scuola per persone di colore in un paese vicino.A 13 anni George decise di lasciare il Missouri per il Kansas dove, mantenendosi con piccoli lavori, completò gli studi superiori: ma la sua sete di sapere lo indusse nel 1885 a tentare di accedere all’Highland College da cui fu rifiutato perché nero.Solo qualche anno più tardi gli fu possibile frequentare il Simpson College nell’Iowa e successivamente l’Iowa State University dove ottenne il Master in agricoltura, segnalandosi per le sue doti intellettuali e didattiche.

 

“Terrone”… per vocazione

Il suo desiderio di aiutare altri giovani di colore desiderosi di studiare lo indusse, nel 1896, ad accettare la direzione della sezione di Agricoltura del Normal and Industrial Institute di Tuskegee in Alabama.Quando arrivò a Tuskegee, Carver si trovò di fronte numerose sfide: mancanza di strutture e di fondi disponibili per il suo dipartimento (un granaio, una mucca e pochi polli: questa la dotazione iniziale!); la povertà e la malnutrizione diffuse tra i coltivatori neri locali; una mancanza di interesse tra i giovani per lo studio dell’agricoltura, che molti degli allievi associavano alla mezzadria e alla povertà, e quindi il loro maggiore interesse per discipline tecnico-industriali o commerciali che poi avrebbero consentito loro di lavorare nelle grandi città.A Carver bastarono poche settimane per rendersi conto che il principale problema di quella terra piatta, una volta assai fertile, che si estendeva per centinaia di chilometri quadrati attorno alla piccola città, era dovuto all’impoverimento del suolo. Semine monotone di un solo prodotto, il cotone, un anno sì e uno no, avevano ridotto la fertilità della terra da una generazione all’altra.
Per controbattere la lenta spoliazione che impoveriva migliaia di mezzadri, decise innanzitutto di allestire una stazione sperimentale con un laboratorio per le analisi del terreno e di fornire ai suoi allievi e agli agricoltori che frequentavano le sue lezioni le basi scientifiche della moderna agronomia: botanica, chimica e studio dei suoli.Per oltre un decennio Carver lavorò quotidianamente su appezzamenti di terra sperimentali per sperimentare l’efficacia dei più disparati fertilizzanti naturali disponibili in loco (foglie marce di foresta, melma degli acquitrini, letame di stalla) fino ad allora completamente trascurati in favore dell’uso dei fertilizzanti sintetici in commercio. Carver inoltre introdusse nella rotazione delle colture l’utilizzazione delle arachidi, leguminose fissatrici di azoto, che consentirono ai suoli di recuperare parte della loro fertilità. Se fino ad allora il loro unico impiego era stato come cibo per maiali, dovevano pur avere qualche utilità per l’alimentazione umana: il giovane professore ne studiò a fondo la composizione chimica scoprendo che l’arachide aveva le stesse proteine della bistecca di manzo e gli stessi carboidrati della patata e che era possibile estrarne 7 diverse varietà di olio. Quell’umile frutto della terra poteva dunque dare un contributo sia al problema della perdita di fertilità dei terreni, sia alla malnutrizione e alla salute delle popolazioni del sud rurale degli Stati Uniti!Quando il rettore dell’Università della Georgia, W. B. Hill, giunse a Tuskegee per vedere con i propri occhi se era proprio vero che un professore nero aveva tanto talento quanto si diceva in giro, dichiarò che l’esposizione del problema agricolo meridionale, fatta da Carver, era “la migliore conferenza alla quale avessi mai avuto l’onore di assistere”.Viaggiando per tutte le zone rurali dell’Alabama, con le sue conferenze Carver indusse gli agricoltori ad alternare il cotone alla soia e alle arachidi e si ingegnò a trovare tutti gli usi che fosse possibile ottenere dalle noccioline, riuscendone a sviluppare oltre 300 prodotti diversi!
Carver insegnò nelle sue lezioni, rivolte anche alle mogli dei contadini, come conservare e trasformare le noccioline in farina, in burro, in formaggio ottimo per preparare pasti saporiti e bene equilibrati nutrizionalmente oltre che economici: se per fare 5 chili di burro ci volevano 50 chili di latte, con 50 chili di arachidi si potevano fare 17 chili di burro.Molti coltivatori neri del Sud non avevano mai preso in considerazione il consumo del pomodoro, per molti ritenuto tossico: Carver ne spiegò il valore nutritivo e mostrò loro parecchie ricette in cui poteva essere usato. Lo stesso fece anche con altre colture innovative come la batata (una pianta rampicante tropicale di cui gran parte degli americani non aveva mai sentito parlare e che oggi è meglio conosciuta come “patata dolce americana”) e il pecan, sviluppando oltre 100 usi diversi per ciascuna di queste due piante.Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Carver orientò i suoi studi verso la scarsità di materie coloranti: da foglie, radici, steli e frutti di 28 piante spontanee diverse creò 536 tinte da usarsi per colorare lana, cotone, lino, seta e persino cuoio. Ma solo quando si sparse la voce che all’Istituto di Tuskegee risparmiavano 100 chili di frumento al giorno mescolando due parti di farina comune con una nuova farina derivata dalle batate, l’eco delle sue ricerche si diffuse sulla stampa nazionale con titoli di rilievo in tutti gli Stati Uniti.

 

Ori e … allori

Nel 1916 fu eletto membro della Royal Society britannica (un onore riservato a pochi cittadini USA) e solo nel 1923 ricevette la medaglia NAACP dall’Associazione Americana per l’Avanzamento delle Scienze per i suoi contributi all’agricoltura. Fu amico del Mahatma Gandhi e di tre Presidenti degli Stati Uniti (Theodore Roosevelt, Calvin Coolidge e Franklin Delano Roosevelt) nonché consulente agricolo del governo russo e di molti altri Paesi in tutto il mondo.
Carver visse sempre in maniera molto frugale, accettando soltanto una piccola parte del suo stipendio e donando i risparmi di una vita di ricerche ad un fondo a lui intitolato, destinato allo sviluppo della ricerca agricola.Carver, che creò fortune per migliaia di persone, brevettò soltanto 3 delle oltre 500 sue invenzioni derivate da prodotti naturali (peraltro dopo la sua morte, nel 1943, e a favore dell’Istituto di Tuskegee). Quando industriali e politici dalla mente pratica gli ricordavano che avrebbe potuto fare un sacco di soldi se si fosse garantito l’esclusiva, egli rispondeva semplicemente: “Dio non ci ha mica presentato il conto quando ha fatto le noccioline. Perché dovrei guadagnarci io per i loro derivati?”Eppure, in piena Grande Depressione (era il 1930) il valore dell’arachide, un tempo bassissimo, si era tramutato, grazie alla “chiaroveggenza” e all’operosità di Carver, in una rendita di 250 milioni di dollari per gli agricoltori del Sud: il solo olio di arachide era valutato in 60 milioni di dollari all’anno e il burro di arachide si affermò come uno dei cibi preferiti anche dal più povero bambino americano.Carver scoprì anche che l’olio di arachide aiutava i muscoli atrofizzati dei poliomielitici: i risultati furono così sbalorditivi che egli dovette riservare un giorno al mese per curare i pazienti nel suo laboratorio, senza peraltro mai farne un business.Questa caratteristica di mettersi da parte, rinunciando ai propri diritti, fu incomprensibile per due suoi contemporanei e geni inventivi, i quali, a differenza di Carver, furono uomini astuti e pratici fino al punto di voler comprare i suoi servizi. Thomas A. Edison disse ai suoi soci che “Carver valeva una fortuna” e avallò la sua dichiarazione offrendogli un impiego ad uno stipendio astronomico che lui naturalmente rifiutò. Henry Ford, il quale riteneva Carver “il più grande scienziato vivente”, cercò di attirarlo nel suo stabilimento di River Rouge, con eguale insuccesso.

 

Integrare scienza e fede

In molti si chiesero da dove Carver traesse spunto per le sue ricerche, il perché dei suoi successi di scienziato.La sua carriera fu certamente segnata dalle difficoltà incontrate nella sua vita che sicuramente ne determinò alcune scelte ma ci sono elementi di tipo psicologico dei quali vale la pena accennare.Fin da bambino George fu attratto dal fascino del mondo vegetale: vagava per ore tra boschi e campi coltivati, esaminando piante e prelevando specie selvatiche con cui guariva gli animali ammalati.A chi gli chiedeva come facesse a operare tali miracoli Carver si limitava a dire sottovoce: “Tutti i fiori parlano con me e così fanno centinaia di piccole cose viventi che abitano i boschi. Ciò che so l’ho imparato osservando e amando ogni cosa”.A Tuskegee ogni mattino Carver si alzava alle quattro e andava a camminare nei boschi, prima dell’inizio della giornata lavorativa, e tornava con una infinita quantità di piante, molte delle quali ignote al botanico medio, che usava per illustrare le sue lezioni. Spiegando quella sua abitudine agli amici, egli diceva: “La natura è la più grande maestra e da lei imparo meglio quando gli altri dormono. Nelle ore ancora notturne, prima del sorgere del sole, Dio mi dice i progetti che devo realizzare”.Chi andava a visitare Carver nel suo laboratorio e lo trovava a gingillarsi al suo banco di lavoro con un ammasso confuso di muffe, terra, piante, insetti restava disorientato dalla estrema semplicità, per molti senza senso, che caratterizzava le sue risposte alle insistenti preghiere di conoscere i suoi segreti.“I segreti stanno nelle piante. Per scoprirli voi dovete amarle quanto basta.”Ma perché c’è tanta poca gente che ha il suo potere?” incalzavano i più curiosi. “Chi oltre a lei, sa fare queste cose?”“Tutti, basta che ci credano”. Battendo la mano su una grande Bibbia che teneva sul tavolo, egli aggiungeva: “I segreti sono tutti qui. Nelle promesse di Dio. Queste promesse sono reali, reali e anche infinitamente più concrete e sostanziali di questo tavolo in cui il materialista crede ciecamente”.Non molto prima che Carver morisse, una persona che andò a visitare il suo laboratorio, lo vide allungare le lunghe dita sensibili verso un fiorellino sul suo tavolo di lavoro. Carver si fermò e dopo un attimo di riflessione sorrise al visitatore, dicendogli: “Quando tocco quel fiore, tocco l’infinità. Esso esisteva molto prima che sulla Terra vi fossero gli esseri umani e continuerà a esistere per milioni di anni futuri. Attraverso il fiore, io parlo all’Infinito che è soltanto una forza silenziosa. Questo non è un contatto fisico. Non è nel terremoto, nel vento o nel fuoco. È nel mondo invisibile. Molti lo capiscono per istinto, e nessuno meglio di Tennyson quando scriveva:

Fiore nel muro screpolato

Io ti colgo dalle fessure,

Ti tengo qui, con le radici e tutto, nella mia mano

Piccolo fiore, ma se potessi comprendere

Ciò che sei, radici e tutto, e tutto in tutto,

Io saprei ciò che è Dio e l’uomo.

Al di là dei riconoscimenti che ebbe, Carver, non fu ben visto dai suoi colleghi proprio per questa sua visione mistica dell’universo che contrastava apertamente con l’impostazione razionale e deduttiva della comunità scientifica del tempo.Anche i giornalisti del New York Times non furono teneri con lui quando, in un editoriale del 20 novembre del 1924, criticarono i suoi metodi d’indagine, rimproverandolo che i “veri chimici” non attribuivano i loro successi all’ispirazione divina.Il ritratto di Carver che emerge dai suoi scritti e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto è quello di uno scienziato che ha precorso non solo il suo tempo ma che anche nel nostro avrebbe avuto qualche problema ad affermarsi.

 

Perché non nascono più scienziati come lui?

Certo, oggi come oggi, nel XXI secolo non ci sono più le tragiche condizioni di vita in cui Carver mosse i suoi passi: razzismo, guerre civili, schiavitù, povertà, fame e malnutrizione, malattie che sono ormai ricordi lontani.Non avendo più da preoccuparsi di queste tematiche, gli scienziati sono di fatto in una condizione disagiata: al contrario del “povero” Carver oggi sono costretti a gestire per lo più tautologici problemi di tipo amministrativo come la ricerca di fondi… per la ricerca su argomenti strampalati come i viaggi su Marte, gli incroci tra fragole e pesci, le pillole per la felicità e amenità simili, con cui si affannano a produrre centinaia di pubblicazioni che probabilmente mai nessuno leggerà.Chissà che ora, conoscendo la vita e l’opera di George Washington Carver, molti nostri giovani disperati ricercatori disoccupati ed anche vecchi baroni delle scienze mai paghi di cattedre e allori non affolleranno gli aeroporti per partire per lontane destinazioni, pronti a ridursi in schiavitù per sperimentare la voglia di riscatto di un essere umano, o non saranno disposti a lunghi e dolorosi trapianti di epidermide nera per sperimentare, sulla propria pelle appunto, cosa significa essere rifiutati ai concorsi universitari…Sono già in molti, emuli della spiritualità di Carver, ad essere stati avvistati mentre deliravano in preda a visioni mistiche nei boschi del Missouri oppure che si sforzavano di dialogare con una confezione di piselli surgelati nei supermercati dell’Alabama.Noi, umilmente, ci auguriamo che tutti costoro inseguino soprattutto il sogno di vedere scritto sulle proprie tombe epitaffi come quello che suggella il monumento a George Washington Carver: “Avrebbe potuto raggiungere la fortuna e la fama senza preoccuparsi per nessuno, ha trovato la felicità e l’onore nell’essere utile al mondo.”

Fonti

Rackham Holt, George Washington Carver: an american biography (1943).

Shirley Graham e George D. Lipscomb: George Washington Carver, Scientist (1944).

Peter Tompkins, Christopher Bird: The secret life of plants (1973)

Linda O. McMurray: George Washington Carver: scientist and symbol (Oxford Univeristy Press, 1981)

Gary R. Kremer: George Washington Carver in his own words (University of Missouri Press, 1987)

The World Book Encyclopedia (1969)

Websites

www.nps.gov/gwca/expanded/main.htm

www.africana.com

www.luminet.net

www.graceproducts.com/carver/carver.html

www.angelfire.com/md/aasp/jerry.html

Stampa

UN CAFFÈ AMARO

Secondo una leggenda il caffè venne usato per la prima volta nel IX secolo da un muftì di Aden, il quale per poter pregare Allah anche di notte cercava ogni mezzo per non addormentarsi. La patria del caffè è una regione meridionale dell’Abissinia che si chiama appunto Caffa e dalla quale, nel Medioevo, la coltivazione del caffè penetrò in Arabia. Diventata la bevanda prediletta dei popoli della penisola arabica,

Leggi tutto

Stampa