La geopolitica è di moda. Questo termine, impiegato a vanvera per significare tutto, rischia di non significare nulla. Eppure per quasi mezzo secolo, tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda, parlare di geopolitica era tabù.
Se c´è un elemento di continuità nella storia recente dell´Iran è proprio il petrolio. O, meglio, la gestione del petrolio da parte dei governanti e le conseguenze di questa gestione nella vita politica. Se le parole sono importanti, quando parliamo di Iran dobbiamo sempre ricordare che il concetto stesso di cittadinanza (shahrvandi) è un´innovazione piuttosto recente, entrata nel linguaggio della Repubblica islamica soltanto con le due presidenze Khatami (1997-2005).
In Iran, infatti, il bilancio statale si basa sull´export del petrolio, non sulle tasse. La vendita di petrolio all´estero rappresenta l´80% dell´export iraniano e il 60% del bilancio totale del Paese. È questa la grande linea di continuità tra Iran pre e post rivoluzionario: lo Stato chiede poco in termini di contributi e dà pochissimo in termini di diritti e potere decisionale. È una condizione di sudditanza, non ancora di cittadinanza. Era così con lo scià, è sostanzialmente così nella Repubblica islamica. (...)
Non si fermano le manifestazioni anti-regime in Siria. Almeno otto dimostranti sono morti in tutto il Paese, secondo alcuni attivisti e testimoni, nell'ennesimo venerdì di protesta, ribattezzato "venerdì dei difensori della patria".
Con oltre 50 morti in poco meno di 24 ore, lo Yemen è sull'orlo della guerra civile. Violenti combattimenti sono in corso a San'a tra i militari fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh e gli uomini della tribù Hachad che fa capo allo sceicco Sadek al Ahmar. Un'escalation che preoccupa gli Stati Uniti: il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha chiesto a "tutte le parti" in guerra di cessare "immediatamente" ogni forma di violenza. Il capo della diplomazia di Washington ha ribadito l'appello al presidente yemenita affinché lasci il potere. (...)
Nella rubrica delle lettere del «Sole24Ore» del 16 ottobre 2007, nel commentare la frase pronunciata dallo scomparso Tommaso Padoa-Schioppa all'interno di un ragionamento di notevole spessore etico e civile («le tasse sono bellissime»), un lettore citò il giurista americano Oliver Wendell Holmes Jr: «Mi piace pagare le imposte, così facendo compro civiltà». Concetto complesso, principio complicato da affermare in un paese in cui l'evasione fiscale è pratica assai diffusa, e il senso civico alimentato dalla consapevolezza di far parte tutti di un'unica "comunità" è piuttosto scarso. Sarà che non lo si insegna a scuola, potranno obiettare i nostalgici della vecchia educazione civica. Ci ha provato Franco Fichera, docente di diritto tributario presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e preside della facoltà di Giurisprudenza. Nell'aprile del 2009, su iniziativa del comune di Torino, ha organizzato all'interno della prima edizione di «Biennale democrazia» un incontro con 100 bambini delle classi IV e V elementare. Tutti convocati nall'austera aula Giulio Cesare del Consiglio comunale, quasi a simulare una seduta sul tema delle tasse. Ora quell'esperimento è raccolto in un libro appena pubblicato da Einaudi dal titolo «Le belle tasse, ciò che i bambini insegnano sul bene comune». (...)
Le sfide politiche, economiche e dell'informazione in un Paese che esce da decenni di travaglio e distruzione: di Iraq e del suo impegnativo "risveglio" si e' parlato in un'audizione all'Europarlamento di Bruxelles, voluta dal relatore del primo accordo di cooperazione fra Ue e Iraq, Mario Mauro, con la partecipazione della presidente dell'Agi, Daniela Viglione. "Sulla guerra in Iraq a suo tempo l'Europa si e' spaccata - ha ricordato Mauro, reduce dalla prima missione ufficiale di una delegazione dell'Europarlamento a Baghdad - ora puo' essere il banco di prova per dimostrare che l'Europa puo' avere un ruolo da protagonista con la sua politica estera". Nei mesi scorsi, ha spiegato agli europarlamentari Daniela Viglione, l'Agi ha deciso, "in controtendenza rispetto agli altri media occidentali che dopo la fine della guerra hanno lasciato il Paese", di aprire un ufficio a Baghdad concludendo accordi con le quattro agenzie irachene indipendenti e organizzando anche un workshop di formazione che ha coinvolto una trentina di giornalisti del posto. (...)