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  • Le importazioni di legno russo in Europa che aggirano le sanzioni

    Diverse aziende europee avrebbero importato legname proveniente dalla Russia violando le normative dell'Ue e aggirando le sanzioni inflitte a Mosca. Lo afferma Earthsight, organizzazione non profit impegnata a contrastare la criminalità ambientale e sociale, che a seguito di un’indagine antielusione della Commissione europea sulle importazioni illegali di compensato di betulla russo, ha presentato lo scorso 16 aprile circostanziate denunce contro 31 aziende presenti in nove Paesi dell’Unione europea. L’accusa è quella di essersi rifornite da quattro società segnalate dalla Commissione per utilizzare materie prime russe (tronchi e impiallacciature), in violazione del "Regolamento legno" dell’Ue (Eutr).

    Dopo che lo scorso primo marzo sono stati pubblicati i risultati della ricerca, durata otto mesi, l’organizzazione ha esposto i suoi reclami formali all’Eutr e alle autorità doganali dei nove Stati coinvolti -Polonia, Germania, Romania, Bulgaria, Lettonia, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi e Grecia-. I numeri sono allarmanti: tra ottobre e dicembre 2023 le aziende presenti in questi Paesi avrebbero importato “più di 43 milioni di euro in compensato di betulla dai quattro fornitori coinvolti nell’indagine dell’Ue”.

    A causa dell’invasione dell’Ucraina nel 2022 l’importazione diretta o indiretta di prodotti in legno realizzati in Russia è stata infatti vietata; ma già prima della guerra l’Unione europea aveva fatto crescere i dazi di importazione esistenti sul compensato di betulla russo fino al 15,8%. Per aggirare i dazi antidumping, alcune aziende hanno imboccato la strada del commercio attraverso Paesi terzi, in particolare Kazakistan e Turchia.

    Secondo l’indagine europea, tra luglio 2022 e giugno 2023 le importazioni kazake di compensato di betulla dalla Russia sarebbero "aumentate di sette volte e quelle di tronchi e impiallacciature quadruplicate”. Non solo. “Aumenti sospetti sono stati notati anche per le importazioni turche degli stessi prodotti”.

    “L'Eutr -spiega ad Altreconomia Tara Ganesh di Earthsight- impone alle aziende dell'Ue di controllare i propri fornitori per assicurarsi che corrano un rischio ‘trascurabile’ di illegalità. Le autorità avevano precedentemente affermato che sarebbe stato ‘impossibile’ importare legalmente legno russo. Eppure come Earthsight abbiamo individuato il compensato venduto dalle aziende kazake e turche, indicate dall'Ue come aziende che trattano legno russo, ad aziende dei nove Stati membri. Questo legname è stato acquistato in violazione delle leggi comunitarie e vogliamo che le aziende coinvolte ne rispondano. La maggior parte delle prove di comportamenti illeciti da parte dei fornitori erano contenute nel rapporto della Commissione europea. Noi abbiamo contribuito a rintracciarli nel mercato”.

    L’indagine è partita per iniziativa di un consorzio industriale di aziende europee di compensato che ha presentato una denuncia alla Commissione contro le società che eludevano i dazi. “La cosa più interessante sarà vedere come l’Ue e gli Stati membri affronteranno ora questi importanti aspetti”, osserva Ganesh.

    Anche perché il fenomeno va approfondito. Per Earthsight, che ha lavorato grazie al monitoraggio di dati commerciali e all’aiuto di alcuni informatori, le aziende coinvolte nel commercio di compensato di betulla sono molte di più rispetto a quelle su cui si è investigato. “Altri Paesi come la Cina e la Georgia non sono stati indagati -dice- anche se la nostra ricerca e altre fonti mostrano che anche queste sono probabilmente vie di riciclaggio. Il problema con il legno russo che raggiunge i mercati europei è molto più ampio”.

    Un avvertimento, specifica Ganesh, c’era già stato: “Nell'aprile 2023, abbiamo inviato alle autorità dell'Ue un avviso di controllo sul riciclaggio di legname da parte della società russa Sveza (di proprietà di un oligarca sanzionato in Europa) attraverso la Cina, il Kazakistan e la Turchia. Conosciamo il problema da molto tempo. È un peccato che il commercio sia continuato così a lungo”.

    Il nodo centrale è senza dubbio quello del monitoraggio dell’applicazione del Regolamento Ue: “Sono necessari controlli molto più rigorosi per escludere la possibilità che il legno russo entri”. Tenendo d’occhio soprattutto i nove Paesi individuati da Earthsight, e in particolare, specifica Ganesh, la Polonia.

    “Le autorità -puntualizza Ganesh- devono emettere un avviso alle aziende nei loro Paesi affinché siano più vigili sulle importazioni di compensato di betulla da Turchia, Kazakistan, Cina, e Georgia e devono informarle dei risultati di questa indagine”. Non solo. “Devono agire contro le aziende che da mesi acquistano questo compensato di betulla da Turchia e Kazakistan. Dato che questo mercato è di nicchia, è difficile credere che queste aziende non abbiano avuto sospetti”.

    Più in generale, dice Ganesh, “è necessaria una risposta molto più unitaria”. E questa ricerca può essere l’inizio di un cambio di marcia. “Indagini commerciali come questa sono particolarmente rigorose -commenta-. Lo stesso non si può dire per quelle sul legname illegale per altri motivi (disboscamento illegale, concussione, corruzione, porto di documenti falsi)”.

    E rilancia: “Abbiamo ottenuto un accesso senza precedenti alle prove raccolte e alle denunce presentate dai membri del settore. Ciò che è emerso ha implicazioni molto preoccupanti per i rischi esistenti nelle catene di approvvigionamento del legname verso l’Ue. L’indagine probabilmente ha solo scalfito la superficie del problema”. Che va affrontato continuando a documentare, indagare e -dice Ganesh- “a presentare denunce per smascherare i cattivi attori del commercio di legname nell’Ue”.

    “Le sanzioni russe -conclude- hanno avuto un impatto enorme sul mercato del legno. Ma diventa più difficile per tutti gli altri quando alcune aziende si rifiutano di seguire le regole. E questo commercio sta finanziando l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia, poiché il legno è estremamente importante per l’economia di Mosca”.

    Il 14 maggio c'è stato uno sviluppo importante. A seguito dell’inchiesta e al dichiarato scopo di tutelare i produttori dell’Ue dalla concorrenza e dal commercio sleale, le misure antidumping sono state estese dalla Commissione europea “sulle importazioni di compensato di betulla dalla Russia alle importazioni dal Kazakistan e dalla Turchia”. Cinque società con sede in Kazakistan e quattro società con sede in Turchia avevano presentato moduli di richiesta di esenzione, chiedendo di “essere esentate dai dazi nel caso in cui le misure fossero state estese al Kazakistan e alla Turchia”. Ma l’indagine della Commissione Europea ha rilevato che “due società in Kazakistan (QazFanCom e VFP LPP) e tre società in Turchia (Murat Şahin Orman Ürünleri, Petek Kontrplak San ve Tic A.Ş. e Saglamlar Orman Tarim Urunleri San. Ve. Tic. AS) non hanno collaborato ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento di base e di conseguenza non hanno dimostrato di non essere coinvolti in attività di elusione”. Ecco perché le loro richieste di esenzione dai dazi non sono state accolte.

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  • Biella è il carcere più sedato d’Italia. Otto detenuti su dieci assumono psicofarmaci

    L’80% dei detenuti del carcere di Biella assume psicofarmaci. Un dato impressionante, rilevato da Antigone, associazione che monitora le condizioni dei reclusi, che rende la Casa circondariale biellese la struttura più “sedata” d’Italia. Lo dimostrano anche i dati ottenuti da Altreconomia: l’utilizzo di antipsicotici, farmaci prescrivibili per gravi patologie come la schizofrenia e il disturbo bipolare, risulta superiore di venti volte rispetto all’esterno.

    “Una situazione completamente fuori controllo”, racconta Marco, nome di fantasia, medico che ha lavorato per anni nel carcere piemontese e preferisce restare anonimo. Il 17 maggio è prevista a Biella la visita del ministro della Giustizia Carlo Nordio accompagnato dal sottosegretario Andrea Delmastro, originario proprio del distretto laniero.

    L’istituto biellese, da 395 posti secondo la capienza regolamentare, è un buon angolo prospettico per guardare allo stato di malessere delle carceri italiane. Secondo i dati forniti ad Altreconomia dall’Azienda sanitaria locale (Asl) in tre anni, 2020-2022, un farmaco su tre acquistato era uno psicofarmaco. In termini assoluti i dati sono elevatissimi: nel 2021 la spesa totale sfiora i 30mila euro, una cifra due o tre volte superiore a istituti con capienza simile (come la casa circondariale di Spoleto e il San Michele di Alessandria) analizzati nella nostra inchiesta “Fine pillola mai”.

    E infatti guardando alla spesa pro-capite a detenuto, il risultato è allarmante: prendendo in esame gli antipsicotici, utilizzabili sulla carta in presenza di gravi patologie, nel 2021 la spesa è pari a quasi 74 euro a persona. Tra i 15 istituti analizzati da Altreconomia, Biella è seconda solamente a San Vittore a Milano. “Non mi stupisce -spiega il dottore-. E non è vero che l’uso di psicofarmaci sia correlato alla crescita di persone con patologie”.

    Marco racconta che al suo arrivo il presidio sanitario ha tentato in tutti i modi di limitare l’uso di psicofarmaci. I dati sembrano confermarlo perché tra il 2021 e il 2022 la spesa a persona sempre in antipsicotici scende passando da 74 a 37 euro a persona. Segno, evidentemente, di come sia possibile trovare soluzione alternative. “Poi purtroppo questo processo è stato arrestato -riprende il medico-. Sembrava di lottare contro i mulini a vento: la polizia penitenziaria insisteva all’inverosimile per somministrare farmaci, l’Azienda sanitaria tentennava nel prendere posizione e poi, soprattutto, lo spaccio interno di pastiglie era diffusissimo. Oggi la situazione è ancora peggio di prima”. Uno smercio interno messo a nudo dalla Procura di Biella che, dopo tre anni di indagine ha eseguito 56 misure cautelari a inizio settembre 2023. Soprattutto detenuti ed ex detenuti ma anche sei agenti della polizia penitenziaria accusati di corruzione, ricettazione e falso in atto pubblico.

    Non è l’unico procedimento penale in corso. Il 14 maggio è arrivata la notizia della chiusura delle indagini per venticinque agenti accusati anche di tortura. Come riporta La Stampa, uno dei casi di violenza riguarda H.M., detenuto di origine marocchina che secondo l’accusa sarebbe stato colpito con schiaffi sul volto e calci nel fianco sinistro e poi scaraventato a terra. "A quel punto un gruppo di agenti alla presenza del comandante -ricostruisce sempre il quotidiano- l’avrebbe accerchiato e poi legato con del nastro adesivo, che gli avrebbe avvolto caviglie, ginocchia e spalle, questo nonostante fosse già ammanettato". In questo cupo quadro a Biella, per più di due anni, è mancato un direttore ad hoc.

    “Il malessere che si vive nell’istituto è palpabile -spiega Sonia Caronni, la Garante dei diritti dei detenuti del Comune-. Il farmaco diventa la via per resistere a una quotidianità difficile da sopportare”. Soprattutto nel “vecchio padiglione” -che ospita anche i detenuti “protetti”- che presenta anche “carenze strutturali evidenti e di difficile risoluzione”, come scrive Antigone. “Le celle sono piccole e nei bagni non vi è spazio per muoversi. Le docce sono al piano e i sanitari presentano infiltrazioni e muffe alle pareti. Non è presente l'acqua calda e la luce non è attivabile autonomamente”.

    Questa è la cruda realtà del carcere di Biella. Un’immagine distante da quella presentata a inizio agosto 2019 quando venne annunciata l’apertura di una sartoria interna alla struttura per produrre settemila divise della penitenziaria. Nordio arriva a Biella proprio per visitare il laboratorio sartoriale, esperienza unica in Italia. La sartoria, promossa grazie al gruppo Ermenegildo Zegna, non è mai entrata a pieno regime: sono 50 i detenuti coinvolti in attività lavorativa, contro i 140 previsti dal progetto. Tra i diversi problemi di attivazione c’è anche la carenza di organico: fino al primo marzo due funzionari giuridico-pedagogici sui quattro previsti (oggi sono otto quelli presenti) e 48 agenti in meno della pianta organica sulla carta (con gli agenti indagati tutt’ora in servizio).

    Un tema molto caldo anche a livello politico. Il sottosegretario Andrea Delmastro è più volte finito sotto i riflettori: prima per il presunto festino, proprio in carcere, alla presenza di alcuni agenti sotto indagine, poi per lo “sparo” di Capodanno avvenuto a Rosazza, a pochi chilometri di Biella. Il parlamentare Emanuele Pozzolo, indagato per i fatti di quella notte, nei giorni scorsi ha accusato Pablito Morello, capo della scorta di Delmastro ed ex ispettore proprio del carcere di Biella. Dove entro il 2027, secondo i piani del sottosegretario, dovrebbe aprire una scuola per agenti nell’ex ospedale. Un costo complessivo di 77,1 milioni euro, di cui 56,5 milioni per i lavori, mentre le spese tecniche relative alla progettazione e alla direzione lavori dovrebbero richiederne circa sei milioni. “Biella non è il feudo di Delmastro come di nessun altro politico -ha commentato il deputato Marco Grimaldi di Alleanza sinistra verdi-. Il biellese è di tutte e tutti i cittadini che lo abitano, ci vivono, ci lavorano e lo amano”.

    Tra polemiche politiche e promesse vuote restano invisibili le persone che quotidianamente vivono nel carcere più sedato d’Italia. Dall’inizio del 2024 si sono suicidate nelle carceri italiane già 33 persone, oltre a cinque agenti di polizia penitenziaria. I detenuti totali, intanto, superano quota 60mila. E l’abuso di psicofarmaci è il sintomo "silenzioso" di un sistema al collasso rispetto al quale il ministro Carlo Nordio non ha ancora fornito spiegazioni. “Spero che anche gli operatori sanitari comincino a opporsi -riprende Marco, il medico che ha lavorato nel carcere di Biella-. Certe prescrizioni e somministrazioni vanno fatte solo per il bene del paziente e non per altri scopi”.

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  • “Il Comune di Milano pretenda la chiusura del Cpr”. L’appello della società civile al sindaco

    Il Comune di Milano deve pretendere la chiusura del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli e chiedere il risarcimento per il danno d’immagine subito dalla città per le gravi violazioni dei diritti dei reclusi. È il cuore dell’azione popolare promossa da Altreconomia, ActionAid, Antigone Lombardia, Asgi, Cild, Le Carbet, Mai più lager-No ai Cpr, MeltingPot, Naga, Spazi Circolari, insieme con altre sigle della società civile milanese e privati cittadini che chiede al sindaco Giuseppe Sala di rivolgersi al ministero dell’Interno per pretendere la chiusura della struttura.

    I promotori dell’appello sottolineano che il Cpr di Milano, fin dalla sua riapertura, è stato teatro di “profonda sofferenza e di costante violazione di diritti inviolabili, quali il diritto alla difesa, alla salute, a una vita dignitosa, alla libertà di comunicazione”. Lo abbiamo raccontato più volte anche su: dall’abuso di psicofarmaci ai documenti contraffatti presentati dalla società "Martinina Srl" per aggiudicarsi la gara milionaria indetta dalla prefettura per la gestione. Proprio l’azienda oggi è indagata per frode in pubbliche forniture.

    “Nonostante le documentate condizioni di vita inumane e degradanti e le inchieste da parte della Procura -si legge nell’appello- il Governo non ascolta le innumerevoli denunce da parte della società civile e annuncia l’idea di aprire un secondo Cpr sul territorio milanese”. Ma la presenza di queste strutture è in contrasto, per le organizzazioni promotrici, con lo statuto della Città di Milano, secondo cui è compito del Comune garantire “uguaglianza di trattamento alle persone e alle formazioni sociali nell’esercizio delle libertà e dei diritti, senza distinzione di età, sesso, razza, lingua, religione, opinione e condizione personale e sociale”.

    Per questo alcuni cittadini milanesi hanno presentato una formale istanza al Sindaco Giuseppe Sala affinché si attivi per ottenere la chiusura del Cpr e un risarcimento per il danno all’immagine e all’identità della città. Come tra l’altro già successo a Bari dove, in seguito a un'iniziativa simile, il ministero dell’Interno era stato condannato al risarcimento di 32mila euro per “danno di immagine” al Comune di Bari, per quanto successo nell’allora Centro di identificazione ed espulsione (Cie) della città. Se Sala, entro 90 giorni, non procederà con la richiesta saranno i cittadini stessi, attraverso una sorta di "sostituzione processuale", a procedere nei confronti del Viminale.

    L'azione popolare verrà promossa in occasione degli "Stati generali sulla detenzione amministrativa" si svolgeranno venerdì 17 e sabato 18 maggio al Teatro Officina di Milano

    A supporto dell’azione popolare promossa, si chiede alla comunità milanese che si riconosce nelle parole dello Statuto e intende difenderne i principi, di sottoscrivere un appello (è possibile farlo qui) affinché tali valori non vengano svuotati di significato dall’inerzia legittimante delle istituzioni di fronte all’orrore e alla vergogna del centro di via Corelli. L’azione popolare verrà presentata al convegno “Stati Generali sulla detenzione amministrativa” che si terrà al Teatro Officina di Milano (stazione metro Gorla) venerdì 17 e sabato 18 maggio 2024. Parteciperà anche Altreconomia. Qui è possibile consultare il programma completo.

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  • “Radici in movimento”, la nuova edizione del Festival del turismo responsabile IT.A.CÀ

    La prima tappa a inizio maggio della nuova edizione del Festival del turismo responsabile IT.A.CÀ è stata a Monte Catria, nel cuore dell’Appenino umbro-marchigiano: trekking tra i boschi, camminate culturali, "in un luogo unico e poco noto della nostra Italia". La rassegna proseguirà fino a novembre con altre 14 tappe in sette Regioni.

    Il tema scelto per la 16esima edizione del festival (di cui Altreconomia è media partner) è “Radici in movimento”, accompagnato dalla citazione del poeta e teologo Novalis: “Dove andiamo? Sempre a casa”, che punta a rappresentare il vero e proprio “Dna del festival”. Cioè il binomio turista-migrante. Se da un lato, infatti, i turisti e i viaggiatori sono visti come fonte di valori per il territorio in cui si muovono, non si può dire lo stesso per i migranti e i rifugiati, percepiti a torto come un fattore di tensione e complessità. “Vogliamo esplorare in tutte le sue tensioni e contraddizioni questa dualità, in un tentativo di tenere insieme globale e locale, l’esotico e il giardino sotto casa, il nostos del mito epico e la curiosità spalancata sul futuro”, spiega Pierluigi Musarò, cofondatore di IT.A.CÀ.  

    Un tema, quello delle migrazioni, che si intreccia con lo spopolamento dei territori e della necessità di preservare e di ritrovare le loro radici locali, che spesso si sono perse o rischiano di non ritrovarsi. “Con IT.A.CÀ, il tema della memoria lo attraversiamo da anni, declinandolo sempre in modo differente: dopo le narrazioni di comunità, abbiamo visto quanto il tema delle radici fosse al nocciolo della storia personale di ogni territorio. E del movimento, di ritorno o di andata o di entrambi, alla base di tutti i racconti”, aggiunge Sonia Bregoli, cofondatrice e responsabile rete nazionale di IT.A.CÀ.

    L’illustratrice scelta a rappresentare il tema 2024 è l’artista Francesca Murgia : con la sua opera ha voluto dipingere un mondo senza confini, accogliente e inclusivo, accessibile a tutti, dove muoversi liberamente senza incontrare ostacoli e restrizioni.  

    [caption id="attachment_193666" align="aligncenter" width="960"] © IT.A.CÀ[/caption]

    Le 14 tappe che coinvolgono sette Regioni da maggio a novembre declineranno come ogni anno il tema del festival, portando in ogni luogo la versione di ciò che il tema rappresenta per ciascun territorio. Il festival proseguirà il suo viaggio in Sardegna, dal 20 al 30 giugno, a Quartu S. Elena e nel Golfo degli Angeli, che racconterà le sue “radici in movimento” attraverso i tantissimi appuntamenti che riempiranno di cultura, musica, arte sarda, storia e tradizioni culinarie le dieci giornate.  

    A cui seguirà la tappa umbra, in Valnerina e in Valle Spoletana dal 9 all’11 agosto e dal 23 al 25 dello stesso mese, che nei giorni di San Lorenzo porterà i viaggiatori alla scoperta dell’antica lavorazione della canapa, proponendo anche dei trekking notturni, mentre nelle altre due giornate coinvolgerà i turisti in una riscoperta delle radici attraverso degustazioni tipiche, concerti meditativi e una visita all’antico mulino di Pontuglia. 

    Per poi continuare nella Valle del Panaro, in Emilia-Romagna, dal 24 agosto al primo settembre. IT.A.CÀ tornerà nuovamente in Sardegna a settembre con la tappa Ogliastra (13-22 settembre) per poi proseguire con la tappa “madre” dove si fermerà a Bologna e lungo l’appennino per un mese (dal 13 settembre al 13 ottobre). È previsto anche uno “sbarco” in Sicilia, per la precisione a Palermo (20-22 settembre) seguito da una visita a Brescia e alle sue valli (26-30 settembre).  

    Nel mese di ottobre si terranno cinque tappe. A iniziare dalla Lombardia, con Mantova, Sabbioneta e le Terre dei Gonzaga (dal 7 settembre al 6 ottobre) per poi tornare in Emilia-Romagna a Ravenna (5-6 ottobre e 12-13 ottobre) e nei Monti Sibillini, nelle Marche (10-13 ottobre) e di nuovo in Lombardia nell’Oltrepò pavese (10-13 ottobre). A fine mese (18-20 ottobre) IT.A.CÀ arriverà per la prima volta nelle Isole Eolie mentre la conclusione del festival sarà a inizio novembre (1-3 novembre) nella tappa a Taranto e nel Parco regionale naturale delle Gravine. I programmi delle singole tappe sono in via di definizione e si consiglia di visitare il sito festivalitaca.net per tutti gli aggiornamenti. 

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  • La guerra doganale degli Stati Uniti alla Cina e la bolla della superfinanza

    I due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Joe Biden e Donald Trump, stanno quotidianamente minacciando l'introduzione di ulteriori, pesanti dazi doganali nei confronti dei prodotti cinesi. Lo fanno perché la retorica del protezionismo in nome del buy american ha fatto spesso presa sull'elettorato e perché i titoli dei grandi gruppi americani si impennano ogni volta che vengono anche solo ipotizzati nuovi dazi, con grande gioia per i fondi azionisti degli stessi gruppi.

    La retorica e la finanza, tuttavia, rischiano di fare male agli Stati Uniti. La Cina, infatti, vanta un attivo commerciale nei confronti degli Stati Uniti di circa 250 miliardi di dollari l'anno; proprio questo attivo costituisce una motivazione forte per la Cina a usare il dollaro.  

    Ma se davvero il protezionismo statunitense riducesse tale avanzo, non sarebbe da escludere che la Cina potrebbe rivedere questa accettazione del dollaro come propria moneta internazionale. Non bisogna dimenticare infatti che la Cina è il primo partner per ben 120 Paesi, con un rilievo crescente del cosiddetto "Sud globale" e con un peso molto significato dell'Unione europea verso cui l'impero celeste ha una bilancia commerciale largamente attiva.  

    La guerra doganale degli Stati Uniti verso la Cina potrebbe essere così la spinta per una dedollarizzazione, in parte già avviata, a cominciare dai titoli del debito Usa che non compaiono più nel portafoglio cinese. In quel caso l'unico vero strumento di tenuta del dollaro sarebbe la liquidità dei grandi fondi finanziari, destinati a diventare ancora più decisivi per le sorti della prima potenza economica mondiale, chiunque ne sarà il presidente.  

    Del resto, la forza di quei fondi è ormai impressionante. Oggi dieci società quotate allo Standard & Poor 500 (S&P 500, l’indice delle prime aziende statunitensi per capitalizzazione) valgono oltre 15mila miliardi di dollari, pari al 34% dell'intero indice: una quota mai raggiunta nella storia. Un valore vicino al Prodotto interno lordo (Pil) della Cina nelle mani di dieci società che hanno due caratteristiche ben evidenti: sono aziende legate all'innovazione tecnologica e hanno i tre grandi fondi, Vanguard, BlackRock e State Street nel proprio azionariato con una quota vicina o superiore al 20%.  

    Mai nella storia del capitalismo si era verificata una simile concentrazione di potere con un valore azionario legato alla forza dei fondi di spingere i prezzi delle azioni delle loro società molto di più di quanto non siano in grado di fare fatturati e utili. In sintesi, nelle Big tech (Microsoft, Apple, Nvidia, Amazon, Meta, Alphabet/Google) la liquidità dei fondi loro azionisti gonfia i valori azionari moltiplicandoli rispetto ai profitti reali. La differenza con il passato è evidente; nel 2000 le prime dieci società dello S&P 500 valevano circa quattromila miliardi di dollari e, oltre a Microsoft, comparivano tra loro General Electric, Walmart, Exxon Mobil, At&T e Citigroup; tanta economia reale, con utili alti senza la liquidità drogata dei fondi.

    Quella bolla è scoppiata. Quella attuale è tre volte più grande e molto drogata e continua a crescere. Il fondo BlackRock ha "lanciato" due Exchange-traded fund (Etf) sui Buoni del Tesoro poliennali (Btp) italiani. In pratica il colosso del risparmio ha creato due prodotti finanziari che replicano l'andamento dei titoli di Stato italiani: una sorta di strumento "parassita" che guadagna sull'andamento dei titoli di Stato più venduti. La grande finanza utilizza il debito pubblico come canale per ampliare i confini della finanziarizzazione, portandone la soglia a cinque euro, e per trovare liquidità. La trasformazione persino dei micro-risparmiatori in soggetti finanziari, legati alle "big three", è favorita da un'aliquota del 12,5%. Il mutamento genetico di vaste fasce sociali è in atto. In questa partita, però, la superfinanza Usa può incontrare ostacoli importanti proprio dalla Cina.  

    Le prime quattro banche al mondo per valore degli attivi sono cinesi e sono, rigorosamente, di proprietà dello Stato. Il volume complessivo di tali attivi è di poco inferiore ai 20mila miliardi di dollari; una montagna di risparmio gestito che, se pur sottoposto a vari dubbi per l'assenza di una reale "certificazione", costituisce un unicum nel panorama globale, superiore agli attivi delle prime banche Usa e paragonabile solo ai super fondi. A lungo proprio le banche a stelle e strisce e più di recente i fondi hanno provato a entrare in tale sistema, utilizzando vari canali, in parte legati all'adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ma senza troppo successo.  

    In questo contesto si situa il tentativo, esplicito, del presidente francese Emmanuel Macron di stabilire un rapporto privilegiato con l'omologo cinese Xi Jinping. Questa grande attenzione forse si può spiegare anche con l'ambizione della finanza francese, a cominciare da un colosso come Amundi, di riuscire a stabilire relazioni con il sistema bancario cinese, costruendo un argine allo strapotere delle "big three" americane e fornendo, al tempo stesso, alle banche cinesi una strada per entrare nella finanza "occidentale", mettendo a frutto una parte di quella sterminata massa di attivi. Si profilerebbe uno strano quadro, quasi surreale, ma molto efficace, in cui il comunismo finanziario si inserirebbe nella inevitabile guerra intestina del turbocapitalismo nel tentativo di abbattere un monopolio che ha distrutto il libero mercato. 

    Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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