Nucleare, il costo dell’uranio è un rebus
Con il via libera del Consiglio dei Ministri al decreto legislativo licenziato lo scorso 10 febbraio si è compiuto un atto decisivo per la ripartenza del nucleare nel nostro Paese. Un atto che, tuttavia, ha trascinato con sé nuove critiche e perfino significativi distinguo all’interno dello schieramento governativo. La questione che maggiormente agita l’opinione pubblica è quella relativa alla localizzazione dei siti destinati a ospitare centrali e smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività.
Meno attenzione, inaspettatamente, è stata data invece ad un aspetto strategico e decisivo per un ragionato ritorno alla produzione di energia elettrica dall’atomo: l’approvvigionamento del combustibile necessario a far funzionare i reattori, un tema assai delicato perché capace di influenzare la convenienza economica di tutta la filiera nucleare. Oggi, infatti, le riserve mondiali di uranio sono in mano a poche compagnie straniere e il rischio che l’Italia possa trovarsi in maniera eccessiva dipendente dall’estero non è da trascurare, perche verrebbero messi in crisi alcuni dei presupposti fondamentali (parziale autosufficienza energetica, limite ai costi per la generazione di energia) che hanno accompagnato la decisione di puntare sul nucleare. Infatti, più della metà dei 439 impianti in esercizio ha un solo fornitore di combustibile ed oltre un terzo di essi dipende da appena due fornitori. Diventa così importante sapere come sia possibile ovviare a una scarsa competizione che, considerata la domanda in crescita, suscita timori per un rialzo speculativo dei prezzi della "materia prima".(...)
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http://www.repubblica.it/supplementi/af/1999/02/22/rapporto/047kiave.html
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