Moby Dick ovvero l’importanza della forma

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La condanna dei classici è la loro stessa fama: scontano la pena di essere universalmente noti a grandi linee con il mutismo della curiosità. Perché, si chiede qualcuno, leggere un’opera della quale già conosco la conclusione? Come se un romanzo si potesse ridurre alla sua trama o un film alla sua sceneggiatura. Al contrario, proprio le opere che si poggiano per intero sul colpo di scena o sulla scoperta dell’assassino – svelati i quali perdono ogni interesse – sono quelle che non meritano il nostro tempo. Conosciamo per filo e per segno i film che torniamo a rivedere o le poesie che torniamo a rileggere, eppure non solo non smettono di regalarci piacere, ma, anzi, cresce in noi il loro fascino. Perché a catturarci, ben più della vicenda, è il modo in cui ci viene narrata. Il sigillo dell’arte è tutto nello stile: per fare un classico non basta raccontare le avventure del cavaliere della Mancia o del principe di Danimarca, bisogna farlo in maniera unica e indimenticabile, cioè il più corrispondente possibile al loro essere. (...)

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