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UN AUGURIO PER IL NUOVO ANNO

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UN AUGURIO PER IL NUOVO ANNO, SECOLO O MILLENNIO (FATE VOI...)


La fine di un anno è sempre tempo di bilanci. Economico-finanziari o politici per una intera nazione o psicologico- esistenziali per il singolo individuo sono sempre momenti di passaggio importanti, di revisione critica del passato e di proposizione per il futuro.

Se poi a questo si aggiunge l'emozione dell'entrata in un nuovo decennio, l'ansia del passaggio in un altro secolo e l'angoscia millenaristica del traghettamento nel 2000 aggiungiamo alla mezzanotte del fatidico 31 dicembre un valore simbolico forse eccessivo.

Settimanali e quotidiani ultimamente non hanno fatto altro che prepararci al passaggio fatidico: il leit-motiv insistente appare la ricerca del modo più eccentrico per passare la notte di San Silvestro oppure il ricordarci ossessivo, attraverso l'uso di calendari con attrici famose più per gli attributi estetici che per bravura professionale, l'importanza dell'esteriorità superficiale sull'introspezione costruttiva. Sic transit gloria mundi!

Ignoranza e società della comunicazione

Se quella notte l'orgia di cibo, doni e/o di riferimenti culturali non ci avrà stravolto, continueremo la nostra vita quotidiana probabilmente in maniera molto simile a quella che conduciamo oggi, nel passato in cui ancora viviamo, nell'era della comunicazione eppure ignari di tante cose.

Ignari di tante cose sono quel 20 % di ricchi che consumano ormai l’80% delle risorse della Terra, lasciando al 80% dei poveri quel misero 20% di risorse per morire lentamente di fame o per sopravvivere ai limiti della decenza.

Ignari sono i turisti sprovveduti e disinformati a cui interessano poco o nulla il contatto con chi abita il luogo in cui hanno scelto di passare la loro vacanza patinata: sapere qualcosa in più sugli scempi e le violenze appena là fuori dal “villaggio-vacanze” probabilmente gli rovinerebbe il divertimento (se invece volete viaggiare, sapendo dove non andare, leggete l’istruttivo “I coralli sono morti” di F. Carbone, Stampa Alternativa).

Uno dei paradossi di appartenere ad un paese economicamente e tecnologicamente avanzato risiede nella incomunicabilità tra istituzioni dello Stato, tra colleghi di lavoro, tra mogli e mariti, tra genitori e figli. A giudicare dall'alto numero di casi di schizofrenia in giro, anche la comunicazione intrapersonale risulta piuttosto difficile.

Eppure abbiamo gettato le basi per la civiltà della comunicazione:

-) abbiamo mezzi (aerei, navi, treni, automobili) per spostarci "fisicamente" da un paese all'altro per conoscere le reciproche realtà, per muoversi in ogni più remoto angolo della Terra, pressoché già tutta esplorata e catalogata;

-) altri per vivere "virtualmente" e specchiarci nelle esperienze di altri nostri simili (il teatro, il cinema, la televisione), per affacciarsi all'esplorazione di quell'altro affascinante pianeta offertoci dall'umanità e dalle sue vicende;

-) con i satelliti possiamo spiare i nostri nemici e lanciare un allarme tempestivo in caso di attacco missilistico oppure prevedere le bizzarrie del tempo atmosferico, aiutare i naviganti, ampliare le possibilità di comunicazione da un continente all'altro, osservare dall'alto la Terra per conoscerne in tempo reale mutamenti ed "umori", condurre esperimenti scientifici e trasmettere di tutto (telefonia fissa e mobile, programmi radio e tv, teleconferenze, servizi multimediali, ecc. ecc.);

-) attraverso il computer, ormai alla portata di tutti, possediamo un mezzo per codificare messaggi inviabili in tempo reale, attraverso la posta elettronica, ad altri utenti in ogni parte del mondo e la rete Internet ci consente l'accesso a banche dati del sapere finora riservate solo agli specialisti;

-) con i telefoni cellulari (TACS e GSM, dual band e trial band, continentali e satellitari) senza neanche raggiungere l'età della ragione siamo già in grado di riempire lo spazio di radiofrequenze per trasmettere messaggi e discorsi perlopiù di dubbia utilità.

Già, lo spazio! Finita di colonizzare la Terra (e per colonizzare intendiamo sottomettere, depredare, distruggere, impoverire, sfruttare, desertificare) ci proiettiamo nel cosmo con i nostri messaggi, con le nostre sonde per poi sperare di metter piede su qualche altro pianeta simile al nostro per colonizzare allo stesso modo altri luoghi dell'Universo.

Ma torniamo un momento con i piedi per terra, sulla nostra cara, vecchia, acciaccatissima Terra.

Riflettevo l’altro giorno sull’enorme mole di dati, di ricerche, di studi, di rapporti che abbiamo fin qui acquisito su questo nostro pianeta: secoli di osservazioni, migliaia di scienziati, miliardi di informazioni. Eppure siamo pronti ad investire in nuove ricerche miliardi di miliardi.

Mai i dati fin qui acquisiti a cosa sono serviti? I rapporti che le organizzazioni mondiali più accreditate stilano ogni anno a che servono? Le apparecchiature scientifiche più sofisticate sono state davvero all’altezza del loro costo?

Solo tra il 2000 e il 2009, secondo la stimata società di ricerche americana Teal Group, andranno in orbita circa 1450 satelliti di ogni tipo (commerciali, civili, militari) e dimensione, per un valore complessivo di 130 miliardi di dollari!

130 miliardi di dollari! Una somma enorme se confrontata con il magro bilancio delle agenzie mondiali e delle organizzazioni non governative che devono confrontarsi con le costosissime conseguenze dell’ignoranza umana: fame, sete, distruzione dell’ambiente terrestre e marino, inquinamento dell’atmosfera, guerre, migrazioni, discriminazioni etniche, religiose, sessuali, ecc. ecc.

Per risolvere i tanti sintomi causati dall'ignoranza umana si chiameranno a raccolta grandi politici, brillanti economisti, eminenti scienziati: le cure proposte saranno probabilmente molte e non mancheranno le controindicazioni e gli effetti collaterali.

Tanto diverse sono infatti le angolazioni spazio-temporali e le "deformazioni professionali" di specialisti da sempre portati ad affrontare in maniera per lo più settoriale i problemi che si trovano ad affrontare.

Le esperienze fin qui accumulate dovrebbero ormai insegnarci la necessità, per affrontare anche solo i sintomi suddetti, di un'ottica diversa.

Quando di necessità si fa virtù...

Una proposta interessante viene da un gruppo di ecologi statunitensi che si sono chiesti: "Si può far progredire la ricerca senza raccogliere nuovi dati, ma semplicemente sfruttando meglio quelli già acquisiti?"

Di fronte ai sempre più scarsi finanziamenti per la ricerca scientifica che non sia quella ad alto valore aggiunto (con interessanti ricadute economiche come la ricerca astronomica, la fisica delle alte energie, le biotecnologie) alcuni ricercatori di ecologia dell'Università della California hanno costituito nel 1995, con sede nella città di Santa Barbara, il National Center for Ecological Analysis and Synthesis (NCEAS).

Lo studio di interi gruppi animali, di rapporti tra le specie e delle interconnessioni all’interno degli ecosistemi rende l’ecologia una delle scienze più complesse e difficili: comprendere tale relazioni sta diventando impossibile, anche con i moderni mezi messi a disposizione dalla matematica e dall’informatica applicata.

Una delle maggiori difficoltà è di tipo quantitativo: non è facile riuscire ad ottenere i dati e, soprattutto, elaborarli. Ci vogliono computer di grande potenza e un gran numero di ore-uomo per analizzare i risultati che i calcoli hanno prodotto.

C’è poi un problema “qualitativo”: gli studi hanno generato fin qui una gran messe di dati ma molto poco in termini di modelli generali e di teorie. Perchè dunque non cercare di risalire ad alcune leggi di validità generale, che non siano legate alle contingenze di questo o quell’ecosistema?

Così i fondatori del NCEAS si son detti: visto che molti dati ci sono, anche se sparsi in migliaia di pubblicazioni e di lavori scientifici, perchè non utilizzarli? Riuniamo i migliori ecologi mondiali e facciamoli ragionare sui grandi temi, chiedendo la loro collaborazione su progetti di ricerca, proposte e idee, a partire dalle informazioni già esistenti.

Esistono grandi raccolte di dati, costruite in anni di esperimenti sul campo, la cui realizzazione è costata milioni di dollari. - racconta il prof. Carpenter dell’Università del Wisconsin, membro del comitato scientifico del NCEAS - Noi siamo in grado di svolgere un lavoro ad alto valore aggiunto: possiamo raccogliere pochi esperti affinchè analizzino il significato di questa messe di dati per un costo di soli 20.000 dollari”.

La sfida è quella di rinnovare i paradigmi scientifici dell’ecologia e di costruire una scienza che possa essere predittiva, che cioè sia in grado di prevedere le dinamiche future degli ecosistemi con una serie anche limitata di dati.

Chi acquista sapere, acquista dolere”

Proprio adesso, in queste ultime ore del 1999, la cronaca dei disastri meteorologici mette in allarme le popolazioni anche dei paesi più avanzati che si scoprono impotenti di fronte allo scatenarsi della potenza degli elementi.

Le alterazioni alla fisiologia dell’ecosistema Terra accompagnate dallo stravolgimento degli assetti territoriali fatto in nome dello “sviluppo” aggiunge alla “calamità naturale” la tragicità di un danno fatto dall’uomo a se stesso.

Auguriamoci, dunque, che l’approccio sintetico intuito dall’ecologia sia seguito da tutte le altre discipline scientifiche, dagli economisti, dai politici. E che, al di là di individuare e di curare (ammesso che sia possibile) i sintomi dei mali che affliggono l’umanità, si faccia qualcosa per vincere il male alla radice: l’ignoranza.

In un mondo reso sempre più piccolo dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione chi sa e chi non sa resta paradossalmente e drammaticamente sempre più isolato dagli altri.

Qualcuno, più avido di un “sapere” che promette di essere “potere” sugli altri, si culla nell’idea che questo isolamento dell’essere giovi al mantenimento del drammatico statu quo a cui assistiamo oggi.

Ma i muri di Berlino, quelli dell’apartheid, quelli del benessere elitario possono cadere... presi d’assalto da chi si ribella alle disparità stridenti nella ingiusta distribuzione che l’uomo fa di tanti beni di questo pianeta.

Un augurio a tutti affinchè o con l’esperienza degli anni o anche grazie alla saggezza dei libri (e di chi li scrive) il dolore di chi acquisisce sapere si trasformi in ricerca di comunicazione, di amore, di giustizia, di verità.

 

 


 
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