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VOX CLAMANS IN DESERTUM

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VOX CLAMANS IN DESERTUM

Considerazioni sulla lotta contro la desertificazione delle coscienze che fa avanzare i deserti

(articolo pubblicato sulla rivista "Cultura e Natura" n. 2 (2000)

 

In un mondo sempre più cinico che sta sperimentando sulla pelle dei più poveri ed emarginati la dura “legge del mercato” che premia ma , al tempo stesso, punisce chi vi si adegua rinnegando la sua umanità, avanza un nemico difficile da combattere.

Un qualcosa che è dentro di noi ma i cui effetti sono fuori di noi...

Il deserto nelle coscienze genera paesaggi desolati, in cui la vita è assente, in cui lo spirito dell’uomo che osserva la natura non può che disperarsi per ciò che non ha creato, per ciò che ha distrutto.

La desertificazione è lì fuori, ormai non troppo lontano dalle nostre metropoli evolute, a testimoniarci l’incuria, l’abbandono, l’inerzia o, peggio, l’inetta presunzione di onnipotenza con cui abbiamo trattato la nostra Madre Terra.

Le cause ormai sono chiare: la scienza ce lo conferma (vedi scheda) ma richiede altre prove, altre certezze irrefutabili prima di esporsi, prima di alzare il suo “grido di dolore” in un mondo come quello di oggi, dove, paradossalmente, basiamo tutto sulla comunicazione ma in cui siamo così restii ad ascoltare le voci fuori dal coro di chi non ha niente da vendere nel mercato globalizzato.

All’interno di esso troverete anche chi, basandosi sulle disgrazie altrui - come nel recente Forum mondiale per l’acqua dell’Aja - paventa l’avanzata del deserto come spauracchio per aggiudicarsi più in fretta il mercato sempre più appetito dell’acqua. Acqua che diverta merce di scambio, “bisogno umano di base” (e come tale da soddisfare...a caro prezzo) e non più “diritto umano e sociale di base” di cui garantire almeno un libero accesso.

L’ipocrisia degli Stati sedicenti “democratici” - che orientano il destino dei loro “sudditi” attraverso un’educazione del tutto priva delle cognizioni di base atte a prevenire il dissesto del proprio territorio, le patologie legate ad un uso scellerato delle risorse idriche, la rovina di quell’esile substrato biologico a cui dobbiamo nutrimento e prosperità - è grande almeno quanto la loro operosità nel mettersi intorno ad un tavolo per risolvere una volta per tutte questo tipo di problemi.


Montagne di carta contro il deserto

Ho partecipato in prima persona alle estenuanti riunioni internazionali in cui si dibattono problemi annosi come la fame, la malnutrizione, le malattie, la desertificazione, appunto, cesellando definizioni, dichiarazioni, piani d’azione, destinati per lo più a restare vuote e macabre esercitazioni di stile intorno a fatti e cifre raccapriccianti se viste con occhi appena un pò più partecipi delle sofferenze umane

E’ impressionante vedere, dai documenti ufficiali, quanti “sforzi” vengono fatti per arginare un fenomeno drammatico quale quello che mette a repentaglio l’esistenza di centinaia di milioni di esseri umani nei Paesi più poveri della Terra.

Dalla risoluzione 32/172 dell’Assemblea della Nazioni Unite che puntava, già nel lontano dicembre 1977, ad un piano d’azione per combattere il fenomeno della desertificazione al Capitolo 12 dell’Agenda 21, il corposo frutto della Conferenza su Ambiente e Sviluppo (Rio de Janeiro, 1992), che pose le basi per la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione nei Paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o dalla desertificazione, in particolare in Africa” (UNCCD) stilata a Parigi nel 1994 ed entrata in vigore nel 1996, la comunità internazionale si è dotata di strumenti giuridici e scientifici adeguati per fronteggiare quest’emergenza che però, a livello operativo, dev’essere gestita in un quadro regionale e attraverso strumenti adeguati che ogni singola Nazione deve attivare sul suo territorio.

Nascono cosi (o almeno dovrebbero farlo in tutte le nazioni parti della Convenzione) attraverso leggi di ratifica ed esecuzione della UNCCD, i vari Comitati nazionali per la lotta alla siccità e/o alla desertificazione che hanno come compito precipuo lo studio dei fenomeni oggetto e, soprattutto, l’individuazione delle linee guida per la predisposizione dei Piani d’azione nazionali con annessi rapporti.


Si uccide più con la lingua che con la spada”?

La lettura dei documenti internazionali è particolarmente interessante: prendendo ad esempio la suddetta UNCCD, nell’Introduzione vengono individuati con chiarezza i termini del problema attraverso, innanzitutto una univoca definizione dei termini e delle espressioni indicate nel testo.

Altrettanto chiari e affermativi sono, all’articolo 2, gli obiettivi, ma già all’articolo seguente, laddove si parla di principi per raggiungere gli obiettivi della Convenzione e per applicarne le disposizioni, si comincia a sfumarne la volontà attraverso l’uso del condizionale:

  • dovrebbero assicurarsi che le decisioni...siano prese con la partecipazione delle popolazioni...”;

  • dovrebbero , in spirito di solidarietà e di compartecipazione internazionali, migliorare la cooperazione e il coordinamento...”;

  • dovrebbero, in uno spirito di compartecipazione, istituire una cooperazione tra i poteri...”;

  • dovrebbero prendere pienamente in considerazione la situazione e i bisogni particolari dei Paesi in sviluppo colpiti...”.

Forse l’uso dell’indicativo sarebbe stato troppo vincolante...

Il dubbio rimane allorquando, nella Seconda parte, si dettano le disposizioni generali: sotto il titolo “Obblighi generali” le volitive azioni per aggiungere l’obiettivo della presente Convenzione sono precedute da un sibillino “secondo quanto conviene”: a chi?

La cooperazione è al centro dell’art. 4: al paragrafo 2 nei punti d, e, f, g le Parti sono stimolate ad incoraggiare tale azione comune tra i Paesi colpiti, tramite un rafforzamento della cooperazione subregionale, regionale, internazionale, oppure in seno ad organizzazioni intergovernative competenti, stabilendo “meccanismi istituzionali, se è il caso, tenendo presente la necessità di evitare doppioni”.

Ma, a giudicare da quanto emerge dal fiorire di iniziative che questa Convenzione ha aiutato a crescere, qui si rischia di “cooperare troppo” non del tutto a giovamento di coloro che si vorrebbero aiutare...

Passando, per così dire, alla fase operativa, nella “Parte Terza - Sezione 1: Programmi d’azione”, all’art. 9 si dice che: “Per adempiere gli obblighi loro imposti dall’articolo 5, i Paesi... elaborano, pubblicano o eseguono, secondo quanto conviene, programmi d’azione nazionali...”.

Si tratta, nelle intenzioni dei recensori della Convenzione di un insieme di strategie preventive e a breve, medio e lungo termine che, solo presupponendo un interesse precipuo e cogente da parte di ciascuno Stato Parte della Convenzione a impostare le sue risorse ed i suoi interessi verso uno sviluppo armonico e democraticamente condiviso, consentirebbero, se attuate realmente, un’esistenza felice e prospera delle popolazioni.

Un “volo pindarico” da parte di Istituzioni che in gran parte si limiteranno ad altri “voli pindarici” a livello di piano d’azione nazionale. Ci auguriamo di sbagliarci ma, visti i precedenti e la realtà quotidiana di tanti Paesi sedicenti “avanzati” che favoriscono lo sviluppo (soprattutto bellico) di Paesi sedicenti “meno avanzati” in lotta tra loro e non contro la desertificazione, che al contrario favoriscono ...

 


Italia: dalla teoria alla pratica...legale e non

Se, come detto, il nostro paese brilla per background culturale e legislativo nella redazione di leggi e piani assai nobili ed ispirati, non altrettanto può dirsi per la loro effettiva realizzazione.

Abbiamo già in passato dovuto occuparci di uno dei documenti citati nelle premesse del Programma nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione e cioè del “Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile”del 1993, forse il documento più bello ed ispirato ma anche quello che, perfino sul piano della divulgazione, non ha lasciato traccia di sé.

Nel caso in esame l’Italia, di solito piuttosto lenta nel recepire le istanze comunitarie ed internazionali, ha invece mostrato un’insolita solerzia nell’attivarsi: con la legge 4/6/1997 n. 170 il nostro Paese si è dotato di quel provvedimento di ratifica e di esecuzione necessario per rendere operativa anche nel nostro Paese la Convenzione sulla lotta contro la desertificazione.

Con il DPCM del 26/9/1997 veniva istituito il Comitato nazionale con il compito di seguire la predisposizione del piano d’azione nazionale nel contesto del bacino del Mediterraneo e di redigere un primo rapporto entro la fine del 1998.

Puntualmente, con la delibera CIPE n. 154 del 22/12/1998, arrivava la “Prima comunicazione nazionale in attuazione della UNCCD” a cui seguiva il 22/7/1999 la pubblicazione da parte del Comitato nazionale per la lotta alla desertificazione delle “Linee guida del piano di azione nazionale per la lotta alla desertificazione”.

Paradossalmente in questo documento, frutto di un’attività legislativa spasmodica, si evince che per combattere la desertificazione uno dei principi generali più importanti è l’applicazione e valorizzazione delle norme nazionali e comunitarie esistenti, favorendo l’attuazione da parte delle Regioni di leggi e programmi mirati.

Il Piano nazionale, deliberato dal CIPE il 21/12 1999, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15/2/2000, si apre con una lunghissima premessa di 4 colonne di atti, decreti, delibere, regolamenti e leggi che, almeno teoricamente, ci consentono di avere tutti i presupposti per ben operare su questo fronte, ammettendo di riuscire ad individuare correttamente tutte le competenze che regolano risorse idriche, suolo, attività agricola e forestale, rischi idrogeologici, riciclo dei rifiuti ed altri aspetti rilevanti ai fini della desertificazione.

Se poi lo Stato non ci riesce, ci penserà l’ecomafia a gestirne le fila con i risultati che si evidenziano proprio in termini, purtroppo, di degrado territoriale e culturale.


Coltivare una nuova cultura...

Ho partecipato recentemente ad un interessante ed istruttivo incontro per la presentazione di un innovativo sistema di aratura contro la desertificazione (sviluppato da un nostro valente agronomo, il dott. Venanzio Vallerani- vedi scheda) che ha visto la partecipazione di autorevoli rappresentanti della F.A.O., di tecnici della Cooperazione allo Sviluppo, delle ambasciate di numerosi Paesi e della altre agenzie dell’ONU che si occupano di queste tematiche.

Da più parti, nel corso del dibattito che ha visto la partecipazione di qualificati esperti con alle spalle anni di lavoro sul campo in varie parti del mondo, si evidenziato quanto importante sia la necessità di affrontare la lotta alla desertificazione, prima di tutto, “nella testa della gente” attraverso un educazione che punti alla prevenzione di certi fenomeni.

Sviluppare insieme una “cultura”nuova, e non già solo introdurre una nuova “coltura” può sembrare strano detto da tecnici agronomi con esperienze diverse maturate in continenti lontani, nel difficile lavoro di inserirsi in sistemi agricoli autoctoni vecchi di millenni con l’intento di apportare novità tecnico-scientifiche frutto di studi e di ricerche senza indossare i panni del neocolonialista.

Vincere la sfida contro il deserto sempre di più vorrà dire in futuro prevenire i prodromi di un degrado che ha radici lunghe nella innocente ignoranza delle popolazioni che nascono, vivono e muoiono senza sapere perchè e nella colpevole negligenza di chi manifesta la volontà politica di sottovalutare, ritardare o far finta di ignorare la necessità di prendersi cura delle basi stesse della vita e della civile convivenza tra gli uomini.

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Scheda 

Il sistema Vallerani

La tecnica tradizionale di scavo a mano di micro-bacini, diffusa da secoli in tutto il bacino del Mediterraneo e nelle isole Canarie e Capo Verde, è stata largamente adottata da tutte le Agenzie di cooperazione e considerata come una efficace pratica di aridocoltura.

Il Sistema Vallerani è un nuovo approccio tecnico e socio-culturale ai problemi del degrado ambientale, della desertificazione e della insicurezza alimentare nelle regioni aride e semi-aride del pianeta.

Sul piano tecnico il sistema si avvale principalmente di due aratri speciali che scavano nel terreno una serie di solchi a semiluna per la raccolta e la concentrazione delle risorse disponibili (acque di pioggia e di scorrimento superficiale, terra fina e materia organica).

Un trattore dotato di questo aratro è in grado di compiere il lavoro di 2000 uomini con una capacità lavorativa media di 2 ettari/ora (15 ha/giorno).

Il coefficiente medio di moltiplicazione dell’acqua e delle rese produttive agro-silvo-pastorali del sistema è 2-3 volte quello dei terreni non trattati e consente di produrre alimenti anche nelle condizioni più difficili.

La raccolta e concentrazione dell’acqua di pioggia permette la crescita di colture erbacee ed arboree che vengono seminate direttamente in loco (e non più utilizzando le piantine da vivaio, ad apparato radicale superficiale e necessitanti quindi continua irrigazione di soccorso): questo rende la riforestazione quanto più rapida, economica ed efficace possibile.

Sul piano sociale, esso solleva le comunità interessate dai lavori più duri di difesa ambientale (scavo delle buche, preparazione dei vivai, trapianto delle piantine, irrigazione delle stesse) consentendo loro di dedicarsi più facilmente a quelli leggeri e complementari.

Un rapporto non dirigistico, aperto ed interattivo, fra la direzione tecnica del programma di riqualificazione e le comunità interessate, è fondamentale per conquistare la fiducia della popolazione e per promuoverne rapidamente, attraverso una opportuna educazione ambientale, la partecipazione attiva, cosciente e responsabile alle tematiche e alle azioni di risanamento ambientale e produttivo.

Proprio in virtù della sua efficacia, economicità e semplicità applicativa - che minacciano consolidate ma superate strategie di sviluppo - il sistema Vallerani è stato fortemente avversato, sia a livello nazionale che internazionale, da una ristretta ma agguerrita schiera di tecnici.

Ciò nonostante dove è stato possibile promuovere la sua introduzione (Burkina Faso, Niger, Senegal, Ciad) nel quadro di programmi finanziati da Agenzie nazionali e internazionali (FAO, IFAD, Cooperazione tedesca, danese e svizzera) i risultati sono stati sempre estremamente positivi, in particolare per quanto concerne la produzione agro-alimentare e il miglioramento dei pascoli.

Questo sistema, nato da 50 anni di esperienza professionale vissuta con una coinvolgente umanità partecipe alle difficoltà di vita delle popolazioni che ha conosciuto, punta a realizzare nel breve, medio e lungo termine quella valorizzazione integrata delle risorse umane e naturali che, sotto il nome di “sviluppo eco-compatibile”, potrebbe arginare quel deserto che spesso segue e non precede l’arrivo dell’uomo.

Vallerani lancia ora una nuova sfida alle istituzioni: con i suoi aratri si potrebbe realizzare una fascia di 6000 km di lunghezza per 10 di profondità per fermare il fronte del deserto che avanza nel Sahel, con un costo di 300 miliardi (il costo di 10 aereoplani da guerra...).

Quale guerra preferiranno combattere i governi e le istituzioni internazionali di quest’area “calda” in tutti i sensi del pianeta? Ai posteri l’ardua sentenza...

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Riquadro

LA STANCHEZZA DELLA TERRA

Cause ed effetti della desertificazione

Le regioni aride, caratterizzate da equilibri ecologici molto delicati in quanto a causa del clima la quantità di acqua perduta attraverso l’evaporazione è superiore talvolta a quella caduta con le piogge, costituiscono circa il 47% di tutte le terre emerse.

In molte regioni aride del pianeta la qualità del suolo si va rapidamente deteriorando in modo tale da non poter più permettere la vita animale e vegetale, dando luogo a quel processo denominato “desertificazione”.

La Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione definisce con questo termine “il degrado delle terre nelle zone aride, semi-aride e subumide secche provocato da diversi fattori, tra i quali le variazioni climatiche e le attività umane”.

Circa 1/5 di queste zone ha già subito questo processo in maniera più o meno grave che ora rischia di estendersi a vaste aree in tutti i continenti: in Europa, dove sono presenti circa il 6% delle zone aride del pianeta la desertificazione ha già colpito 1/3 di queste terre - in Italia sono a rischio le regioni del Mezzogiorno, la Sicilia e la Sardegna.

Tale degrado del territorio è dovuto a varie cause:

  • naturali: caratteristiche climatiche - siccità, piogge brevi ma intense, vento;

    caratteristiche dei suoli - basso contenuto di argilla e di sostanza organica;

    fenomeni erosivi dovuti alla forma del paesaggio (esposizione solare e presenza di pendii lunghi, ripidi; presenza e varietà della vegetazione)

  • antropiche: utilizzo improprio delle risorse idriche - pozzi, sfruttamento dei fiumi, dighe;

deforestazione ed incendi;

attività agricole e zootecniche improprie - uso di macchine, lavorazioni ed

irrigazioni non idonee, monocolture, impiego di fertilizzanti e pesticidi,

pascolo eccessivo;

variazioni nell’uso del territorio - espansione delle aree urbane, abbandono delle campagne;

cambiamenti climatici indotti dall’uomo - alterazione della composizione dell’atmosfera terrestre.


La desertificazione minaccia oggi ambienti naturali e insediamenti, culture e attività produttive di oltre 1 miliardo di persone in oltre 100 Paesi contribuendo a determinare:

  • erosione dei suoli

  • impoverimento delle falde acquifere

  • tempeste di sabbia

  • danni alla vegetazione e alla fauna

  • frane ed inondazioni improvvise

  • aumento della povertà

  • esodo di popolazioni

  • incremento dell’urbanizzazione

  • aumento dei conflitti sociali ed etnici, instabilità politica, conflitti armati

  • malnutrizione, fame e carestie

  • effetti sulla salute (indebolimento delle difese immunitarie, malattie respiratorie, allergie, infezioni agli occhi).

 
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