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ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI

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Agronomo – Direttore di Cultura e Natura - Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.


Etica della ricerca e... etichette commerciali non garantiscono trasparenza ai cibi transgenici

La fiera dei paradossi...

Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati è stato al centro quest’estate delle polemiche derivate dalla scoperta in Piemonte, e poi via via in altre regioni, di coltivazioni illegali di mais transgenico. Sullo sfondo le tensioni tra Europa e Stati Uniti per un business del transgenico - che nel settore agroalimentare vale oggi circa 1,7 miliardi di euro - concentrato per lo più su quattro specie (soia, 62%; cotone, 22%; mais, 21%; colza, 5%).
Negli Usa, paese leader per produzione e consumo di organismi geneticamente modificati (Ogm), un prodotto equivale ad uno tradizionale e non esiste l’obbligo di segnalarlo in etichetta. Il principio adottato é chiaro: finché non c’è prova che possa essere dannoso per la salute o l’ambiente, può essere commercializzato. Paradossalmente, gli Ogm tanto equivalenti non sono se chi li produce si fa pagare profumatamente per la ricerca, l’applicazione tecnologica e il brevetto: chi li acquista ad un prezzo più alto lo fa proprio perché non sono uguali ai prodotti tradizionali, o no?
Sugli Ogm peraltro l’opinione pubblica, europea o americana che sia, è soggetta all’informazione mediatica pilotata dagli interessi economici che evidenziano e ingigantiscono, in genere, gli argomenti a favore per poi sottacere e sconfessare le tesi contrarie. Il sano, prudente e perenne dubbio dello scienziato sul suo operare è ormai sostituito dalla necessità di schierarsi, possibilmente dalla parte del... vincitore.
Del resto gli interessi economici in campo sono enormi e sono strettamente legati allo sviluppo di un approccio “settoriale” fortemente “commerciale”, presentato molto spesso come il solo modo per risolvere anche un problema “globale” altamente “etico”: quello della fame nel mondo. Paradossi della globalizzazione! Quando Bush aveva criticato l’opposizione europea alle biotecnologie, affermando che tale reticenza era un ostacolo alla lotta contro la carestia in Africa, non aveva detto che in realtà questa opposizione faceva perdere centinaia di milioni di dollari agli esportatori americani. In gioco c’è il dominio, attraverso il controllo delle sementi, di un nuovo segmento della catena alimentare da parte di poche multinazionali. In questa “guerra” la fame nel mondo c’entra poco: è accertato che alla base di tale tragedia non c’è la sottoproduzione agricola, ma l’iniqua ripartizione delle risorse.
Gli Ogm appartengono ad un modello agricolo che punta alla monocoltura e all’uniformità genetica, un modello certamente efficiente nel produrre una grande quantità di cibo, ma che necessita di grandi input energetici e che minaccia le basi stesse della biodiversità e della fertilità dei suoli. L’espansione di questo modello si scontra con l’approccio tradizionale basato su un’agricoltura catalogata con disprezzo come di “sussistenza”, ma che ha consentito per millenni e che consente tuttora a miliardi di persone di potersi nutrire.

 


Una questione di “etichetta”...

Dopo la moratoria indetta nel 1999 da alcuni paesi europei (Francia, Belgio, Danimarca, Austria, Grecia, Lussemburgo e Italia), lo scorso 24 luglio sono state approvate le nuove norme europee che stabiliscono i criteri di etichettatura e tracciabilità degli Ogm e dei loro derivati negli alimenti e nei mangimi per animali.
Questo evento ha aperto la strada alla soppressione della moratoria del 1999 sulle nuove autorizzazioni per l’utilizzo di prodotti transgenici (Washington si è lamentata che questo blocco è costato agli agricoltori mancati introiti per oltre 1,2 miliardi di dollari): e infatti, subito dopo il compromesso raggiunto a Bruxelles, 18 Ogm hanno già ottenuto l’autorizzazione di vendita nell’UE, mentre gli esperti della Commissione hanno dato parere favorevole per altri 19.
La nuova legislazione - varata a luglio e ancora in attesa di pubblicazione (le nuove regole entreranno in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE e gli operatori avranno 6 mesi per conformarsi alle nuove decisioni) - prevede che siano identificati gli alimenti che contengono più dello 0,9% di Ogm consentito, o più dello 0,5% non ancora autorizzato (al di sotto di questa soglia la presenza di Ogm è considerata “accidentale e tecnicamente inevitabile” e quindi tollerata). L’indicazione nell’etichetta scatterà per tutti gli ingredienti di mangimi e alimenti (compresi prodotti raffinati come zucchero, amido e olio) che contengano la percentuale “incriminata” di Ogm. L’obbligo infatti è esteso anche a quei prodotti che, pur derivando da materie prime Ogm, durante il processo di raffinazione ne hanno perso le tracce. Sono però esclusi dall’obbligo di etichettatura i prodotti di origine animale, come carne, latte e uova, anche se provenienti da bestiame nutrito con mangimi Ogm.
In realtà l’obbligo di indicare la presenza di Ogm negli alimenti già era in vigore per percentuali superiori all’1% (e quindi l’abbassamento del limite è solo di un misero 0,1%). Nei mangimi, al contrario, mancava una regolamentazione specifica.
Questo atto aprirà, dalla prossima primavera, le porte di negozi e supermercati agli alimenti transgenici e i consumatori dovranno stare molto attenti a leggere le etichette se vorranno scegliere consapevolmente quello che desiderano mangiare. I prodotti etichettati come transgenici potrebbero essere parecchi visto che la stragrande maggioranza dei cibi che consumiamo contiene, tra gli ingredienti di base, mais o soia (nel mondo, ¼ della soia è transgenica e, come il mais, è presente - anche se non dichiarata in etichetta - nel 60% degli alimenti confezionati, dai biscotti ai gelati): in ballo ci sarebbero almeno 30.000 prodotti alimentari, dalle merendine alla maionese, dai cibi precotti ai piatti pronti surgelati. 

Secondo le norme europee alimenti e mangimi manipolati geneticamente saranno indicati sull’etichetta solo quando la loro percentuale supera lo 0,9%. La scelta di questo limite è stata dettata, dicono, da motivi strettamente tecnici: le attuali apparecchiature di analisi non garantiscono un risultato assolutamente incontestabile se gli Ogm sono presenti in una percentuale inferiore a questa soglia (secondo alcuni esperti il margine di errore sarebbe del 30-40%).
In realtà proprio la scelta di stabilire un criterio “quantitativo” ha permesso di non ricorrere al ben più netto criterio “qualitativo” (presenza o no di ingredienti modificati geneticamente) che avrebbe evidenziato un netto spartiacque tra alimenti transgenici e quelli “Ogm free”, privi cioè di ingredienti che abbiano subito una manipolazione genetica.

 


... ed una di “etica”

Proprio il fatto che dietro alle prese di posizione politiche ci siano enormi interessi economici (le regole approvate dall’UE faranno sentire il loro impatto sul commercio internazionale dei prodotti freschi per alcuni miliardi di dollari, mentre per i prodotti in scatola si parla di decine di miliardi di dollari) ci fa capire perché il dibattito pubblico su questi prodotti sia spesso acceso.
A proposito di etica non poteva mancare da parte dell’opinione pubblica l’interrogativo su quale sia la posizione della Chiesa cattolica in merito: se ferma è la condanna delle manipolazioni genetiche sull’uomo, sulle biotecnologie applicate all’agricoltura la Santa Sede ha una posizione possibilista, ma aspetta comunque di valutare la posizione degli scienziati ed anche dei produttori e dei consumatori. Decisamente contrari invece sono gli ambienti cattolici che operano a stretto contatto con i problemi del sottosviluppo - il mondo del volontariato, i missionari e molti vescovi del Sud del mondo - convinti che la fame nel mondo non si possa combattere con il pagamento annuale di prodotti brevettati estremamente costosi per i poveri. Un vero scandalo, logicamente ed eticamente parlando...
I termini della questione poi sono stati estremizzati e banalizzati in un antagonismo dualistico (sei a favore o contro l’agricoltura biotech?) senza andare a verificare se ci siano delle alternative, altre modalità efficaci e sicure per produrre alimenti nel rispetto dell’ambiente.
Il mondo della ricerca, coinvolto in prima persona nello sviluppo delle biotecnologie, è schierato per lo più a loro favore: del resto, non potrebbe essere diverso dal momento che finanziamenti, occasioni di far ricerca, brevetti, pubblicazioni e quindi carriera dipendono sempre di più dagli investimenti cospicui realizzati in questo settore.
La storia dello sviluppo agroindustriale peraltro è piena di sottovalutazioni dei rischi per la salute e per l’ambiente riguardanti l’adozione di determinate tecnologie (per quanto riguarda l’alimentazione umana e animale, si pensi all’uso e abuso di pesticidi e fitofarmaci nella frutta e nella verdura, ai mangimi, agli antibiotici e agli ormoni usati negli allevamenti, e così via).
Un approccio critico dal punto di vista scientifico all’uso degli organismi transgenici è stato al centro del dibattito del simposio internazionale svoltosi lo scorso luglio a Perugia.


Il Convegno di Perugia

Il Simposio internazionale svoltosi a Perugia lo scorso 5 luglio ha visto la partecipazione di alcuni tra i maggiori scienziati che hanno testimoniato con le loro ricerche che la comunità scientifica non è totalmente asservita al potere delle multinazionali del biotech.
Il prof. Arpad Pusztai, microbiologo, deve all’esito delle sue ricerche sugli effetti dell’alimentazione con patate transgeniche sulle mucose intestinali dei ratti, pubblicate da “Lancet” - una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo - l’allontanamento dallo staff di ricerca del “Rowett Research Institute” (Gran Bretagna). Le risultanze di questi studi evidenziavano:
- la patata ogm non è sostanzialmente equivalente alla patata naturale, perché ha diversa composizione in proteine, amido, zuccheri, ecc.;
- la nutrizione di ratti con patate ogm produce effetti negativi in alcuni organi vitali (in particolare, atrofia del fegato e affezioni al sistema immunitario)
- la velocità di crescita dei ratti giovani risulta inferiore;
- si è osservata una significativa riduzione della risposta immunitaria linfocitaria.
Nel suo intervento il prof. Pusztai ha evidenziato sia le inefficienze del sistema di controllo americano - gestito dalla FDA (Food and Drug Administration) ma in realtà delegato a laboratori esterni, talvolta non del tutto seri e indipendenti - su alcune ricerche sugli effetti a lungo termine di un’alimentazione a base di ogm, sia la difficoltà di predisporre protocolli scientifici integrati in grado di valutare i complessi test nutrizionali e tossicologici che possano far luce sulle modificazioni sul metabolismo, sul sistema immunitario e su quello riproduttivo.
Nel suo intervento il prof. Jean Pierre Berlan, direttore di ricerca dell’INRA (Institut National Recherche Agronomique francese) ha evidenziato come gli interessi economici sulle sementi abbiano esercitato i loro effetti speculativi già da 150 anni con i primi selezionatori professionali.
Fintanto che il grano raccolto costituiva anche la semente dell’anno successivo e che le piante si riproducevano e si moltiplicavano nel campo del contadino, l’industria sementiera non poteva fare grandi profitti. La separazione tra produzione (restata nelle mani dell’agricoltore) e riproduzione delle sementi (diventata un privilegio esclusivo dei selezionatori) ha addirittura portato alla programmazione genetica della sterilità della semente (con il brevetto “Terminator”) in modo da costringere i contadini a ricomprare, a caro prezzo, i semi ogni anno. Questo tentativo è volto ad instaurare un vero e proprio regime totalitario a livello mondiale nel campo sementiero.
La prof.ssa Mae Wan Ho (biofisica, Presidente dell’“Institute of Science in Society” di Londra e autrice di numerosi libri sull’ingegneria genetica) ha presentato sinteticamente i risultati sui suoi studi sul genoma che l’hanno condotta a prendere una ferma posizione contro gli ogm.
I frequenti scambi genici tra microrganismi hanno dimostrato la “fluidità del genoma” che è soggetto ad una dinamica di scambi tra Dna ed Rna, tra patrimonio genetico e ambiente metabolico, tra interno ed esterno della cellula. Le nostre conoscenze su questi delicati equilibri sono ancora approssimative e una manipolazione genetica avrebbe lo stesso effetto di “inserire” un brano di musica heavy-metal... all’interno di una sinfonia di Brahms!
Il dott. Michael Hansen della USA Consumer Union ha presentato una serie impressionante di dati sui criteri seguiti dalla Food and Drug Administration statunitense per le autorizzazioni agli ogm.
Anche il recente incontro del Codex Alimentarius svoltosi a Roma presso la FAO ha avuto al centro delle discussioni, l’impatto degli ogm sulla salute umana e, in particolare, il loro ruolo sul diffondersi delle risposte allergiche. L’opinione pubblica europea ed anche americana, ha affermato Hansen, è fortemente preoccupata e si aspetta dagli organismi internazionali delle risposte precise.
Queste preoccupazioni sono emerse anche nel corso del dibattito svoltosi con il pubblico al termine della prima parte del Simposio di Perugia: il prof. Pusztai ha denunciato il fatto che, almeno in Gran Bretagna, non ci sono prove scientifiche sulla dannosità degli ogm semplicemente perché... non si fanno studi su questo argomento (è il solito vecchio problema dei controlli: chi cerca, trova... e naturalmente, chi non cerca, non trova!).
Nel pomeriggio i lavori sono proseguiti con un panorama sulle alternative agroecologiche alla “dittatura transgenica”: la prof.ssa Clara Nicholls dell’Università di Berkeley (California) ha mostrato, con l’ausilio di oltre 60 diapositive, moltissimi esempi di utilizzo della biodiversità naturale per un’agricoltura sostenibile. Esempi pratici e praticabili realizzati in Usa, Brasile, Colombia, Cuba, Costarica, Cile che mostrano come, attraverso lo studio integrato di tutti gli elementi che caratterizzano la biodiversità di un territorio, sia possibile passare da un’agricoltura basata sulla monocoltura a sistemi più diversificati ed altamente produttivi nel rispetto dell’ambiente. 

Il prof. Miguel A. Altieri, agroecologo dell’Università di Berkeley (California) e Coordinatore dei Programmi di Sviluppo dell’Agricoltura Sostenibile delle Nazioni Unite ha presentato nella sua relazione - dal titolo “Dalla tradizione al futuro: le alternative scientifiche agroecologiche e i miti degli ogm” - alcuni dati sull’agricoltura mondiale che evidenziano il ruolo predominante delle multinazionali dei pesticidi e delle sementi e le conseguenze della globalizzazione degli scambi sui paesi più poveri. Peraltro proprio alcuni esempi di agroecologia applicata nelle realtà del Messico, del Cile e di altri paesi dell’America Latina dimostrano che la cosiddetta agricoltura di sussistenza risulta essere, nelle difficili condizioni locali, quella più produttiva e che si prefigura come baluardo insostituibile della sicurezza alimentare delle popolazioni più povere.
Proprio sulla situazione degli agricoltori si è incentrato l’intervento del prof. M.D. Nanjundaswamy, Presidente del Movimento dei contadini dello Stato indiano del Karnataka e del Centro Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile “Amrita Bhoomi” (Pianeta Immortale).
Le molte promesse della “seconda rivoluzione verde” in India, basata sull’uso massiccio delle biotecnologie e dei diserbanti ad esse associate (in particolare il cotone transgenico), imposta dalle multinazionali e sponsorizzata anche da scienziati corrotti, stanno dimostrandosi evidenti bugie: in tre grandi Stati (Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujerat) il cotone transgenico è stato un totale fallimento e ha portato al suicidio migliaia di contadini stretti dalla morsa dei debiti che possono trasformarsi in forme vere e proprie di schiavitù.
Proprio il sentimento di rivolta dei contadini è all’origine di un orgoglioso movimento non violento di opposizione al regime del transgenico che si è concretizzato in numerosi “Satyagraha” d’ispirazione gandhiana, manifestazioni di disobbedienza civile ma anche di presa di coscienza civile dell’urgenza di far qualcosa per impedire una nuova, strisciante e subdola forma di colonizzazione.

 


Conclusioni

Proprio questo ultimo intervento ha sollevato nel pubblico presente un’ondata emotiva sulla possibilità di “fare qualcosa” contro il dilagare di un sistema di pensiero che sembra chiudere tutte le porte alla discussione.
Nel suo intervento la dott.ssa Fabrizia Pratesi ha ripreso alcuni dati emersi dalla Conferenza organizzata dalle associazioni ambientaliste nei giorni precedenti a Roma e ha ribadito la necessità di lottare contro la “brevettazione del vivente” a livello europeo. In autunno infatti la Commissione europea presenterà il regolamento sulle soglie di Ogm tollerate nelle sementi (che dovrebbero essere più basse di quelle di alimenti e mangimi: si è prospettato lo 0,5 in generale, lo 0,7% per la soia e lo 0,3% per la colza) in modo da permettere la ripresa delle coltivazioni, e non solo di commercializzazione, di Ogm in Europa.
L’argomento “sementi” è stato al centro dell’intervento dell’organizzatore del Simposio, il prof. Giuseppe Altieri (vedi intervista) che ha introdotto i lavori della tavola rotonda conclusiva sul tema “Ogm e politiche per la difesa delle tradizioni agroalimentari”. Al centro del dibattito il quesito se si possa o no fermare la contaminazione da Ogm (visti le coltivazioni di mais transgenico scoperte nel Nord Italia).
Le conclusioni dei relatori, dei rappresentanti dei produttori (Coldiretti), delle ditte sementiere interessate a proteggere il patrimonio di biodiversità, dei giornalisti, dei ricercatori pubblici presenti al dibattito concordano nell’affermare che questa battaglia, prima che legale, è una questione di informazione, di cultura etica e morale che riguarda tutti: opinione pubblica, mondo della ricerca, consumatori, agricoltori, istituzioni addette ai controlli. Ed è una battaglia che si può vincere soprattutto cominciando a rendere trasparenti gli interessi in gioco, creando un flusso di informazioni che consenta a tutti di giocare “a carte scoperte”.

 

LA MANIPOLAZIONE DEI GENI E ... DEGLI “IGNORANTI”
Una coraggiosa denuncia degli interessi e delle ipocrisie dell’agrobiotech

Intervista al prof. Giuseppe Altieri*

(*) Professore di Agroecologia ed Entomologia Agraria, è tra i fondatori dell’Agricoltura biologica in Italia. Insieme all’omonimo prof. Miguel Angel Altieri (agroecologo dell’Università di Berkeley, California, e Coordinatore Programmi Sviluppo Agricoltura Sostenibile delle Nazioni Unite) ha fondato l’Accademia di Agroecologia impegnata nella salvaguardia delle tradizioni alimentari dei popoli. Collabora a numerose inchieste televisive e giornalistiche (Ambiente Italia, Report, Rai Educational “La storia siamo noi”, ecc.) sui temi Ogm, pesticidi e biologico. Dirige AGERNOVA (équipe di esperti impegnati al fianco degli agricoltori nella ricerca e sviluppo in Agricoltura Biologica) che dal 1986 ha formato centinaia di tecnici ed ispettori di enti di certificazione.


Quali sono i principali pericoli degli Ogm?
Quando si mescola forzatamente il Dna di diverse specie viventi è come se rompessimo una barriera che la natura ha creato, poiché le diverse specie hanno un Dna adattato alla propria evoluzione. È pertanto impossibile prevedere cosa succederà nell’organismo transgenico in quanto la manipolazione genetica condizionerà tutto il Dna dell’Ogm. Farei il parallelo con i pesticidi, la diossina e i rifiuti radioattivi, sostanze genotossiche che creano mutazioni (“inquinamento genetico”) con conseguenze sotto gli occhi di tutti. Gli Ogm aumentano l’inquinamento genetico a dismisura in chi se ne alimenta, con l’aggravante della diffusione, contaminazione e riproduzione dei geni modificati artificialmente, che sfugge al controllo. Necessitano lunghe ricerche sui pericoli per la salute e l’ambiente, e sono state pubblicate solo le prime evidenze, ma di sicuro è scientificamente impossibile l’innocuità degli Ogm, che sono i frutti di una tecnologia riduzionista intrinsecamente pericolosa in quanto:
- Producono sostanze sconosciute, con rischi negli individui sensibili. Ad esempio, l’integratore alimentare triptofano, prodotto da un microbo transgenico, ha ucciso decine di persone in USA e creato malattie permanenti in migliaia di vittime per una tossina secondaria imprevista. Lieviti transgenici per produrre birra, vino, sviluppano prodotti secondari della fermentazione a livelli mutageni. Il latte prodotto con ormoni geneticamente modificati, secondo Jeffrey M. Smith, ha aumentato in modo significativo i casi di cancro alla prostata e alla mammella. In Gran Bretagna, secondo lui, le allergie cutanee sono cresciute del 50% a causa della soia geneticamente modificata importata dagli Usa. Secondo Smith, i cibi Ogm provocano intossicazioni, allergie e possono causare anche il cancro. Sulle pagine del libro “Seeds of deception” (Semi dell’inganno), sottoposto anche all’attenzione della riunione ministeriale dell’Organizzazione per il Commercio Mondiale a Cancun, in Messico, Smith rivela come, nel processo per la creazione dei cibi Ogm, sia possibile il trasferimento negli organi umani di una categoria di geni, i cosiddetti promotori, che permettono di attivare il trans-gene. Questi geni sono considerati responsabili di imprevedibili effetti sulla salute, compresa la potenziale crescita di cellule pre-cancerogene.
- Hanno DNA “anomalo”, non completamente digeribile, con rischi di nuovi patogeni batterici e virali per scambio genico tra i microbi nell’apparato digerente (Mae Wan Ho: “Ingegneria Genetica”) e problemi sui villi intestinali che lo assorbono (Pusztay, The Lancet).
- Per la violenta “forzatura genetica” non sono stabili nel tempo, con conseguenti problemi di validità dei test di nutrizione. Ciò rende impossibile la dimostrazione di innocuità di un Ogm.
Ne consegue il principio scientifico di “non equivalenza” tra Ogm e specie di derivazione: il contrario di quello che affermano le multinazionali. Vanno definiti protocolli scientifici di valutazione dei rischi da commissioni indipendenti, i cui membri non abbiano contratti di alcun tipo con produttori o titolari di diritti su Ogm. I risultati degli studi devono essere pubblicati su riviste autorevoli: quello che non fa la Food and Drug Administration americana quando autorizza la vendita di Ogm. Ecco, nei confronti di questi rischi è accettabile secondo lei una soglia di tolleranza? Io penso che stiamo semplicemente perdendo l’istinto di conservazione della specie umana. 

Lei denuncia che il nuovo regolamento UE sull’etichettatura è una legalizzazione delle frodi perché di fatto saremo costretti a mangiare Ogm senza saperlo. Le soglie stabilite non sarebbero dunque una garanzia per il consumatore?
Le multinazionali del “mercato liberista” (che non ha nulla in comune con il “libero” mercato) vogliono vendere Ogm, impedendo la distinzione tra cibi artificiali (transgenici) e naturali, perché i sondaggi prevedono il fallimento commerciale dei prodotti che segnalassero contenuti di Ogm o derivati. Potenti lobby sono riuscite ad ottenere tre anni fa la cosiddetta “soglia di tolleranza” dell’1%, sotto la quale non si deve etichettare la presenza di Ogm “autorizzati in Europa”. E se finora nessuna etichetta si è vista sul mercato, mi spiegate perché dovrebbero apparire d’incanto, quando la “tolleranza” è rimasta praticamente la stessa a 0,9%? Inoltre, se oggi è possibile impedire presenze illegali di “Ogm non autorizzati nell’UE” con tolleranza zero, il nuovo regolamento prevede la soglia senza etichetta allo 0,5% anche per Ogm “non autorizzati in Europa” (provenienti chissà da dove) che saremo costretti a mangiare senza saperlo e soprattutto senza volerlo, visto che l’80% dei cittadini europei non ne vuol sapere di Ogm. Un modo per fare esperimenti direttamente sui consumatori.
Ma analisi e controlli rigorosi non scongiurerebbero questo pericolo?
Innanzitutto soglie di presenza senza etichette impediscono di evitare i rischi da Ogm, ovvero di individuare alimenti «Ogm free» al 100%. I pericoli degli Ogm non dipendono dalle quantità di assunzione, ma dalla presenza di geni che possono moltiplicarsi. Il diritto di libera scelta e completa informazione è sancito dai trattati sul commercio. Solo i prodotti biologici hanno “tolleranza zero Ogm” e, casualmente, in questi anni hanno moltiplicato i fatturati arrivando al 12% della superficie coltivata italiana, con una domanda molte volte superiore all’offerta. Un trend economico senza precedenti, nonostante i prezzi elevati per le speculazioni di nicchia a danno di produttori e consumatori. Ma la chiave della questione etichette è nel sistema dei controlli e mi spiego: l’analisi di presenza/assenza (PCR-Qualitativa) rileva ogni particella di Dna-Ogm, moltiplicato da enzimi sensibilissimi, con controlli semplici ed agevoli (con presenza si dovrebbe etichettare). L’analisi “quantitativa” è invece complessa, costosa ed imprecisa, perché la moltiplicazione del Dna dipende da molti parametri difficili da standardizzare, con elevati margini d’errore sulla reale percentuale di Ogm nel prodotto di partenza, il tutto amplificato dal fatto che i diversi laboratori non hanno perfettamente identiche condizioni di estrazione ed analisi del Dna. Introdurre una “soglia di tolleranza” consente di non etichettare praticamente nulla, in quanto le ditte possono contestare le “analisi di prima istanza” che rilevassero Ogm superiori alle soglie, e chiedere “revisioni” all’Istituto Superiore di Sanità, una sorta di “Corte di Cassazione” che spesso applica metodiche differenti e annulla di fatto il faticoso lavoro di repressione delle frodi. Il sistema di “legalizzazione delle frodi” con le “controanalisi” è tipico di molti problemi alimentari, quali le farine animali in zootecnia, BSE, ormoni, antibiotici e pesticidi per i quali, nonostante un referendum, non si è ancora stabilita la sommatoria dei residui che si possono trovare negli alimenti. E ci sono responsabili pubblici con nomi e cognomi di questo vero e proprio scandalo, che sopravvivono a tutti i governi.

 

Come giudica i commenti delle multinazionali e delle associazioni ambientaliste alla nuova normativa europea?

Le multinazionali fingono di lamentarsi… Incredibile, ma vero. Quando passò la soglia dell’1% almeno i toni erano diversi. E si trattava di pochi Ogm autorizzati prima del trattato di Maastricht, quando il “principio di precauzione” e dimostrazione di innocuità di fatto bloccò gli Ogm in Europa. Oggi invece si parla apertamente di togliere la moratoria precauzionale a fronte di presunte “chiare norme di etichettatura”. Purtroppo i leader ambientalisti negli ultimi anni si sono “modificati geneticamente” conducendo solo battaglie di retroguardia “per limitare i danni” diventando di fatto “paladini delle disfatte”. Ciò accresce il senso di impotenza che castra la volontà di cambiare le cose ognuno nel suo piccolo, dove si può fare invece moltissimo.
Oggi l’80% dei consumatori UE non vuole assumere cibi transgenici. Va chiesta la revoca di tutti gli Ogm, con “retroattività del principio di precauzione” e non una trattativa meschina sulla tolleranza accettabile senza etichetta, come quella condotta con Prodi prima del voto europeo, laddove l’emendamento degli ecologisti era per lo 0,5%, contro lo 0,9% approvato.
Il voto parlamentare non rispetta la sovrana volontà e libertà del popolo europeo. La presupposta impossibile produzione di alimenti e sementi 100% Ogm free è assolutamente fuori luogo in Europa, dove le coltivazioni transgeniche sono ancora vietate. La scusante del “tutto contaminato” per accettare tolleranze è la mistificazione più pericolosa perché può indurre le persone comuni a considerarle inevitabili.
Nel ‘99 a Seattle scienziati indipendenti e Ong come “Food First”, scesero in campo per dimostrare la possibilità di un “mondo ecologico”, ma gli ambientalisti non hanno saputo cogliere l’attimo troppo distratti dalla “politica inutile”, come quella descritta nella recente piece teatrale di Giorgio Celli sulla sua esperienza parlamentare europea.

Un recente sondaggio sull’opinione degli italiani ha evidenziato come sia cresciuta negli ultimi quattro anni l’ostilità verso gli Ogm, in particolare se destinati alla nostra alimentazione. Come reagiranno le industrie alimentari e i produttori?

Se le industrie applicassero tolleranza zero con criterio “presenza/assenza” potrebbero dichiararsi “Ogm free”, ma in base alle soglie di tolleranza se non si trovano etichette sugli scaffali, non vuol dire che non ci sono gli Ogm. Oggi è meglio acquistare alimenti direttamente dai produttori agricoli che, come dimostra la mobilitazione della Coldiretti (grande maggioranza) e di centinaia di migliaia di addetti del biologico, sono assolutamente contrari agli Ogm, più costosi, meno produttivi e sottoposti a “diritti sul raccolto”. Oggi la tradizione agricola tipica e biologica mediterranea, libera da Ogm, sta conquistando i mercati mondiali. Una sfida entusiasmante, se riusciremo a non farci bombardare dal polline transgenico che tutto contamina. Il 50% degli americani ha capito che si fanno grossi affari importando i nostri alimenti tipici e non esportando schifezze transgeniche.

 

Quali sarebbero, secondo lei, i criteri da seguire per rendere le etichette davvero “trasparenti”?

Fatta salva la necessità di una moratoria precauzionale europea sulla vendita di Ogm, in stile norvegese, per tutelare la libera scelta è necessaria una semplice modifica del regolamento indicando i contenuti in “tracce” degli Ogm importati, con diverse etichette senza tolleranze:
1. “Contiene Ogm o derivati”, nel caso di presenze note negli alimenti e mangimi in commercio.
2. “Contiene tracce di Ogm o derivati” nel caso di presenze involontarie rilevate da analisi qualitative di presenza/assenza. Le frodi vanno sequestrate e reinserite sul mercato dopo etichettatura.
3. Negli alimenti biologici e “Ogm free” (DOP, IGT) va mantenuta “tolleranza zero”, abolendo la deroga che consente mangimi non biologici nella bio-zootecnia e sementi non biologiche nella bio-agricoltura.
Questa è l’unica garanzia possibile per la tracciabilità degli Ogm e delle filiere Ogm free, come previsto dalle norme Europee.

 
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