ALIMENTAZIONE E DEMOCRAZIA: NUOVI “CAMPI” PER COLTIVARE I DIRITTI UMANI

Valutazione attuale: / 0
ScarsoOttimo 

 


Il futuro della biodiversità è il nostro futuro di individui in un mondo globalizzato e la sua difesa, anche attraverso una informazione corretta e “libera” da pressioni di parte, rappresenta un baluardo contro monopoli economici che mettono in pericolo il reale esercizio dei principi democratici, nonché la salute e la qualità della vita.

«Il diritto all’alimentazione e alla nutrizione, al pari della dignità, è un diritto fondamentale identificabile e riconoscibile da ogni intelligenza e coscienza umana. Senza nutrizione e alimentazione non c’è vita e quindi neanche dignità, che è il diritto fondamentale all’identificazione biologica dell’essere umano» (F. Manzione, 2001).
Ma, come evidenziato dall’ultimo Vertice mondiale sull’alimentazione (FAO, Roma, 1996), ad oltre 800 milioni di esseri umani mancano alimenti sufficienti per soddisfare le proprie fondamentali necessità nutritive. Essi sono probabilmente quegli stessi 800 milioni di individui analfabeti, a cui manca un’adeguata assistenza sanitaria, che abbassano la media disponibilità di acqua per abitante mondiale, che vivono in un ambiente degradato, al limite del collasso ecologico, il che spesso li spinge, per questo insieme di condizioni naturali e sociali, a lasciare il proprio paese in cerca di luogo migliore in cui vivere la loro esistenza.
Per questi uomini e donne, in gran parte giovani e bambini, destinati probabilmente e in gran parte ad ignorare i loro legittimi diritti di esseri umani per condurre una vita degna di essere vissuta, ben poco si fa sia a livello internazionale sia nei singoli Paesi di appartenenza.
La cosiddetta “volontà politica” - l’impegno civile di battersi per sradicare fame, sete, analfabetismo, malattie infettive, degrado ambientale per gli esseri umani del proprio Paese o di quelli più o meno vicini – generalmente si manifesta, per lo più a parole, in occasione dei grandi vertici internazionali in cui tutti si è più buoni e concordi nello stilare documenti e dichiarazioni di principio che, in genere, lasciano tutto immutato.
Pur nel lodevole tentativo di confrontarsi sui suddetti problemi da parte delle organizzazioni internazionali, degli istituti di ricerca, delle Organizzazioni non governative l’approccio è generalmente monotematico e i tentativi di soluzione a quell’intricato nodo di questioni che va sotto il nome di “sottosviluppo” sono altrettanto limitati al tentativo di risoluzione solo di alcuni di essi.
Sia che si parli di Paesi in via di sviluppo che di quelli tecnologicamente avanzati, l’analfabetismo culturale e/o etico spinge a schierarsi in un “partito” dove il “pensiero unico” domina i suoi adepti ed impedisce di discutere obiettivamente di un qualsiasi problema per cercare, insieme a chi la pensa diversamente, una sintesi utile alla risoluzione dei problemi concreti che in ogni Paese non sono certo né pochi né semplici.
Il vero problema di fondo è in genere la non conoscenza di tutte le questioni in gioco (e questo può essere un limite dovuto all’attuale sistema di ricerca scientifico sempre più iperspecializzato, dove si lotta l’uno contro l’altro per il reperimento degli scarsi fondi per la ricerca) o la presa in considerazione solo di alcune variabili (per lo più quelle economiche o quelle più paganti dal punto di vista politico, il che si traduce in finanziamenti solo alle ricerche le cui ricadute siano visibili in termini di utili): così facendo si producono pseudo-soluzioni che talvolta finiscono con il contribuire all’ingarbugliarsi della matassa.


Informazione e disinformazione

Di questo stato di cose certamente gli scienziati hanno le loro responsabilità: l’informazione in materia per esempio di Organismi geneticamente modificati (Ogm) – a questo tema è stato dedicato un incontro di studio presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche lo scorso 14 febbraio – è stata lasciata per lo più nelle mani dell’industria del settore, che ne ha inevitabilmente sottolineato solo gli aspetti positivi finalizzati alla penetrazione commerciale, e a quelle della controparte istituzionale, i consumatori, giustamente diffidenti dopo i recenti scandali che hanno dimostrato tutta l’insipienza quando non anche il colpevole silenzio e/o l’omissione di informazione da parte della classe politica.
Secondo Roberto Defez – ricercatore dell’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli e promotore di questa iniziativa – quella degli Ogm è una vera e propria campagna di disinformazione: «La Commissione europea ha recentemente reso noti i risultati di uno studio – vedi bibliografia – durato 15 anni, che ha impegnato centinaia di ricercatori pubblici con una spesa complessiva di 70 milioni di Euro, secondo il quale le piante geneticamente modificate non comportano alcun rischio né per la salute umana né per l’ambiente. Anzi, tenendo conto della tecnologia più precisa e dei maggiori controlli, si può dire che queste colture sono addirittura più sicure».
In effetti però nel documento della Commissione si possono rilevare, al di là dei toni trionfalistici, anche osservazioni critiche e quel sano dubbio sulla facile generalizzazione, dubbio che dovrebbe animare la ricerca pubblica rispetto a quella privata, inevitabilmente di parte ed orientata al profitto. Derek Burke, che è stato per 9 anni presidente del Comitato consultivo britannico per la sicurezza alimentare, sostiene che il sistema attualmente impiegato per valutare le piante geneticamente modificate «è un punto di partenza assai valido per porre domande» e ha aggiunto che «la scienza progredisce e più cose apprendiamo, più domande facciamo».
E proprio nel recentissimo documento della Royal Society britannica (vedi bibliografia) distribuito nel corso del Convegno di Roma, in cui si afferma che non c’è ragione di dubitare della sicurezza degli alimenti ottenuti da ingredienti geneticamente modificati attualmente disponibili, c’è anche un chiaro invito ad apportare miglioramenti ai metodi di valutazione della sicurezza, prima che sia annunciato il cessato allarme per il consumo da parte dell’uomo di un numero maggiore di alimenti provenienti dalle piante transgeniche (Commissione Europea, 2002).


Il caso “biotecnologie agricole”

Per quanto riguarda le problematiche di tipo agricolo-alimentare l’approccio “riduzionista” vede la soluzione, in Italia come dappertutto nel mondo, nell’applicazione di una terapia unica e infallibile: le biotecnologie. I “biointegralisti”, al contrario, sono convinti che per bloccare il dilagare dell’uso di Ogm in agricoltura e nei prodotti alimentari sia necessario chiudere i rubinetti del finanziamento pubblico alla ricerca.
Nel frattempo, mentre l’opinione pubblica del Vecchio Continente si interroga allarmata sulla sua sicurezza alimentare, l’Europa compra dall’estero soia, per lo più “made in USA”, per la produzione di mangimi per la zootecnia (lo scandalo della “mucca pazza” ci impedisce di usare farine di origine animale per nutrire il bestiame), soia che per il 95% è geneticamente modificata: noi tutti inconsapevolmente ne mangiamo da anni (la “tolleranza zero”si applica solo all’1% di soia prodotta in Italia). 

L’incontro svoltosi al CNR – al di là dei facili trionfalismi di quei genetisti che si credono in grado da soli di risolvere problemucci tipo “fame nel mondo”, “riduzione della biodiversità”, “bioterrorismo” – ha evidenziato tutti i limiti di un sistema di ricerca pesantemente condizionato dalla... ricerca di fondi (mi si passi il gioco di parole). Libertà = soldi? Per gli scienziati sembra proprio così: pur in presenza di “buone idee” o addirittura di brevetti già registrati, l’applicazione langue (il progetto “Biotecnologia” del CNR, che coinvolgeva 300 gruppi di ricerca, è morto per l’azzeramento dei fondi), mentre il “nemico” USA (ma non eravamo alleati sul fronte bellico?) aumenta gli stanziamenti. In realtà questa è una corsa alla competitività commerciale che l’Europa vuole almeno non perdere.
Secondo Edoardo Boncinelli (Direttore del Sissa, la Scuola internazionale di studi superiori di Trieste) in Italia sussiste un problema di mentalità («i governi succedutisi in questi anni hanno tralasciato la questione ricerca») e di scarso flusso di finanziamenti tra l’industria e il mondo della ricerca scientifica.
«Per ciò che riguarda poi i consumatori europei – ha evidenziato il prof. Prakash, uno dei maggiori sostenitori del biotech a livello mondiale – il nodo della questione rimane quello di avere un’autorità che sia assolutamente seria, imparziale e che operi in base a criteri scientifici rigorosi: questa è la strada scelta negli Usa, dove alla fine il consumatore ha libertà di scelta di consumare o meno gli Ogm.»
Se le cose stanno davvero in questi termini, resta da spiegare il perché di tanta paura nei confronti degli Ogm. «Nella pubblica opinione – ha spiegato Defez – prevale spesso il lato emotivo su quello razionale. Ma una maggiore informazione può senz’altro favorire lo sviluppo di una tecnica che, come riconosce anche l’ultimo rapporto dell’Agenzia per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, rappresenta probabilmente l’unico strumento per incrementare la produzione agricola nelle aree ecologicamente marginali del pianeta».

 


Le alternative esistenti all’impero della “monocultura”

Anche se quel “probabilmente” pone il beneficio del dubbio, l’affermazione riferita da Delfez porta inevitabilmente acqua al mulino dei sostenitori delle biotecnologie come sole “armi intelligenti” per la vittoria nella guerra alla fame nel mondo.
Purtroppo, al contrario delle molte guerre combattute recentemente senza neanche attendere la loro formale dichiarazione, su questo fronte moltissime sono state le roboanti dichiarazioni non solo di guerra ma perfino di vittoria, puntualmente sconfitte dai fatti.
Come più volte esposto sulle pagine di questa rivista, la “guerra” si dovrebbe combattere su più fronti (economico, sociale, culturale) e non solo su quello strettamente tecnico-produttivo: ed anche su questo versante un approccio basato anche solo sul buon senso ci dovrebbe indurre a studiare strategie d’attacco diversificate (mi si scusi per il linguaggio “bellico”, in genere antitetico al mio pensiero...).
Su queste tematiche si è tenuto ad Orvieto lo scorso 22 dicembre un interessante incontro con il prof. Miguel A. Altieri, docente di Agroecologia presso l’’Università di Berkeley (California) e Coordinatore dei Programmi di Sviluppo per l’Agricoltura Sostenibile delle Nazioni Unite su “Tradizione alimentare e bioagricoltura mediterranea nell’era della globalizzazione: la sfida della biodiversità, una grande opportunità da non perdere”.
Preceduto dalla proiezione della video-inchiesta sui cibi transgenici “Il gene sfigurato”, realizzata dal giornalista Carlo Pizzati per la trasmissione “Report” di Rai Tre e vincitrice del premio Prix Leonardo Giornalismo Scientifico, l’intervento del prof. Altieri ha sottolineato i rischi dell’attuale industrializzazione della produzione agricola, mettendo altresì in risalto le concrete alternative esistenti nel mondo per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile (vedasi al riguardo il suo interessante sito web riportato in bibliografia).
I sistemi agricoli sviluppati con creatività infinita dagli agricoltori di ogni parte del mondo per vincere la sfida con il dinamismo delle condizioni ambientali specifiche del luogo, con un background di secoli di sperimentazioni e di test sulla sicurezza dei prodotti agricoli così sviluppati, rappresentano un archivio scientifico teorico-pratico molto spesso snobbato dal sistema accademico o, al contrario, saccheggiato spudoratamente per reperire gli elementi base della creatività della natura (la cosiddetta “biopirateria”).
Una delle ricadute più preoccupanti dell’industrializzazione dell’agricoltura è l’estinzione non solo di numerose specie vegetali ed animali, ma anche di comunità e di culture con effetti sociali devastanti ed irreversibili.
Secondo il prof. Altieri lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile (ambientalmente sana, culturalmente accettabile, socialmente giusta, economicamente valida) presuppone quattro elementi fondamentali: organizzazione delle risorse locali, diversificazione degli agroecosistemi, partecipazione sociale e (least but not last) la costruzione del capitale umano (empowerment).


Conclusioni

Il futuro della biodiversità è in fondo il nostro futuro di individui in un mondo globalizzato e la sua difesa, in molti Paesi non solo del cosiddetto Terzo Mondo, rappresenta un baluardo contro i monopoli economici che mettono in pericolo il reale esercizio dei principi democratici.
Lo sviluppo tecnologico e l’espansione globale dei mercati non ha ancora risolto il nodo del soddisfacimento quantitativo di cibo per tutti gli abitanti del pianeta (esulando questo problema, probabilmente, dalle finalità che il mondo economico si pone), portando peraltro nuove questioni etiche sugli aspetti qualitativi della produzione di alimenti (bioproteine; “mucca pazza”; contaminazione dei cibi; biotecnologie).
Queste vicende hanno dimostrato la oramai irrinunciabile necessità di integrare l’immensa mole di informazioni scientifiche a nostra disposizione nei vari campi del sapere per cercare di trovare una soluzione condivisibile ai problemi posti dalla parcellizzazione delle conoscenze (F. Manzione, 2001).
I problemi etici spesso nascono quando riportiamo l’uomo al centro delle riflessioni sulla qualità della nostra vita, ovvero quando l’evolversi inarrestabile delle conoscenze si scontra con l’impreparazione culturale umana a riconoscere ciò che è utile all’evoluzione del genere umano e ciò che invece può essere dannoso.


Bibliografia

F. Manzione (2001): The fundamental human right to food. Third Congress of the European Society for Agricultural and Food Ethics - EurSafe 2001. Firenze, 3-5 ottobre 2001
AA.VV (2001): EC-sponsored Research on Safety of Genetically Modified Organisms - A Review of Results. Indirizzo sito web: http://europa.eu.int/comm/research/quality-of-life/gmo/index.html
AA.VV. (2001): OGM - Una risorsa per il futuro. Le Scienze Dossier . Numero 10 - Inverno 2001
M. Delledonne, N. Borzi (a cura di) (2002): Biotecnologie in agricoltura. Realtà, sicurezza e futuro”. Federchimica - Assobiotec.
The Royal Society (2002): Genetically modified plants for food use and human health - an update.
Policy document 4/02 February 2002. Indirizzo sito web: www.royalsoc.ac.uk
J-P. Berlan (a cura di) (2001): La guerra al vivente - Organismi geneticamente modificati e altre mistificazioni scientifiche. Bollati Boringhieri.
D. Marchetti (2001): Vita e morte degli OGM. Calderini Edagricole.
Commissione europea (2002): Una relazione sugli alimenti GM invita a perfezionare il metodo di valutazione della sicurezza. Cordis Focus, n. 190
M.A. Altieri (2002): Indirizzo sito web: www.cnr.berkeley.edu/agroeco3