Recensione: L'uomo che restò solo sulla Terra

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L’UOMO CHE RESTO’ SOLO SULLA TERRA

di George Gaylord Simpson, Rizzoli, 1997, pp. 155, Lit. 22.000

Viaggiare nel tempo è stato sempre un sogno che ha affascinato gli esseri umani. Lo scienziato protagonista di questo romanzo (uno dei successi editoriali di questi ultimi anni, scritto dal più grande paleontologo del XX secolo e dimenticato in un cassetto per oltre 10 anni) riesce a realizzarlo e si ritrova sbalzato nella Terra di 80 milioni di anni fa, in una valle popolata di dinosauri.

Un universo giurassico dove le conoscenze acquisite nel mondo da cui proviene a nulla valgono, ma in cui il protagonista riscopre dentro di se quell’arte della sopravvivenza e una serie di “sentimenti primitivi” quali la solitudine, la stanchezza, la paura.

Superato il primo momento di sconcerto e sconforto prevale in lui l’animo dello scienziato che tenta di adattarsi all’ambiente che lo circonda, osservandone con meticolosità i vari aspetti della vita biologica.

Ne scaturisce quindi un affresco suggestivo del mondo preistorico e, al tempo stesso, un emozionante e profondo racconto filosofico sul significato dell’esistenza umana.