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Buen Vivir, Identità e Alternative al modello occidentale

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Buen Vivir, Identità e Alternative al modello occidentale



Le nuove costituzioni di Ecuador (2008) e Bolivia (2007) considerano il concetto di buen vivir o sumak kawsay come uno dei principali assi tematici dei rispettivi testi costituzionali. Il sumak kawsay rappresenta un modello di vita improntato su un nuovo tipo di relazione tra gli esseri umani e la natura e propone un nuovo orizzonte di vita e un'alternativa di fronte alla visione monoculturale della civiltà occidentale.(...)

La “vita buona” dell'Occidente. Il “vivir bonito” amerindio

E' importante individuare e evidenziare le differenze che intercorrono tra il concetto occidentale di “vita buona” o benessere o “vivere bene” e il “sumak kawsay” o “suma qamaña” dei popoli indigeni del continente latinoamericano.  “La tradizione occidentale della “vita buona” ha due fonti: la prima è quella del mito biblico del giardino dell'Eden e la seconda è quella che si riallaccia alla visione aristotelica” (Medina, Javier. Suma Qamaña. Por una convivialidad posindustrial, La Paz, Bolivia, Garza Azul Editores, 2006. Pág. 105). Risulta, quindi, evidente che esistono profonde differenze tra le due concezioni, quella andina e quella occidentale. La prima di queste è la divisione che la cultura occidentale promuove tra l'uomo e la natura. La visione aristotelica di “vita buona” risulta come slegata dal mondo naturale, viene concepita in un contesto urbano, nella polis: tutto ciò che si trova fuori viene considerato “incivile”, in relazione alla vita nei campi o nelle foreste. E' per colpa di questa divisione tra uomo e ambiente, connaturata alla cultura occidentale, che adesso ci ritroviamo a dover affronatare una crisi ambientale senza precedenti. La natura non solo è stata addomesticata ma anche trasformata, manipolata, urbanizzata, mercantilizzata. Niente è riuscito a fuggire dai circuiti letali del capitale: l'acqua, le foreste, i boschi, il cibo, la vita, i semi, l'atmosfera. Sono talmente aggressivi i meccanismi di distruzione delle risorse naturali che la stessa sopravvivenza dell'umanità è messa in pericolo. Ugualmente, nella concezione cristiana, Dio separa la natura dagli uomini: questi dovranno dominare la terra e metterla al loro servizio (Medina, 2006: 105). Nel mito biblico, “la natura era concepita unicamente come un hortus clausus, un orto chiuso, addomesticato, separato dal resto della natura, considerata selvaggia e idomita, dai pericoli e dalle insidie della foresta: un luogo dove gli esseri umani potessero vivere in ozio perpetuo, senza lavorare. Il lavoro diventava quindi un castigo anzi il castigo per eccellenza: mangeranno pane con il sudore della fronte” (Medina, 2006: 105).

Secondo la visione greca, la “vita buona” era vincolata alla “vita contemplativa, al lavoro dell'intelletto e del corpo, alle arti, alla politica e alla possibilità di disporre di tempo libero per fare tutto ciò che venisse richiesto dallo spirito” (Medina, 2006: 106); niente che riguardasse il lavoro e, meno che mai, le attività manuali, che offendevano la natura umana. Questa concezione dicotomica avrà un immenso costo sociale, soprattutto in termini di separazione tra la natura e l'uomo, tra la campagna e la città, tra la mente e il corpo: a causa di questo, verrà negata la possibilità a milioni di persone, nel corso della storia, di vivere una vita degna e “buona”. Il lavoro manuale, nella società greca, sarà destinato agli esseri umani considerati barbari o incivili: le donne e gli schiavi. Dissociando il concetto di “vita buona” da quello del lavoro, si otterà come risultato solo una grande ingiustizia storica e sociale: l'immensa maggioranza della popolazione che lavora per assicurare il benessere della minoranza. (Medina, 2006: 106-107).

Al contario, il “suma qamaña” dei popoli andini della Bolivia o il “sumak kawsay” degli indigeni quecha dell'Ecuador presuppone una stretta relazione con la terra, con i “chacras” dove fiorisce la vita e che forniscono agli uomini sostentamento, con gli animali, con il lavoro collettivo nella “minga”. Il sumak kawsay andino è associato alla vita di comunità, in equilibrio con la natura e con il mondo spirituale. I popoli indigeni americani, le società contadine e, in generale, tutte le comunità legate alla terra non cercano di cambiare il mondo quanto piuttosto di comprenderlo, credono nell'equilibrio e nell'armonia fra tutte le forme viventi. (Medina, 2006: 108). Per questa ragione il buen vivir non esclude nessuno anzi incorpora una pluralità di elementi che appartengono alla cosmovisione dei diversi popoli indigeni: visione del futuro, conoscenze e saperi, etica e spiritualità, relazione con la madre terra. I popoli indigeni conducono il loro cammino di apprendimento e socializzazione nella “chacra”, in relazione con l'elemento terra. E' attraverso di essa che viene insegnato ad amare e ad amarla. (...)

 

L'articolo:

http://www.asud.net/index.php?option=com_content&view=article&id=623%3A-ecuador-e-bolivia-buen-vivir-identita-e-alternative-al-modello&catid=5%3Amondo&Itemid=39&lang=it

 

 

 

 
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