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BIOTECNOLOGIE: BANDO ALLE IPOCRISIE!

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BIOTECNOLOGIE: BANDO ALLE IPOCRISIE!



Le biotecnologie sono prima di tutto un "business"!
Al di là dei nobili fini che la ricerca scientifica applicata si pone per la risoluzione di alcuni tra i problemi più gravi che affliggono l'umanità (la fame, le malattie, l'inquinamento, ecc.) lo sviluppo delle biotecnologie é, di fatto, uno tra i tanti settori dell'economia (alla stessa stregua di quelli dell'auto, della siderurgia, della componentistica, dell'elettronica, ecc.) sui quali si gioca il confronto tra grandi potenze nazionali e multinazionali, pubbliche e private, per la supremazia dei mercati.
Le aspettative nate fin dalla loro prime applicazioni ne hanno evidenziato immediatamente le ricadute economiche e le legislazioni nazionali ed il diritto internazionale hanno cercato di adeguarsi, nei tempi più brevi possibili, alla pressante richiesta da parte sia del mondo scientifico di sperimentare su vasta scala i risultati dell'applicazione delle tecnologie genetiche che di quello produttivo di "brevettare" i nuovi prodotti per assicurarsi così l'esclusiva dello sfruttamento commerciale.
La legislazione sia a livello nazionale che internazionale deve anche tener conto delle potenziali ripercussioni negative della diffusione dei prodotti delle biotecnologie, ripercussioni che non sono solo ecologiche ma anche politiche e sociali.


Biotecnologie e fame nel mondo

Uno dei "cavalli da battaglia" preferiti dei sostenitori delle biotecnologie è la loro indispensabilità nel risolvere l'annoso problema della fame nel mondo.
Ma quale nazione del Terzo Mondo potrebbe permettersi il lusso di acquistare sementi del superpomodoro che non marcisce (finora l'unica creatura commestibile dell'ingegneria genetica, in vendita da poco tempo nei supermercati americani ad un prezzo dalle 2 alle 3 volte superiore a quello dei comuni ortaggi)?
Eppure gli obiettivi della ricerca della nazione leader nella ricerca biotecnologica sono quelli di far arrivare sul mercato entro i prossimi 6 anni almeno 50 nuovi prodotti biotecnologici tra cui olii meno grassi, cereali più proteici, ostriche più appetitose, arance che non gelano, patate che assorbono meno olio e carote più croccanti!
Prodotti ad alto valore aggiunto, elaborati per lo più a fini dietetici e "cosmetici", finalizzati ad un consumatore "pigro", poco disposto a cambiare nocive abitudini alimentari e di vita e più propenso piuttosto a cambiare prodotto.
Gli svantaggi per i Paesi in via di sviluppo potrebbero essere non solo quelli legati allo sfruttamento da parte di paesi "biotecnologicamente forti" delle risorse genetiche del Terzo Mondo per la creazione di prodotti ingegnerizzati ma anche quelli legati al rischio che tali prodotti "ingegnerizzati" scaccino dal mercato quelli naturali (così come avvenuto per lo zucchero, il burro di cacao ed alcuni tipi di olii), facendo così diminuire le entrate già scarse di valuta pregiata.
In una recente rassegna sullo "stato dell'arte biotecnologica" nei Paesi in via di sviluppo (Sasson, 1989) si evidenziava la necessità, per questi Paesi, soprattutto di formazione e di educazione in questo campo più che di prodotti bioingegnerizzati, nonchè di incrementi negli investimenti pubblici e privati per attivare "in situ" laboratori e centri di ricerca.
Nei fatti si assiste però al paradosso che i geni estratti da organismi provenienti da Paesi in via di sviluppo vengono modificati, inseriti in specie ospiti per migliorare il loro rendimento e garantirsi un brevetto ed, infine, rivenduti a caro prezzo agli agricoltori di quegli stessi Paesi che quella ricchezza biologica hanno contribuito a mantenere (Shand, 1993).


Le tre generazioni

Con le biotecnologie di "prima generazione" si è riusciti ad indurre i batteri a produrre particolari molecole medicinali (la somatostatina, l'ormone dell'accrescimento umano, l'interferone, la relaxina, ecc.), per lo più materiale farmaceutico coperto da brevetti soprattutto americani, inglesi, tedeschi e francesi.
Successivamente, con le biotecnologie di "seconda generazione" i geni (segmenti di DNA che codificano polipeptidi e proteine) sono stati manipolati (tagliati, ricuciti, introdotti, trasferiti) in modo da modificare specifiche caratteristiche di piante e animali: sono nate così alcune varietà vegetali che posseggono la resistenza a specifici insetti o ad altri patogeni.
Oggi, oltre a migliorare tali tecniche ed estenderne la diffusione, stanno nascendo le biotecnologie di terza generazione: si inducono le piante a produrre molecole che mai avrebbero sintetizzato nel loro organismo, perchŠ codificate solamente nei batteri e nell'uomo.
Le prime realizzazioni sono la produzione da parte di piante di colza di leucoencefalina (un'endorfina cerebrale) e dell'albumina del siero umano.
La produzione di BHB, un poliestere utilizzato per la plastica, ottenuto finora grazie al batterio "Alcaligenes eutrophus", da parte di una piccola erbaccia spontanea (la crucifera "Arabidopsis thaliana") apre nuove prospettive all'agricoltura, destinata in  futuro a fungere da sintetizzatrice di molecole per le più varie applicazioni (chimica, medicina, energia, ambiente, ecc.).
Peraltro tale compito non appare nuovo se si pensa all'ancora quasi inesplorata "creatività chimica naturale" che caratterizza il mondo vegetale: si tratterebbe ora di far produrre alle piante anche ciò che producono batteri e uomini.


Nuova agricoltura o vecchi monopoli?

Quanto detto sopra appare certamente ancora una proiezione futura: la manipolazione genetica delle piante, trionfalmente annunciata dieci anni orsono, ha mostrato  di incontrare a tutt'oggi inaspettate  difficoltà anche dal punto di vista tecnico oltre che giuridico.
E ciò malgrado che ad appoggiare e ad esercitare talvolta in proprio l'arte manipolativa non ci fossero ricercatori pivellini e compagnie sprovvedute.
Fin dalle origini la ricerca biotecnologica è stata condotta dalle più grosse multinazionali della chimica e della farmaceutica con l'appoggio dalle migliori università del mondo.
Nel settore agricolo la chimica tradizionale, dopo un paio di secoli di "lotta" contro i sistemi naturali, ha però lasciato insoluti ancora diversi "problemini"...
La vendita associata di semi + erbicida (sementi selezionate e ingegnerizzate per la resistenza ad uno specifico erbicida, venduto dalla stessa ditta) promette agli agricoltori la certezza di liberarsi per sempre di uno dei primcipali nemici delle colture: le erbacce infestanti.
Altri nemici giurati dei coltivatori sono gli insetti: una delle più grandi multinazionali è riuscita ad introdurre un gene del batterio "Bacillus thuringiensis" nel seme di mais ottenendo così il primo granturco "ingegnerizzato" per la resistenza ad un insetto, le cui piante sviluppano  una proteina in grado di contrastare l'azione di un parassita - la piralide - causa di perdite sul raccolto annuale che possono incidere fino al 20% della produzione.
La ricerca ferve anche nel campo della difesa delle piante dall'attacco dei virus, responsabili di riduzioni del 25-35% del raccolto in modo particolare nelle Solanacee (pomodoro, patata, tabacco). Oltre alle tecnologie di micropropagazione (coltura degli apici vegetativi in vitro) in grado di ottenere piante esenti da virus, sono stati individuati due approcci genetici al problema: a) selezionare piante contenenti geni che consentano un'efficace resistenza all'attacco virale; b) produrre piante transgeniche in cui la resistenza ai virus viene indotta mediante inserimento nel patrimonio genetico vegetale dei geni responsabili della produzione dell'involucro proteico dello stesso virus.
Ma anche in questo caso siamo ancora ad un livello sperimentale: la commercializzazione su larga scala di queste nuove sementi attende però più approfondite prove in campo ed il completamento dei processi di autorizzazione alla vendita da parte delle competenti autorità.
L'enfasi sui "miracolosi effetti" e le aspettative in un rapido diffondersi dei prodotti delle biotecnologie vanno dunque temperate: la manipolazione di un organismo "primitivo" come una pianta (se confrontata con un animale o addirittura con l'uomo) per farlo adattare ad un composto chimico artificiale - per giunta, tossico per i delicati meccanismi biochimici delle cellule - oppure all'ingresso di un gene batterico, è tutt'altro che semplice.
Del resto la storia delle realizzazioni dell'ingegneria genetica in campo agricolo è finora costellata di pochi successi e più frequentemente di piccole ma significative acquisizioni soprattutto nell'esplorazione degli affascinanti misteri dei genomi di virus, batteri, vegetali ed animali.


Biotecnologie buone o cattive?

Spesso nei confronti di una nuova scoperta scientifica o di una applicazione tecnologica si attua una vera e propria battaglia da parte di schieramenti contrapposti che fanno di tutto per celebrarne gli aspetti positivi o per demonizzarne quelli negativi.
Anche in questo caso e forse più che per altre innovazioni, alte si sono levate le grida tra chi sostiene che le biotecnologie potranno risolvere gran parte dei problemi che attanagliano oggi l'umanità (fame, malattie, crisi energetica, produzione di rifiuti, degradazione dell'ambiente, ecc.) mentre i detrattori ne paventano tutti i rischi collegati alla manipolazione del patrimonio genetico di una specie, anche fosse di un microscopico batterio.
E' peraltro indubbio che senza adeguate precauzioni e stante le ancora immense lacune sulla conoscenza dei sistemi biologici la manipolazione genetica potrebbe generare situazioni di non facile gestione, soprattutto considerando le conseguenze ecologiche ed epidemiologiche che potrebbere derivare dal rilascio voluto o accidentale nella biosfera di organismi geneticamente alterati che, tra l'altro, non possono essere ritirati dal mercato come qualsiasi altro prodotto "difettoso".
Ecco che quindi l'allargamento dei "detentori di know how" biotecnologico potrebbe rappresentare un rischio reale laddove la ricerca e le applicazioni non seguissero i codici deontologici che le scienze biologiche hanno messo "a guardia" di ogni ricercatore.
Una delle preoccupazioni maggiori è che il controllo e la regolamentazione pubblica si riducono via via che il settore diventa sempre più privato e più concentrato in mano ai grandi colossi transnazionali dell'agrochimica, della farmaceutica e dell'alimentare.
Il grande business che vi è dietro le biotecnologie ha come principale obiettivo il profitto che, si sa, non è sinonimo di etica.
La pressante richiesta da parte delle multinazionali di avere un sistema unificato di brevetti che permetta loro di ottenere la proprietà privata delle forme di vita geneticamente modificate
rappresenta per milioni di agricoltori dei Paesi in via di sviluppo uno "shock culturale" in quanto trasforma le risorse biologiche da beni comunitari in merci.


Conclusioni

L'ingegneria genetica si trova quindi a dover affrontare oltre ai problemi più strettamente tecnologici, legati alle ancora scarse conoscenze umane sui sistemi biologici e sulla vita, anche quelli non meno fondamentali dei valori e dei fini che presiedono all'organizzazione sociale, al cambiamento tecnologico e alla definizione delle priorità di sviluppo.
In realtà sarebbe indispensabile che su questi problemi che determineranno il nostro futuro prossimo fossimo tutti informati e attenti: l'uomo di oggi rischia sempre più di essere considerato dal sistema produttivo solo un consumatore acritico di beni e servizi.
L'informazione genetica che le biotecnologie manipolano per migliorare la qualità della vita è un prodotto del nostro tempo; la manipolazione dell'informazione è anch'essa "tecnologia" sofisticata, seppur più "datata", ma dalla quale dovremo sempre più difenderci per assicurare alla nostra vita intellettiva quella libertà di scelta che solo una conoscenza a 360 gradi delle cose può consentirci.


Bibliografia

Sasson A., 1989. Biotechnologies and developing countries: present and future. In: A. Sasson and V. Costarini (Editors), Plant biotechnologies for Developing Countries. Technical Centre for Agriculture and Rural Co-operation and the Food and Agriculture Organisation of the United Nations.

Shand H., 1993. Agbio and Third World Development. Bio/Technology, 11: 513.

Mannion A.M., 1995. Agriculture, environment and biotechnology. In: Agriculture, Ecosystems and Environment 53 (1995) 31-45.

Shiva V., 1995. Monocolture della mente - Biodiversità, biotecnologia e agricoltura "scientifica". Bollati Boringhieri.


 
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