Get Adobe Flash player
Home Agricoltura AGRICOLTURA DEMOCRATICA O DITTATORIALE?

AGRICOLTURA DEMOCRATICA O DITTATORIALE?

Valutazione attuale: / 0
ScarsoOttimo 

AGRICOLTURA DEMOCRATICA O DITTATORIALE?

Su quali basi fisiologiche e filosofiche dovrà basarsi il modello di sviluppo agricolo e zootecnico mondiale del XXI secolo?

 

L’evoluzione storica delle forme di governo che i vari popoli della Terra si sono voluti dare mostra nell’ultimo scorcio del XX secolo una tendenza accentuata al desiderio di realizzare forme sempre più perfette di democrazia.

L’uomo, animale sociale, ha sperimentato nel corso della sua non lunghissima storia, varie forme di aggregazione funzionali ad una migliore organizzazione sociale e al conseguimento di un sempre maggiore adattamento alle condizioni culturali ed ambientali, non scevre però dalla percezione delle inevitabili restrizioni alla propria libertà personale.

L’anelito a liberarsi dal giogo di organizzazioni sociali rigidamente dettate dall’autorità derivante dall’età o dalla ortodossia religiosa oppure di sistemi statuali fondati sulla podestà di un feudatario e dei suoi vari subalterni, sull’assolutismo di un monarca o di un dittatore, su una burocrazia più o meno efficiente e corruttibile, sul potere dell’uomo sull’uomo o su quello del denaro sull’uomo.

Sempre di più il sistema internazionale fondato sull’autorità centrale di uno Stato sovrano è minato dalle richieste di autonomia delle singole regioni che lo compongono o dalla necessità di costituire delle comunità di Stati per affrontare meglio, grazie ai benefici delle “economie di scala”, le sfide della globalizzazione dei mercati.

L’accesso al sistema internazionale dei prestiti e degli accordi commerciali richiede sempre di più il rispetto di determinati standard qualitativi a livello politico, primo fra tutti il rispetto dei diritti umani.

La recente celebrazione del Cinquantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ha infatti quasi inaspettatamente riacceso a livello mondiale l’attenzione sul rispetto di principi etici anche nel bel mezzo del trionfo del capitalismo e del liberismo economico.

Ci si aspetterebbe, in un siffatto momento storico, che le drammatiche esperienze storiche maturate nell’arco dell’ultimo secolo appena conclusosi - caratterizzate, tra l’altro, da due conflitti bellici mondiali che hanno visto la nascita, il fulgore e poi il declino di fascismo, nazismo e comunismo - avessero portato l’umanità ad aborrire ovunque sistemi di pensiero e di potere fondati sul razzismo e sulla violenza.

Ma si sà, laddove questi sistemi siano funzionali al sistema economico, possono essere mantenuti, (come accade con la tratta degli schiavi, con il lavoro minorile, con la discriminazione delle donne, per fare solo alcuni esempi): anzi, in alcuni casi, è proprio il mondo scientifico a dare valenza e credito al perpetrarsi di antichi incubi nati dal “sonno della ragione”.

 

Il perpretarsi del “mito della razza” in agricoltura

Ciò che Hitler ed i suoi seguaci non sono riusciti a realizzare continua ad essere il sogno di molti genetisti moderni. Anzi la disponibilità delle sofisticate tecniche dell’ingegneria genetica apre la strada non solo alla creatività più folle nella ricombinazione di sequenze geniche tra specie assai diverse tra loro ma dà loro gli strumenti per sognare di creare quelle razze superiori capaci di essere invulnerabili all’assalto di ogni parassita, di elevarsi a dominatrici di ogni altra specie inferiore, un pò come ha fatto l’uomo nei confronti delle altre componenti della biosfera.

Così, di fatto è avvenuto, fin dagli albori dell’agricoltura: l’uomo ha addomesticato e selezionato alcune specie vegetali che erano funzionali meglio di altre a soddisfare le sue esigenze di alimentarsi, curarsi, vestirsi, scaldarsi, proteggersi dalle intemperie e così via.

Nel corso della storia del genere umano si calcola che siano state utilizzate dalle 40.000 alle 100.000 specie di piante diverse per trarne cibo, fibre e per altri scopi industriali, medicinali e culturali: di queste, allo stato attuale, se ne coltivano circa 6000 a livello mondiale.

In effetti, però, negli ultimi 5 secoli con lo sviluppo dei traffici internazionali, solo una trentina di esse è stata ampiamente diffusa e commercializzata (Eyzaguirre, Padulosi, Hodgkin, 1997). Da sole 10 piante coltivate forniscono il 75% dei prodotti alimentari più consumati della Terra: soia, canna da zucchero, patata, patata dolce, igname, miglio, grano, riso e mais.

In particolare oltre la metà delle necessità caloriche e proteiche del genere umano viene oggi soddisfatto solo da tre cereali (frumento, riso e mais) il che dovrebbe sollevare comprensibili preoccupazioni.

Non è necessario essere un premio Nobel per capire che basare il proprio modello di sviluppo sull’uniformità mette a repentaglio la stabilità e la sopravvivenza stessa di qualsiasi sistema (biologico, economico, energetico) allorquando una crisi negli approvvigionamenti impedisca la regolare distribuzione della materia prima (grano, denaro oppure petrolio, per fare degli esempi) alla base delle necessità del sistema (Worldwatch Institute, 2000).

Anche considerando che questa progressiva selezione e specializzazione produttiva sia stata funzionale all’approvvigionamento e all’esplosione demografica umana registratasi negli ultimi 250 anni, allo stato attuale occorre salvaguardare ciò che resta del patrimonio culturale e colturale fin qui trascurato o volutamente scartato in funzione di parametri di valutazione che, come la Storia ci insegna, possono variare nello spazio e nel tempo (e la Storia della Scienza non è esente da clamorosi casi di condanna, di “scomunica” e di tardive riabilitazioni o, al contrario, di iniziale esaltazione di scoperte ed invenzioni poi rivelatesi false o, peggio, foriere di pericolose conseguenze).

 

Il diktat autoritario delle biotecnologie

Uno degli elementi caratterizzanti della propaganda in atto per la diffusione delle tecniche di ingegneria genetica in agricoltura è la presunta mancanza di alternative valide al sistema attuale che, evidentemente, non va bene e quindi deve essere cambiato.

Paradossalmente le multinazionali fautrici dell’odierno boom delle agrobiotecnologie sono le stesse società che hanno orientato lo sviluppo di tipo “bellico-chimico” dell’agricoltura del secondo dopoguerra, da cui sono derivate le conseguenze negative (sviluppo di nuove resistenze ai presidi chimici da parte di erbe infestanti e parassiti delle colture; ) che ora le biotecnologie dovrebbero risolvere.

Grazie al loro potere economico l’impero biotecnologico conquista Università e ricercatori in ogni parte del globo, assetati di fondi per le loro ricerche, corrompe politici, funzionari pubblici ed opinion leaders, orchestra i mezzi di informazione omologati al sistema economico trionfante della new economy, creando aspettative di guadagno facile che alzano altrettanto virtualmente il valore delle azioni di quelle stesse società.

Non è cambiata la mentalità militaresca di essere di fronte ad un nemico (la Natura e le sue varie manifestazioni ostili – erbe infestanti, insetti, funghi parassiti, ecc.) che va battuto, possibilmente distrutto, preferibilmente annientato per sempre. Per ottenere questo obiettivo ogni mezzo è stato finora lecito: guerra chimica, biologica, nucleare, sterilizzazione di massa, irradiazioni…

La diversità biologica è vista come elemento di disturbo alla monocoltura e ogni altro sistema produttivo alternativo che non sia conforme al modello dominante viene considerato pericoloso, sovversivo, antitetico.

Le alternative ci sono, ma non sono prese in considerazione: farlo richiederebbe un diverso contesto, caratterizzato dalla diversità (vedi Riquadro). Passare alla diversità come modo di pensare e come contesto in cui agire, libera una molteplicità di scelte.” (V. Shiva, 1995)

 

I moderni lager e gulag della zootecnia industriale

Mucca pazza” (Julienne et al., 2000) e “polli alla diossina” (Bernard et al., 1999) hanno soltanto socchiuso appena la porta di “stalle” che sono in molti a voler tenere chiuse, per interesse, ignoranza o ipocrisia.

Gli allevamenti inquinano pesantemente il nostro territorio, intossicano con i loro prodotti il nostro fisico, ma quello che maggiormente minano è la nostra sensibilità, abituando la nostra coscienza a tollerare e a legittimare la tortura” (R. Marchesini, 1996).

Il sistema pianificatorio della grande produzione industriale di carne fondamentalmente usa gli animali come fosse materia prima “inanimata”: ciò che essi producono, o meglio la loro carne, cioè loro stessi, entrerà poi , con la nostra alimentazione, in noi, costruendo noi stessi, la nostra carne.

Fosse solo per questa egoistica considerazione, dovremmo loro più attenzione, se non più cure e maggior riconoscenza.

La standardizzazione che regna nel sistema produttivo zootecnico ha raggiunto livelli tali da dover parlare, eufemisticamente, di “maltrattamento genetico”: la superspecializazione produttiva ha portato a garantire la discendenza ai soli individui identificantisi con il “modello”campione, riducendo così in maniera drammatica il patrimonio di diversità presente non solo a livello di specie ma di razza e oggi, con la clonazione, si riuscirà ad eliminare anche il margine di diversità genetica tra genitori e figli!

Al maltrattamento genetico si accompagna quello etologico dovuto ai sistemi di stabulazione: le varie forme di comunicazione relazionale (visiva, olfattiva, vocale, di postura, ecc.) sono fondamentalmente negate o fortemente limitate tanto da indurre gravi deprivazioni nello sviluppo comportamentale degli animali. Alcune tecniche di stalla poi portano a vere e proprie aberrazioni produttive (di cui sono vittime oche e pecore, vitelli e conigli, galline e suini, cavalli e bovini) del tutto antifisiologiche e degne di un manuale di tortura del Medioevo (Fracanzani, 1988)!

Le manipolazioni alimentari dei mangimi usati in zootecnia e l’uso ed abuso dei farmaci - chiamati ad arginare tutte le malattie (principalmente dismetaboliche e di origine iatrogenica, quindi provocate volutamente dall’uomo per aumentare la produzione) causate dalle prassi zootecniche - completano un quadro degno di finire in un Tribunale di Norimberga dei diritti “non umani” violati in tutti i paesi del mondo.

Se gli allevamenti industriali, a detta di molti esperti, possono rappresentare dei veri e propri “impianti a rilevante rischio biologico” in quanto potenzialmente fonte di diffusione di malattie epidemiche altamente pericolose e se ciò che producono (carne, latte, uova, ecc) è il frutto della manipolazione antibiotica, ormonica e chimico-farmacologica di animali resi così dei veri e propri “tossicodipendenti”, viene da chiedersi su quali basi biologiche possiamo fondare il nostro sviluppo culturale e quale modello di “qualità della vita” aspiriamo a realizzare per il XXI secolo...

 

Conclusioni

Conoscere ciò che c’è dietro la produzione dei cibi di cui ci riforniamo negli ipermercati delle nostre città, oltre che farci scoprire o riscoprire il connubbio tra tradizioni antiche e tecnologie moderne, dovrebbe farci analizzare e riflettere su come quegli alimenti vengono prodotti, sulla condizione sociale e di vita di chi li produce, sul perchè preferiamo certi cibi e non altri, magari più salutari, se ciò che scegliamo è frutto davvero di una nostra determinazione o piuttosto dall’imbonimento pubblicitario a cui siamo sottoposti quotidianamente.

Studiando la fisiologia della natura e dell’uomo potremo trovare una risposta giusta a tutte queste domande che molti, potrebbero trovare “più grandi di loro.

Mi rivolgo soprattutto ai giovani, sempre meno propensi a porsi interrogativi per pigrizia o per l’ansia di non saper trovare poi le risposte a tutto.

Ma il dubbio della ragione, i valori espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e l’osservazione del mondo naturale ci sembrano gli indispensabili parametri di valutazione per ragionare su quale modello di sviluppo socio-politico-economico vogliamo realizzare negli anni a venire.

Dal momento che la globalizzazione avanza e, come dice il termine stesso, coinvolgerà tutti gli esseri umani del pianeta, facciamo in modo che essa sia davvero espressione saggia del “meglio” da noi raggiunto nei vari campi del sapere e non del peggio di quei condizionamenti istintivi che ancora non riusciamo a superare.

 

Bibliografia

A. Bernard et al. (1999): Food contamination by PCBs and dioxins. Nature, 16 Sept.

P.B. Eyzaguirre, S. Padulosi, T. Hodgkin (1997): IPGRI’s strategy for neglected and underutilized species and the human dimension of agrobiodiversity.

C.L. Fracanzani (1988): Oca ed anatra per la produzione del fegato grasso. L’Informatore Agrario, n. 17

M. Julienne et al. (2000): Tutti a tavola. Ogm, mucca pazza: c’è un modo per sapere cosa mangiamo?, Internazionale, n. 344

R. Marchesini (1996): Oltre il muro: la vera storia di mucca pazza, Muzzio Biblioteca

V. Shiva (1995): Monocolture della mente – Biodiversità, biotecnologia e agricoltura “scientifica”, Bollati Boringhieri.

Worldwatch Institute (2000): State of the World 2000 - Stato del pianeta e sostenibilità. Rapporto annuale. Edizioni Ambiente

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riquadro

BIODIVERSITA’, CIBO E SVILUPPO SOSTENIBILE

 

Queste tematiche sono state al centro del Terzo Corso Internazionale di Agroecologia tenutosi a Villa Capitini (Perugia), sede del Centro Studi Politiche Ambientali “Luigi Bazzucchi” della Provincia di Perugia, con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole, del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero dell’Ambiente.

Il corso, svoltosi dal 12 al 21 giugno, ha ospitato come docenti alcuni tra i maggiori scienziati mondiali nel campo dell’agroecologia che, nell’arco dei 9 giorni del fittissimo programma di lezioni e seminari - completati da visite guidate in aziende che applicano da tempo i principi dell’agroecologia e da una tavola rotonda finale dedicata a: “Ruolo dei mass media e del dibattito scientifico-divulgativo su biotecnologie, organismi transgenici, tradizione alimentare e agricoltura biologica” - hanno dato modo ai partecipanti di conoscere e approfondire le opportunità offerte da un approccio agroecologico ai problemi dell’agricoltura contemporanea. L’agroecologia è la disciplina scientifica che definisce, classifica e studi i sistemi agricoli da una prospettiva ecologica e socioeconomica

Organizzatore e “anima” dell’iniziativa è stato Giuseppe Altieri, agronomo, che con il suo entusiamo e la conoscenza delle problematiche agroecologiche che gli deriva dalla sua esperienza professionale - congiuntamente alla collaborazione di tutto lo staff della “Agernova International” - ha sovrinteso al buon esito del corso, di cui ha curato, insieme con il prof. Maurizio G. Paoletti dell’Università di Padova, il coordinamento scientifico didattico.

Ha aperto i lavori il prof. David Pimentel (Università di Cornell Ithaca, USA) che nei suoi seminari ha trattato i problemi globali posti dal difficile equilibrio tra popolazione, cibo e management delle risorse naturali. In particolare, atrraverso un analisi tecnico-economica e socio-ecologica ha evidenziato la crisi dell’attuale modello agricolo industriale, presentando numerosi modelli e casi concreti di sviluppo agricolo sostenibile realizzati in varie parti del mondo. Proprio gli elementi di valutazione economica ed ambientale della biodiversità presentati nel corso delle sue lezioni consentono di valutare appieno la validità del sistema produttivo basato sull’agroecologia nel porsi come alternativa concreta al modello omologante standardizzato di agricoltura funzionale alle necessità della globalizzazione sempre più imperante a livello mondiale.

Il prof. Paoletti ha magistralmente evidenziato quanto ancora poco si conosca, valuti e apprezzi tutte le potenzialità della biodiversità: specie vegetali e animali possono rappresentare delle vere e proprie risorse di riferimento (ad esempio, come bioindicatori della sostenibilità di un agroecosistema) se opportunamente studiate e strategicamente impiegate a beneficio di una qualità della vita eticamente “globalizzata”.

La scoperta dell’etnobotanica e delle conoscenze indigene (prof. Pablo Eyzaguirre - IPGRI-CGIAR) di molti popoli “primitivi” (messe in pericolo dall’impatto dell’uomo “civilizzato”) ha trovato nel corso dei vari interventi inattese assonanze con la riscoperta delle tradizioni legate al cibo e alla memoria dei saperi e dei sapori mediterranei (prof. Graziella Picchi) cui è necessario dedicare serie forme di conservazione su base scientifica (prof. Fabio Veronesi e prof. Valeria Negri - Università di Perugia).

Persino dalla matematica possono arrivare insoliti strumenti di tutela della biodiversità: gli interventi sui modelli rappresentativi del destino ambientale dei pesticidi (prof. Costantino Vischetti del CNR) e i modelli di analisi economica-ecologica applicati all’agroecologia (prof. Gianni Pastore, Università di Roma) hanno sollecitato interesse e discussione.

Se la biodiversità ha acquisito dopo la Conferenza mondiale di Rio de Janeiro (1992) tutela giuridica in una apposita Convenzione, brevetti sulla vita e pirateria genetica ne minacciano costantemente la protezione così come le possibilità offerte dalla nuova politica agroambientale europea spesso non vengono colte appieno nel nostro paese, peraltro particolarmente vocato per ricchezza di tradizioni e di ecosistemi ad uno sviluppo agroecologico del suo territorio.

Proprio dalla ricchezza di specie della nostra flora e della nostra fauna possono venire inaspettati aiuti ad uno dei principali problemi dell’agricoltura moderna, quello della difesa delle colture (prof. Joop van Lenteren - Università di Wageningen, Olanda). Su questo tema interessanti esempi teorici e pratici di controllo biologico delle avversità negli agroecosistemi sono stati presentati dalla prof. Clara Nicholls (Università di Davis, California) che ha anche illustrato le potenzialità agroecologiche della cosiddeta “agricoltura urbana”.

Il prof. Miguel Angel Altieri dell’Università di Berkeley attraverso esempi concreti di esercizio delle pratiche di agroecologia tradizionale nell’America centro-meridionale supportate dalle sperimentazioni condotte in molte università americane sugli indicatori di sotenibilità agroecologica ha esposto quelle che dovrebbero essere le linee guida per la conversione degli agroecosistemi convenzionali. La trasformazione dell’agricoltura non è però solo un problema tecnico ma anche e soprattutto culturale e di più generale sviluppo rurale: così è anche per le coltivazioni transgeniche, di cui non si valuta mai abbastanza l’impatto sociale oltre che agroecologico.

A queste tematiche è stata dedicata l’ultima giornata del corso che ha visto gli interventi dell’on. Gianni Tamino, professore all’Università di Padova e membro della Commissione Interministeriale sulle Biotecnologie, del prof. Miguel Altieri, del prof. Walter Ganapini, Presidente dell’A.N.P.A. - Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale, del prof. Fabio Veronesi dell’Università di Perugia, di Mons. Carlo Rocchetta, Consigliere ecclesiastico della Coldiretti, del dott. Fabio Manzione, Direttore del Dip.to di Ecologia del C.E.U., e le conclusioni del prof. Giuseppe Altieri.

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Box

AGRICOLTURA BIOLOGICA

Guida multimediale ai metodi di produzione biologica

Edizioni Bio Ager Service (Via Tuderte, 52 - 05036 Narni Scalo Tel./Fax 0744751089) - Lit. 200.000

Configurazione minima: Pentium 133, 16 Mb Ram, lettore CD-Rom 24x, Scheda audio, Sistema operativo Windows 95 o superiori, Scheda grafica 640x480

Questa guida multimediale - progettata e realizzata da un gruppo di agronomi con alle spalle una vasta attività professionale - rappresenta una “summa” non solo teorica ma eminentemente pratica di questo settore della produzione agricola.

La cultura tecnica che sottende a quest’impostazione produttiva (che incontra sempre più successo presso i consumatori per le garanzie che offre sotto il profilo nutritivo e della sicurezza alimentare) intende applicare nel grande solco della tradizione agrotecnica ispirata ai principi di fisiologia degli ecosistemi i più moderni ritrovati scientifici delle numerose branche delle scienze agrarie.

In questo senso lo strumento multimediale facilità la possibilità di cogliere tutti i collegamenti e di stimolare le sinergie conoscitive sempre molto importanti quando si ha a che fare con la complessità dei sistemi biologici.

L’opera è composta da 14 sezioni tematiche (da cui è possibile accedere, tramite una “biblioteca tecnica”, ad abstract di articoli e pubblicazioni tecniche sul tema prescelto) cui si aggiunge una di bibliografia ed un glossario con oltre 500 voci che consentono una ricerca per argomenti.

Nasce così uno strumento al tempo stesso utile nella didattica e nella pratica, indirizzato ad insegnanti, studenti, tecnici, imprenditori e a tutti coloro che sono chiamati, prima di esprimere pareri tecnici, legislativi o politici, a documentarsi sulla complessità degli agroecosistemi e sull’importanza di gestirli con scienza e coscienza.

 
Ultimi Eventi
No events
Eventi Calendario
March 2024
S M T W T F S
25 26 27 28 29 1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
31 1 2 3 4 5 6
Ulti Clocks content
Ambiente Agricoltura Salute Ultime Notizie Diritti Umani Nutrizione Notizie flash
3D Live Statistics
Sondaggi
Cosa pensi di questo Sito?
 
Previsioni meteo
Click per aprire http://www.ilmeteo.it