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GRANDI OPERE? SI, MA NON QUI…

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GRANDI OPERE? SI, MA NON QUI…


Il caso TAV (Treno Alta Velocità) in Val di Susa esploso in modo drammatico alla fine del 2005, non è che un esempio emblematico, seppur eclatante, dei numerosi impianti e infrastrutture che vengono contestati dalle popolazioni locali.

Sono circa 200 le opere oggi contestate in Italia: impianti per lo smaltimento dei rifiuti, centrali elettriche e a carbone, ripetitori, siti industriali, antenne per la telefonia mobile, cave, parchi eolici, termovalorizzatori, rigassificatori, elettrodotti, ferrovie, autostrade.

Dal Piemonte alla Sicilia il fenomeno Nimby, acronimo dell'espressione inglese Not In My Back Yard, "Non nel mio cortile") si allarga a macchia d'olio. Le manifestazioni si intrecciano, Internet fa da acceleratore.

Le battaglie proseguono in tribunale, e a volte conquistano le pagine dei giornali: i "No Tav" in Val di Susa, i "No Mose" in Veneto contro il sistema di dighe mobili in laguna per salvare Venezia dall'acqua alta, le proteste contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, i "No coke" contro la centrale a carbone a Civitavecchia, le contestazioni al deposito di scorie nucleari a Scanzano Jonico, in Basilicata, o contro i termovalorizzatori, in Campania.

La "sindrome" - definizione che non piace agli ecologisti - Nimby nasce negli Usa a metà anni Cinquanta, all'epoca delle Freeway Revolts di Santa Rosa, in Florida, e nei Sessanta, ai tempi dei sit-in per bloccare la costruzione delle autostrade intorno alla baia di San Francisco.

Con il passare degli anni, il fenomeno si è radicalizzato e gli acronimi moltiplicati: Banana - Build absolutely nothing anywhere near anyone ("Non costruire nulla in nessun luogo vicino a nessuno"); Cave - Citizens against virtually everything ("Cittadini contro tutto"); Nope - Not on planet Earth ("Non sul pianeta Terra") e così via.


Persuasione o contrattazione?

Se i rapporti con i cittadini fossero impostati in maniera più aperta, anche in accordo con la legge 2001/42/CE che invita gli amministratori a consultare e informare i cittadini nel caso di opere a grande impatto ambientale, probabilmente molti casi di proteste e opposizioni sarebbero mitigati, e altri forse sarebbero riconsiderati dai proponenti, dato che a volte grandi opere vengono approvate prima di una seria valutazione di impatto ambientale (come è avvenuto recentemente quando il governo belga, a seguito dell'opposizione delle amministrazioni locali, ha sospeso alcuni progetti ed ha accettato di rivedere la propria strategia generale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi).

"Un progetto, prima di essere promosso o bocciato – afferma Alessandro Beulcke, Presidente del Nimby Forum - va conosciuto senza pregiudizi ideologici. Spetta ai proponenti preparare il terreno di confronto: le istituzioni devono attuare una corretta programmazione, le imprese gestire bene la commessa dal lato ambientale e sociale. Rispetto ad altri Paesi, purtroppo, in Italia ci sono scarso senso dello Stato, scarsa fiducia nelle istituzioni e una normativa poco chiara sulle garanzie di informazione e comunicazione".

In Francia, all'inizio dei lavori per la Tav, hanno costruito un museo di 700 metri quadri e un punto informativo sul progetto che ne racconta peculiarità, finalità, impatti ambientali e tecnologie per ridurli, stato d'avanzamento. Con metodi analoghi (informazione continua, concertazione, partecipazione alle scelte e benefici compensativi a favore delle comunità locali), sempre in Francia (Centre de l'Aube) è stata costruita un'area di stoccaggio di scorie nucleari da 1.000.000 m3 senza particolari opposizioni.

In Austria, prima di ampliare l'aeroporto di Vienna, sono state proposte alternative, e creati gruppi di lavoro per identificare interlocutori e argomenti da sviluppare.

Altro metodo usato all’estero per decidere queste cose è quello di contrattare con la popolazione locale per la realizzazione dell’opera. Talvolta – non sempre – è possibile monetizzare il disagio creato dall’opera alle popolazioni interessate; in quel caso la contrattazione stabilisce che gli abitanti della tale valle si prendono il disagio e in cambio ottengono qualcosa.

Se il problema della sindrome Nimby può essere interpretato come frutto dell'egoismo di una comunità locale nei confronti dello sviluppo economico di una intera Nazione (e quindi di tutti i suoi cittadini) il metodo risolutivo della “contrattazione” ha il pregio di dare un peso agli “egoismi” delle due parti e provvedere una compensazione. In Francia e in Spagna hanno risolto così il problema dei depositi di scorie radioattive.


Cercasi comuni per rigassificatori

In Italia, si sa, tira un'aria diversa. Nimby fa fioccare proteste e azioni giudiziarie.

Contro il rigassificatore del porto di Brindisi, l'impianto della British Gas che dovrebbe essere pronto nel 2008, lottano Regione, Provincia, Comune, comitati civici e associazioni: la Corte europea di giustizia e la procura di Brindisi hanno aperto due inchieste.

"La nostra città - spiega Doretto Marinazzo, il consigliere nazionale di Legambiente che ha promosso il coordinamento con comitati, associazioni e organizzazioni - è a elevato rischio di crisi ambientale, fra le prime 14 zone di interesse nazionale per la bonifica di siti inquinati. L'interramento di 20 ettari di mare per la costruzione del rigassificatore - 110 gasiere da 130-140 mila tonnellate e otto miliardi di metri cubi di metano l'anno - è incompatibile con lo sviluppo sostenibile del territorio, le attività turistiche, commerciali e industriali".

Secondo gli oppositori nessuno ha previsto la Valutazione d’impatto ambientale (Via) prima della costruzione della piattaforma “che – per dirla con le parole del Presidente regionale Nichi Vendola – grava su una zona già martoriata dalla presenza di pesanti insediamenti industriali”.

Forse solo i pugliesi ricordano che il 26 settembre di 30 anni fa (poche settimane dopo l’incidente che sparse una nube di diossina a Seveso) l’esplosione del reattore del petrolchimico di Manfredonia inquinò con diecimila chili di anidride arseniosa il territorio circostante, lasciandosi dietro, anche dopo la sua chiusura nel 1988, una coda di terreni contaminati da bonificare, ad un costo per la collettività di decine di milioni di euro, una bonifica mai completata, estranea alla popolazione.

Se però l'Italia per l'energia dipende dall'estero, qualcuno dovrà pur ospitare gli impianti di rigassificazione.


Nimby come… “atteggiamento” mentale

L'acronimo Nimby denota un atteggiamento che si ritrova nelle proteste contro opere di interesse pubblico e attività che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sul territorio in cui verranno realizzate. L'atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere, ma, contemporaneamente, nel dichiararli indesiderabili per via delle fastidiose controindicazioni degli stessi sull'ambiente locale.

Per qualcuno si tratta di una iattura. Per altri del risveglio della partecipazione.

Alcuni (spesso i sostenitori della realizzazione di un'opera) arrivano a chiamare questo atteggiamento una sindrome e a squalificare in questo modo ogni opposizione alla realizzazione dell'opera, comprese le critiche che mettono in discussione i vari aspetti del progetto e della procedura di attuazione.

Altri (spesso i detrattori della realizzazione di un'opera) mettono in discussione l'intero processo che ha portato a decidere la realizzazione dell'opera, e sostengono che l'accusa di essere Nimby serva solo ad impedire una discussione serena ed approfondita sull'argomento.

Per chi predica una visione laica dei problemi sociali, il Nimby è un fenomeno radicato nelle trasformazioni della società contemporanea con le comunità locali sempre più pronte a mobilitarsi contro progetti di valore collettivo ma percepiti (non sempre a torto) come una minaccia per i propri interessi e per la propria identità.

"Nimby è un problema generale delle democrazie occidentali - spiega Luigi Bobbio, docente di Analisi delle politiche pubbliche all'Università di Torino - Rispetto a 30 o 40 anni fa i cittadini si sentono più forti, e così reagiscono alla minaccia al loro stile di vita, al cambiamento da cui non traggono benefici. In Italia si va per le spicce: quando si progetta una nuova opera non si fa attenzione alle comunità locali. Da parte dei proponenti c'è una rigidità terribile. Così, quando presentano il piano al pubblico, tutti protestano, ma loro non riescono più a modificarlo: hanno investito troppo".


Conoscere per capire

Sarebbe riduttivo, però, liquidare questo atteggiamento contestatario come quello di chi si oppone aprioristicamente allo “sviluppo” o di chi usufruisce dei risultati del “progresso” senza voler in alcun modo sopportarne i disagi che provocano, preferendo insediarli altrove (pur percependone utilità).

Tant’è che le istituzioni hanno cercato di cogliere il significato, promuovendo studi e ricerche per comprendere il fenomeno e definire delle linee di azione.

Nel corso del 2005, tra i numerosi eventi che hanno cercato di analizzare e comprendere il fenomeno, si segnalano in ordine cronologico:

a) la presentazione della Ricerca su informazione sui temi ambientali, commissionata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, effettuata dall’ISPO - Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione;

b) il Convegno di presentazione dei risultati della Prima edizione del Nimby Forum;

c) il Workshop finale della Ricerca effettuata dallo IEFE (Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente) dell’Università “L. Bocconi” di Milano, su Informazione e partecipazione pubblica in campo ambientale.

I 3 studi, seppur indipendenti per obiettivi prefissi e metodologie impiegate, sono comunque tra loro correlati.

a) La prima ricerca dell’ISPO, che, da maggio a novembre 2004, ha monitorato il livello di sensibilità nei confronti dell’ambiente, ha denunciato che gli italiani:

- considerano l’ambiente il tema più importante su cui impegnarsi (65% degli intervistati);

- ritengono la situazione ambientale molto o abbastanza critica (l’80%);

- reputano che la propria azione può fare una reale differenza (57%);

- si preoccupano maggiormente di inquinamento dell’aria, del nucleare, della gestione dei rifiuti;

- non sono per nulla o poco informati sui temi ambientali (52%).

b) La seconda indagine, quella dell’Osservatorio NIMBY Forum sul tema dei conflitti territoriali ambientali, ideato e promosso da Allea (Società di consulenza nel settore della comunicazione e delle relazioni istituzionali), ha analizzato 2.760 articoli apparsi sulla stampa italiana nel periodo giugno 2004 – maggio 2005.

Dai risultati è emerso che:

- gli impianti più contestati sono quelli legati al ciclo di trattamento dei rifiuti, che rappresentano il 65% degli impianti contestati (per lo più termovalorizzatori), contro il 22% nel comparto elettrico, l’8% di infrastrutture;

- le principali motivazioni delle opposizioni territoriali riguardano per i timori per la salute (il 18% dei casi), per gli effetti sull’ambiente (17%), per qualità della vita (6%);

- i quotidiani locali costituiscono il 73% degli articoli raccolti ed analizzati, seguono i quotidiani nazionali (16%) e quelli politici ed economicofinanziari (9%);

- la voce più riportata dai media analizzati è quella degli amministratori locali (43%) dei casi, seguita subito dopo dai comitati spontanei di opposizione (19%);

- nel 72% dei casi viene fornita una presentazione parziale dei fatti della situazione, mentre solo nel 28% abbiamo una presentazione completa;

- solo nell’1% degli articoli viene riportata la notizia di campagne di informazione territoriale e solo nel 3% dei casi risulta siano state avviate iniziative di consultazione o di coinvolgimento delle comunità locali.

I dati dell’Osservatorio Nimby Forum parlano quest’anno di 171 impianti contestati (dove per impianti si intende il complesso di insediamenti industriali, infrastrutture viarie e ferroviarie, centrali per la produzione di energia, rigassificatori, impianti per il trattamento dei rifiuti, ecc.) contro i 190 censiti nel corso della scorsa edizione. Tuttavia, il numero di articoli di stampa censiti sull’argomento è schizzato dai 2.760 dell’anno scorso ai 4.020 di quest’anno, con punte massime di 66 articoli al giorno (contro i 45 dell’anno scorso) e una media di 309 articoli al mese contro 251. Senza contare le numerosissime trasmissioni di approfondimento giornalistico televisivo che hanno ripetutamente trattato questo tema nel corso dell’anno.

Si rileva quindi che, pure a fronte di una diminuzione in termini assoluti delle opere contestate, si è assistito ad un incremento notevole dell’attenzione, da parte dai media e del dibattito politico, a questo fenomeno.

Tra le cause principali di questi processi oppositivi, il NIMBY Forum ha messo in evidenza:

- carenze nella programmazione e gestione del territorio;

- scarsa alfabetizzazione ambientale;

- mancanza di informazione e di coinvolgimento della popolazione;

- insufficiente responsabilità delle imprese;

- inadeguatezza normativa;

- carente ruolo dei media e della comunità scientifica.

c) Il terzo lavoro, quello dello IEFE durato ben 2 anni (2003-2005) e svolto in due fasi, ha riguardato:

- la domanda di informazione;

- gli strumenti di accesso e diffusione dell’informazione ambientale;

- l’applicazione delle politiche di e-government in campo ambientale;

- la partecipazione al decision-making ambientale.

Dallo studio, che ha coinvolto 100 soggetti tra Regioni, Province, Comuni al di sopra dei 50.000 abitanti, ARPA, Autorità d’Ambito, Consorzi e Camere di Commercio, si evidenzia che:

- quasi il 50% delle autorità pubbliche non rende accessibili dati su procedimenti e controlli ambientali in atto;

- il 44% delle autorità pubblica una relazione sullo stato dell’ambiente, ma solo il 21% certifica la gestione

dei dati ambientali;

- il 48% delle autorità dichiara che le informazioni relative a ispezioni e controlli non sono accessibili nel timore di infrangere la normativa sulla privacy, mentre la normativa prevede che tali informazioni siano rese pubbliche;

- solo il 9% detta una disciplina specifica per l’acceso alla informazioni ambientali all’interno del regolamento generale per l’accesso agli atti amministrativi;

- solo il 4% del campione ha adottato un apposito regolamento per l’accesso alle informazioni ambientali;

- solo il 25% dispone di un elenco delle banche dati che possiede;

- solo il 40% sa come sono stati raccolti i dati disponibili.

Anche quando i processi partecipativi vengono realizzati - ha spiegato il Vicedirettore e coordinatore dello studio IEFE, Edoardo Croci, durante la presentazione - spesso si riducono a semplice rito burocratico, piuttosto che rappresentare un’opportunità di miglioramento dei processi decisionali e possibilmente di condivisione delle soluzioni”.

Da quanto sopra riportato sembra che possa affermarsi che NIMBY, più che una preconcetta opposizione dei cittadini a qualsivoglia infrastruttura venga progettata nel territorio in cui vivono, sia l’estrema difesa degli individui che acquisiscono la consapevolezza che in processi e progetti di pianificazione e programmazione ambientale non sono coinvolti, mentre quei progetti li riguardano direttamente.

Da più parti si riconosce che c’è bisogno di riequilibrare i ruoli tra autorità e cittadini in tema di decisioni sul territorio, anche per evitare che assenza di informazione e scarsa partecipazione possano indurre a prese di posizione scientificamente infondate; al contempo, però, la pubblica amministrazione si comporta ancora in modo poco trasparente, limitando di fatto l’esercizio di specifici diritti dei cittadini che nuove normative hanno loro attribuito:

- Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Italia;

- Direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, attuata in Italia con il D. Lgs. n. 195/ 2005;

- Direttiva 2003/35/CE sulla partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale (non ancora recepita);

- Legge n. 241/1990, sui procedimenti amministrativi, come modificata dalla Legge n. 15/2005;

- Aalborg Commitments (2004), per le amministrazioni ed enti aderenti a Coordinamento Agende 21 Locali.


Quale ruolo per le amministrazioni pubbliche?

Come in altri campi, le amministrazioni pubbliche sono chiamate a affrontare nuove problematiche relative alla comunicazione e alla negoziazione.

Le analisi mostrano che sono nella maggior parte dei casi Nimby sono le amministrazioni pubbliche a portare avanti il dialogo con i media. Ma troppo spesso manca un coordinamento della comunicazione con gli altri soggetti coinvolti, imprese in primis. Si crea così un deficit comunicativo che contribuisce a diffondere una percezione negativa dell’impianto.

Altrettanto cruciale diventa la capacità dell’amministrazione di riuscire a gestire con competenza e cognizione di causa il processo decisionale.

Nei casi di Nimby e dintorni, in particolare, alle amministrazioni pubbliche si chiede di coinvolgere nel processo negoziale tutti i soggetti del territorio potenzialmente interessati dalla decisione.

In particolare, se il processo informativo e partecipativo sui temi ambientali, previsto dalle normative, è carente o assume aspetti di criticità in tutte le pubbliche amministrazioni, risulta “spiacevole” quando a commettere le omissioni sono amministrazioni ed enti che hanno volontariamente aderito ad Agende 21 Locali e, quindi, ai loro processi e alle loro azioni, e tra gli obiettivi dei quali c’è anche una Pianificazione sostenibile e partecipata.

Troppo spesso gli amministratori viceversa confondono “informazione” con la “partecipazione”.

Illustrare” il progetto di un impianto di trattamento dei rifiuti o “presentare” un piano di assetto territoriale, non significa coinvolgere la comunità in scelte che riguardano il loro presente e il futuro dei propri figli e nipoti.

La partecipazione informata e consapevole dei cittadini passa attraverso la possibilità offerta loro di contribuire sulla base di idee e conoscenze, anche di tipo culturale, alla realizzazione del progetto, fatte salve le scelte che autonomamente gli amministratori prenderanno, dopo aver valutato attentamente la reale necessità delle opere rispetto ad un piano di sviluppo programmatico, nonché risorse e costi finanziari necessari.

Solo queste effettive forme di partecipazione garantiscono al contempo un completo processo decisionale che riduce le possibilità di intraprendere azioni erronee e permette la legittimazione delle decisioni assunte.

Certo, le questioni da affrontare non sono facili, in special modo oggi che le problematiche di localizzazione di insediamenti ed infrastrutture tendono a superare la dimensione comunale per assumere quella di “Area Vasta”.

Proprio per superare le criticità connesse alla diversa strumentazione è “necessario organizzare forme di coinvolgimento, ineludibile, della comunità sulle scelte riguardanti direttamente il loro futuro”, obiettivo che si è posto correttamente il Gruppo di Lavoro “Città sostenibile” del Coordinamento Agende 21 Locali italiane.

I cittadini hanno il diritto di sapere se quelle opere ed infrastrutture produrranno vero “progresso” o semplice “sviluppo”. I due termini solo lessicalmente sono sinonimi, nella realtà assumono concetti diversi.

Lo sviluppo, inteso come crescita economica e fonte di benessere per tutti, poggia sul paradigma: più infrastrutture-più consumo-più produzione-più lavoro.

Il progresso, con la connotazione di civiltà, tiene conto, oltre che del PIL, di fattori quali benessere, qualità della vita, salute.

Proprio per evitare che si creino dicotomie, si è assunto l’aggettivo sostenibile accanto al termine sviluppo, intendendo quella crescita continua della produzione e dei consumi, non superiore però alle capacità di rigenerazione e di assorbimento del territorio.

I cittadini su questi temi attendono delle risposte perché sono sempre più consapevoli di essere portatori di informazioni e interessi che non sempre collimano con quelli dei decisori politici e degli esperti tecnico-scientifici e, di conseguenza, non vogliono più essere semplici “auditori”.

Solo una partecipazione effettiva può favorire la maturazione di opinioni fondate su elementi concreti di conoscenza, dando anche maggior credibilità a chi tali processi ha promosso.


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