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Olio combustibile: roba da preistoria

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Olio combustibile: roba da preistoria

 

E’ nato prima l’olio commestibile o quello combustibile? Da scavi effettuati a Cipro, presso Pyrgos Mavroraki, da un team diretto dall’archeologa Maria Rosaria Belgiorno dell’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Consiglio nazionale delle ricerche, si è scoperto che i ciprioti dell’epoca usavano l’olio, e non il carbone, per fondere il rame, minerale di cui l’isola è ricca. Un dato che oltre a rivoluzionare la storia della metallurgia fa pensare che la coltivazione e la spremitura delle olive fosse originariamente destinata a scaldare i forni di fusione. Nei 18 forni del II millennio a.C trovati sul sito, le tracce di carbone sono infatti scarsissime. “Le pareti sono invece rivestite di una abbondante sostanza nera, pastosa ed oleosa” spiega Belgiorno. “I nostri chimici, analizzando dei campioni, hanno verificato che si tratta di olio. E’ la prima volta che in metallurgia si conferma l’uso di questo combustibile al posto del carbone. E non è un caso che l’area metallurgica di Pyrgos si trovi accanto ad un frantoio”. Lo scavo, in corso dal 1998, ha già restituito una parte di quello che doveva essere un articolato ‘impianto’ industriale di 600 metri quadri, da cui sono già emersi il vino e la seta più antichi del Mediterraneo. Ora è la volta della tecnologia metallurgica, la cui filiera è testimoniata in tutte le sue fasi: dallo sgretolamento della malachite, minerale da cui si ricava il rame, alla fusione e alla colatura del metallo negli stampi per ottenere manufatti.

Nel centro di archeologia sperimentaleAntiquitates’ di Blera, in provincia di Viterbo, è stato riprodotto un modello dei forni ciprioti per meglio comprendere come avvenisse la fusione con l’olio. “I forni della dimensione di 35 centimetri sono muniti di due condutture semplici, ricoperte di terra, che a loro volta si collegano rispettivamente a due mantici, nei lati opposti, per un totale di 4 mantici che mandano ossigeno e aria nell’invaso. Questo è provvisto di due aperture per il tiraggio” spiega Angelo Bartoli di Antiquitates. “La camera veniva preriscaldata con piccoli pezzi di legna per raggiungere 6-700 ° di temperatura, che saliva, fino a 1083°, punto di fusione, con l’aggiunta dell’olio. Tale procedimento consentiva di ottenere calore con risparmio di risorse. Con circa 2 litri si ottiene la fusione di 600 grammi di malachite”.

I metallurghi preistorici avevano pensato anche a come non scottarsi evitando il ritorno di fiamma dopo l’inserimento del combustibile. “L’olio” prosegue Belgiorno “veniva versato lentamente attraverso una canna di fiume che consentiva di mantenersi a debita distanza dal calore. La canna finiva nel forno, ma era protetta da una brocchetta di ceramica con la base rotta. Tale espediente garantiva un maggiore controllo nel rilascio dell’olio e l’incolumità dell’operaio”.

Una tecnologia dunque molto accurata, sia nei processi funzionali sia nella sicurezza della lavorazione. Che gli antichi abbiano ancora qualcosa da insegnarci?

 

 



 
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