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ALIMENTI TRA… CULTURA E NATURA

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Testo tratto dal sito: http://www.dbpiante.altervista.org/index.html

 

Le piante rappresentano i più importanti produttori naturali di cibo, legno, fibre, oli e sostanze medicinali. Da sempre esse hanno influenzato in misura rilevante gli aspetti fondamentali della vita dell'uomo, sia economici che culturali o politici.
Presumibilmente l'uso a scopo alimentare dei prodotti vegetali è stato il primo ad essere sperimentato dalla specie umana.


 

L’origine dell’agricoltura


E' molto difficile stabilire un inizio dell'agricoltura. I ritrovamenti più antichi, quali mortai, macine o altri utensili collegati alle pratiche agricole, sono stati effettuati nella Valle del Nilo e datano circa 10.000 anni.
Le difficoltà ed i rischi connessi ad un'alimentazione fortemente dipendente dalle piante selvatiche hanno rivestito un ruolo non secondario nella nascita delle pratiche agricole, che consentivano un di selezionare piante con un basso livello di sostanze tossiche. Un aspetto essenziale dell'agricoltura è, infatti, la domesticazione delle specie vegetale (ed animali), che, fra le altre caratteristiche, determina la soppressione dei meccanismi di protezione delle piante, e in particolare delle loro difese chimiche, costituite proprio dalle sostanze con effetti tossici sugli animali che se ne nutrono.
Presumibilmente le prime piante ad essere coltivate furono i cereali e quelle che posseggono strutture sotterranee (tuberi o bulbi) in cui si accumulano sostanze nutritive. I cereali dal punto di vista ecologico sono delle erbe infestanti, capaci anche di crescere rapidamente su terreni spogli, ove ci sono poche altre piante antagoniste. Un' altra loro importante caratteristica è quella di possedere un frutto (cariosside) commestibile che si mantiene per anni senza deteriorarsi.
Le colture di piante con tuberi e bulbi sono, probabilmente, ancora più antiche. Questo tipo di pianta, infatti, è molto facile da coltivare, basta anche una zappa rudimentale, si mangia soltanto il tubero o il bulbo, il resto (semi compresi) viene ridato alla terra, permettendo alla pianta di ricominciare il proprio ciclo vitale.
E' altrettanto difficile stabilire anche il luogo d'origine delle prime coltivazioni: fino a venti anni fa, l'ipotesi più accreditata era quella dello studioso russo Vavilov, il quale riteneva che la nascita dell'agricoltura dovesse essere avvenuta in pochi centri dai quali si sarebbe poi diffusa nel resto del mondo. Le ricerche condotte soprattutto da Harlan negli ultimi anni hanno reso il problema molto più complesso; attualmente la teoria più seguita tende a vedere l'inizio della agricoltura come un processo realizzatosi indipendentemente e contemporaneamente, più o meno, in molti luoghi.
I progenitori selvatici delle piante più importanti d'uso alimentare sono ampiamente diffusi in aree geografiche molto vaste, e in tutta questa loro estensione spaziale furono manipolati da vari popoli che, in questo modo, acquisirono informazioni su come coltivare queste piante al fine di ottenere una resa migliore.
Si tende, quindi, a credere che l'agricoltura non sia stata una scoperta o un'invenzione, ma che si sia sviluppata con un processo di estensione e di intensificazione di quello che la gente faceva già da tempo.
Per i primi tempi l'introduzione dell'agricoltura spinse, parallelamente alle esigenze della caccia, le popolazioni al nomadismo, allo scopo di trovare territori su cui si realizzassero le condizioni migliori per ottenere un buon raccolto. Infatti, le tecniche agricole più primitive erano basate sul metodo del "taglia e brucia" in cui prima la vegetazione era bruciata per lasciare sgombro il terreno; successivamente, per qualche anno, la terra veniva coltivata con un graduale impoverimento delle risorse minerali del suolo. Un tale tipo di coltivazione rendeva poco ed il contadino che l'adottava era obbligato a spostarsi, insieme con gli animali domestici, alla ricerca di nuovi terreni su cui ricominciare.
Questi primi agricoltori nomadi avrebbero in tal modo svolto un ruolo fondamentale nella diffusione della agricoltura, sia direttamente, coltivando nuovi suoli, sia indirettamente, trasmettendo informazioni sulle tecniche agricole ad altre popolazioni con cui entravano in contatto durante i loro spostamenti. Ancora oggi il metodo del "taglia e brucia" è praticato in gran parte dell' Africa tropicale a sud del Sahara. Successivamente, quando attrezzi più efficaci resero possibile una coltivazione più redditizia, si passò ad una condizione stanziale in cui gli uomini cominciarono a costruire insediamenti stabili intorno a campi che permettevano buoni raccolti.

 

Le conseguenze della nascita dell'Agricoltura

Il passaggio all'agricoltura ebbe profonde conseguenze. Le popolazioni non condussero più un'esistenza perennemente nomade, potendo conservare il cibo non solo in sili e granai ma anche sotto forma di animali domestici. Oltre alle riserve di cibo, altri beni poterono essere accumulati in misura di gran lunga maggiore a quella prima possibile. Inoltre, la terra potè essere posseduta e ceduta in eredità.
Poichè l'attività di pochi poteva produrre abbastanza cibo per tutti, le comunità cominciarono a diversificarsi. Gli uomini divennero commercianti, artisti, banchieri, studiosi, poeti, dando vita a tutta la varietà che caratterizza le comunità moderne. Anche la densità di popolazione potè aumentare. Nelle economie basate sulla caccia e sulla raccolta di vegetali sono necessari, in media, 5 chilometri quadrati per la sussistenza di una sola famiglia.
Una conseguenza diretta ed immediata della nascita dell'agricoltura fu l'aumento della popolazione. Una caratteristica peculiare dei gruppi nomadi è la rigorosa limitazione della loro composizione numerica. Una donna in continuo movimento non puo portare con sè più di un bambino, insieme ai bagagli familiari, per quanto questi siano ridotti. Quando i sistemi di controllo delle nascite non sono efficaci, essa ricorre all'aborto o, più frequentemente, allo infanticidio. Inoltre, esiste un'elevata mortalità naturale, in particolare fra i neonati, gli anziani, i malati, i menomati, e le donne gravide. A causa di questi motivi, le popolazioni nomadi tendono a rimanere poco numerose.
Una volta affermatasi un'organizzazione di vita stanziale non vi fu più la stessa continua ed impellente necessità di limitare le nascite, e, nello stesso tempo vi fu anche un calo della mortalità, a causa delle migliorate condizioni di vita.

 

La Domesticazione delle Specie Selvatiche

Sin dai tempi più remoti gli agricoltori hanno focalizzato la loro attenzione su poche specie che risultarono economicamente redditizie e più adatte alla coltivazione. L'utilizzazione prolungata di queste piante e la continua selezione che sin dall'inizio l'uomo effettua su di esse, determinarono col tempo la domesticazione di queste specie stesse.
Non bisogna far confusione tra coltivazione e domesticazione di una pianta.
La domesticazione comporta delle mutazioni genetiche che rendono una pianta più adatta alle condizioni di un ambiente creato dall'uomo e meno adatta alle condizioni di un ambiente naturale.
Conseguentemente alla domesticazione le piante subiscono profonde modificazioni a livello di quelle parti che presentano maggiore interesse per l'uomo. Così, se si tratta di un tubero, la più grande variazione e la più grande deviazione dal tipo selvatico si avrà nel tubero stesso; se si tratta di un cereale, le parti più modificate saranno la spiga ed i chicchi che essa contiene.
L'esempio più straordinario è quello della specie selvatica Brassica oleracea che, come risultato dell'influenza dell'uomo, è stata modificata in una mezza dozzina di modi.
Le principali piante alimentari utilizzate in tutto il mondo hanno subito questa sorte, anche se, in molti casi, si tratta di specie utilizzate intensivamente da non più di trecento anni.
La patata, per esempio, è originaria delle regioni montuose delle Ande, ed è rimasta confinata in questa zona fino a che gli europei non vi arrivarono nel XVI secolo. Poco dopo fu portata in Europa, ma non era molto adatta alle condizioni agricole locali, ed entrò in un periodo di acclimatamento, soprattutto per adattarsi alle giornate lunghe, tipiche delle estati europee. Benchè gli europei inizialmente fossero restii a cibarsene, la patata trovò una dimora congeniale nell'Europa settentrionale e divenne così produttiva da procurare, a detta di alcuni storici, una piccola esplosione demografica. Anche altre colture importanti, come gli agrumi, il pomodoro, la barbabietola da zucchero, la canna da zucchero, hanno dato solo di recente un contributo importante alle disponibilità alimentari del mondo, di solito in luoghi diversi e, a volte, lontanissimi da quelli nativi.
Al giorno d'oggi, l'alterazione implicata nel processo di domesticazione di queste specie è arrivata al punto in cui esse risultano adattate esclusivamente ad un ambiente artificiale: le piante coltivate dipendono totalmente dall'uomo per la loro sopravvivenza.
D'altro canto, possiamo dire che la specie umana è stata a sua volta domesticata da queste piante e dai pochi animali che alleva. La conseguenza è che la popolazione umana in gran parte del mondo o muore di fame a seconda dell'andamento produttivo di quelle poche specie di piante (e di quei pochi animali) che rappresentano la base alimentare dell'Uomo.
Da sempre gli agricoltori hanno tentato di migliorare la produttività delle specie in coltura selezionando varietà che fossero più resistenti all'attacco di malattie, garantendo una resa migliore.
In questi ultimi anni si sta sviluppando un nuovo approccio al problema che tende ad ampliare le possibilità esistenti in natura, piuttosto che selezionare artificiose varietà nuove. Il 65 % delle specie vegetali (ca. 500.000) si trova nei paesi in via di sviluppo, una metà di queste nelle foreste tropicali. Qui possono essere trovate piante capaci di resistere spontaneamente a malattie, parassiti, e forzature climatiche, caratteristiche ereditarie che è possibile trasferire nelle nostre specie coltivate.
La FAO (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura) e l' UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) hanno programmato la creazione di banche genetiche atte a conservare stock di semi o colture i tessuti vegetali potenzialmente utili.
Già gli esempi di piante in coltivazione migliorate grazie alla acquisizione di caratteristiche da parte delle loro forme selvatiche sono numerosi. Consideriamo, per esempio, il caso del riso: a partire dal 1970 un'epidemia virale distrusse oltre 116.000 ettari di risaie in Indonesia, India, Vietnam, Filippine e Ceylon. Attualmente, in tutta quest'area geografica si coltiva una varietà di riso ottenuta da incroci tra Oryza sativa con una specie selvatica, Oryza nivara, o meglio, con un suo ceppo isolato nell'India centrale, l'unico che possiede la caratteristica ereditaria (gene) della resistenza al virus.
Accanto ad iniziative come questa della FAO e dell'UNESCO che hanno dato dei risultati sicuramente incoraggianti, vanno menzionati altri processi intrapresi negli ultimi tempi. Bisogna innanzitutto considerare l'aumento di terreni destinati alla produzione agricola, un processo in corso in tutto il mondo, dall'America alla Siberia, dall'Australia alla Cina, che ha consentito un notevole incremento produttivo. Secondo stime sviluppate recentemente, circa il 30 % delle terre emerse potrebbe essere sfruttato per fini agricoli; attualmente ne utilizziamo solo il 10 %. Questo dato può sembrare confortante, ma va aggiunto che la spesa necessaria per rendere coltivabile un'area mai utilizzata è altissima, per cui, sebbene i mezzi odierni a disposizione potrebbero rendere fertili terre inutilizzabili fino ad un secolo fa, l'espansione delle terre coltivate è estremamente lenta.
La strategia adottata dalla gran parte delle nazioni è sempre stata quella di convogliare tutti i fondi disponibili sulle aree già coltivate, tentando in vari modi di aumentarne la produttività. Questa tendenza ha portato nei primi anni del secolo alla nascita dell'agricoltura intensiva negli Stati Uniti e nelle altre nazioni occidentali.
Oggi la ricerca scientifica internazionale è concorde nell’affermare che è fondamentale salvare e conservare il maggior numero di piante alimentari. Questo saggio principio ben noto a tutti gli agricoltori fino ad alcuni decenni fa, è stato stravolto dall’industrializzazione dei processi agricoli che, in nome della massimizzazione dei profitti ha drasticamente ridotto le varietà ortofrutticole attualmente prodotte. Recuperare la grande diversità biologica delle piante alimentari è importante non solo perché evita che particolari parassiti possano compromettere i raccolti (ci saranno sempre varietà che non saranno sensibili a quel particolare parassita), ma anche perché alcune varietà si prestano ad essere prodotte anche in suoli poveri e sassosi e possono costituire un valido presidio contro i processi di inaridimento e desertificazione.

 

Piante alimentari e salute: la riscoperta delle varietà perdute

Oggi alcuni dei componenti presenti nelle piante edibili e in alcune bevande stanno suscitando notevole interesse scientifico per i loro potenziali effetti positivi nel mantenimento del benessere. Sono i cosiddetti nutraceutici che esplicano le funzioni più disparate e, operando parallelamente ai processi biosintetici, manifestano azione antiossidante e citoprotettiva determinando una diminuzione dell’incidenza di malattie cronico-degenerative.
Uno dei principali obiettivi della più recente chimica delle sostanze naturali è infatti l'individuazione di metaboliti biologicamente attivi presenti nelle piante, usate comunemente come vegetali nella dieta umana e che, nei secoli passati, hanno trovato impiego, oltre che come cibo o spezie, anche nella medicina popolare. Il contributo maggiore delle piante, nelle diete umane, è imputabile all'apporto di vitamine, acido folico e minerali. Tuttavia esse contengono altri metaboliti secondari, che vengono definiti nutraceutici e che sono stati, di recente, al centro di intensi dibattiti scientifici. Le piante edibili sono ricche di terpenoidi, flavonoidi, alcaloidi, pigmenti, polifenoli, fitosteroli, acidi grassi insaturi, che hanno un ruolo importante nel mantenimento del benessere. La dieta mediterranea include una buona quantità di piante alimentari (frutta, verdure, nocciole, semi, vino, olio di oliva) che impedendo le reazioni di ossidazione determinano una forte riduzione dei fattori di rischio in malattie coronariche, e abbassano livelli di colesterolo nel sangue. Risultano inoltre diminuiti i rischi da malattie croniche degenerative quali il cancro, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, malattie autoimmuni, la sclerosi multipla.


 

Database sulle Piante Alimentari:

http://www.dbpiante.altervista.org/elenco.php

http://et2.unipv.it/omp/dizionario.htm
http://www.agraria.org/coltivazionierbacee.htm

Testi sulle piante alimentari:
http://www.nap.edu/catalog/lca/
http://www.stampabasilicata.net/default.cfm?fuseaction=dettaglio&obj=3501
http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/argomento-piante_selvatiche_.htm

 

La ricerca su piante alimentari e salute:
http://www.ricercaitaliana.it/prin/dettaglio_completo_prin-2004038183.htm#base
http://community.aster.it/alimentare/tiki-index.php?page=PoliFerruccio_2&PHPSESSID=7ebd64dc29b5fe4a909840cafb758b96

 

Fitoalimurgia
http://wiketica.ilbello.com/index.php?title=Alimurgia
http://wunnish.altervista.org/diario/index.php?page=Alimurgia%20e%20piante%20selvatiche%20utili
http://www.astilibri.com/cultura/phytoalimurgia.htm
http://www.naturopatiaeuropea.it/
http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/leverdure.htm
http://www.esculenta.org/index.htm
http://www.strie.it/alim_fitoalimurgia.html

 

Le piante alimentari nella storia
http://www2.pompeiisites.org/
http://www.ecologist.it/goldsmith07.html
http://ssai.interno.it/conferenze/inaugurazioni/2004_2005/alcazar.html

 

Le piante alimentari nella didattica:
http://www.gol.grosseto.it/puam/scuole/caspesca/piante/

http://www.ipsaa-avezzano.it/index.php?option=com_content&task=view&id=33&Itemid=93

 
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