(...) Il 3 maggio è stato istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa "per celebrarne i principi fondamentali, per valutarne la situazione in tutto il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza ed offrire un tributo ai giornalisti che hanno perso la vita nell′esercizio della loro professione". L’ultimo rapporto del comitato internazionale per la protezione dei giornalisti riporta che nel 2010 sono stati 145 i giornalisti finiti in prigione per motivi legati al loro lavoro e 44 quelli uccisi. Lo studio, pubblicato annualmente, evidenzia come siano aumentati gli attacchi ai web reporter, che sono oggi circa la metà di tutti i giornalisti detenuti nel mondo. I media online e i blogger subiscono inoltre minacce di ogni tipo: dal blocco agli attacchi alle email, fino alla negazione dell’accesso al web. (...)
"Avevo 30 anni quando ho subito l'operazione e da allora sono praticamente inutile per lavorare in campagna", afferma Cléofl Neira, 50 anni, dalla porta di casa sua. A Yanguila, un villaggio di poche centinaia di persone vicino alla città di Huancabamba, nel nord del Perù, più di 15 donne hanno subito lo stesso intervento di legatura delle tube. La maggior parte di queste contadine sono rimaste invalide e con pesanti problemi di salute. Ancora oggi continuano a chiedere giustizia alle autorità e hanno anche portato il caso davanti alla Corte interamericana dei diritti umani. Si stanno studiando anche altre vie giudiziarie per costringere lo Stato a risarcire le vittime. "Non volevo sottopormi a questa operazione, non sapevo che non avrei più potuto avere figli, non me l'hanno detto. Sono arrivati qui con promesse di cibo, medicinali, ma alla fine non abbiamo visto altro che dolore", spiega Cléofl, madre di sette figli avuti prima dell'operazione. "Loro" sta a indicare gli emissari del Ministero della Salute del governo di Alberto Fujimori (1990-2000) che furono inviati sulle montagne delle Ande, tra il 1995 e il 2000 per attuare gli ordini delle autorità: ridurre il tasso di natalità nelle campagne, secondo quanto sosteneva il Fondo Monetario Internazionale. La Banca mondiale aveva fornito fondi per contribuire all'attuazione del programma di pianificazione familiare consistente in interventi chirurgici anticoncezionali volontari. Inoltre, gli Stati Uniti, attraverso US Aid, avevano finanziato il progetto di Fujimori, il quale era libero di agire, forte di una comoda rielezione avvenuta nel 1995. "Di volontario non c'era nulla. La stragrande maggioranza di queste donne sono state costrette o ingannate con la promessa di avere in cambio qualche chilo di riso o di zucchero", dice Josefa, un'attivista per la difesa dei diritti delle donne. In tutto il Perù, si stima che 300.000 donne sono state vittime di sterilizzazioni forzate. Tutte erano contadine, indigene, povere e analfabete o con scarsa istruzione. (...)
(...) Il Tagikistan è un paese misterioso, il più povero tra le repubbliche ex Sovietiche. Sette milioni di abitanti, nessuno sbocco al mare e un territorio prevalentemente montuoso protetto da vertiginose alture che superano i settemila metri. Un enorme scoglio di roccia che funge da avamposto per la narco-aggressione che dalle piantagioni di oppio afgane arriva, attraversando l’Asia Centrale, fino ai ricchi mercati di Europa e Russia. (...)
Bambini accovacciati davanti ai telai in Nepal, chini sotto carichi di carbone in Colombia, esposti ai pesticidi nei campi di caffè in Tanzania. Quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile perché il fenomeno tende a rimanere sommerso. Arruolando mini-lavoratori in nero, i datori di lavoro riducono i costi di produzione e aumentano i propri profitti ponendosi anche nel campo dell'illegalità fiscale, altro motivo per non dichiarare alle autorità le loro attività. (...)
I Paesi ricchi sono tutti uguali, quelli poveri sono poveri in maniera diversa. Se poi oltre a essere poveri, sono anche retti dalla dittatura più longeva e spietata dell’Asia, finisce che diventano un mondo completamente altro. “Questa è la Birmania ed è diversa da qualsiasi terra abbiate visto”, scriveva Kipling. Era vero cento anni fa, è ancora vero oggi.
“La Birmania è un po’ la terra asiatica dell’eccentricità, la zia un po’ toccata dell’Asia”, sostiene il giornalista americano Pico Iyer. Una zia zitella che vive sola e ci si è scordati di andare a trovare. Nonostante il Paese sia stupendo e ricco di attrazioni, di turisti in giro non se ne vedono molti. La Birmania nel 2006 ne accoglieva circa 250mila, meno di mille al giorno, la Thailandia 15 milioni. Oggi – dopo il ciclone Nargis del 2008 e la repressione delle rivolta zafferano nel 2007 – sono ancor meno. La liberazione, a inizio novembre scorso, del premio Nobel Aung San Suu Kyi fa sperare che qualcosa possa cambiare e il Paese conosca una stagione di apertura. Ma secondo gli osservatori politici più attenti, le mosse dei generali manifestano solo l’intenzione di togliersi la divisa e mettersi il doppiopetto. La liberazione del premio Nobel, avvenuta una settimana dopo le elezioni politiche (le prime da 20 anni, libere per modo di dire) allora sarebbe da leggere come un gesto studiato per allentare la pressione internazionale. Un contentino mediatico che soddisfa le anime belle in giro per il mondo, ma non cambia i termini della questione all’interno del Paese. Aung San Suu Kyi fa meno danni in libertà vigilata che confinata nella sua villetta al 54 di University road: sicuri della propria forza, i generali pensano di poterla gestire meglio così. A lasciare il potere e avviare un processo di reale democratizzazione proprio non ci pensano. (...)