L'Europa vuole garantire una maggiore tutela dei diritti dei minori mettendo in pratica i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Per questo oggi la Commissione Europea ha presentato un programma che individua una serie di azioni concrete con cui l'Unione può contribuire alle politiche mirate al benessere e alla sicurezza dei minori, promuovendo ad esempio una giustizia a loro misura, informando meglio i bambini e gli adolescenti dei loro diritti e garantendo sicurezza ai piccoli cibernauti. Il programma elenca 11 azioni che la Commissione intende adottare nei prossimi anni. In futuro, nel definire, realizzare e monitorare le politiche UE che coinvolgono i più giovani, direttamente o indirettamente, occorrerà tener conto dell'interesse superiore del minore. I minori coinvolti in procedure giudiziarie si scontrano con ostacoli notevoli e se il sistema giudiziario non è a loro misura il rischio è che ne siano violati i diritti. I soggetti particolarmente vulnerabili (minori indigenti, emarginati sociali o portatori di handicap) necessitano peraltro di una protezione speciale. La Commissione terrà conto dei minori nella sua proposta sui diritti delle vittime di reati, proponendo misure di garanzia per i minori indagati e rivedendo la normativa applicabile attualmente ai casi transfrontalieri di affidamento. (...)
(...) La prima martire uccisa per i diritti delle donne non è stata un’occidentale bensì una poetessa iraniana, certa Tahirih, conosciuta anche come Quarratu’L’ – Ayn, di Quazvin. La sua vita risale alla prima metà del diciannovesimo secolo. Figlia di un prete musulmano, mostrò tanto di quel coraggio e potere da meravigliare tutti quelli che l’ascoltavano. Si tolse il velo contravvenendo ad una immemorabile tradizione, propria delle donne dell’Iran e nonostante fosse sconveniente parlare con gli uomini si misurava sempre con i più istruiti, battendoli in ogni riunione con la sua abilità oratoria. Si racconta che un giorno uno dei presenti si tagliò la gola pur di non vederla in volto, evitando così un sacrilegio ma rimettendoci la vita. Fu imprigionata dal governo iraniano; per le strade le lanciavano pietre ed anatemi, fu esiliata e minacciata di morte, ma non venne mai meno alla determinazione di lavorare per la libertà delle donne. Sopportò persecuzioni e sofferenze con il più grande eroismo, ad un ministro iraniano presso il quale era tenuta prigioniera disse: “Potete uccidermi quanto vi aggrada, ma non potrete fermare l’emancipazione delle donne”.(...)
Nel 2010 la Commissione diritti umani del Senato ha svolto una indagine conoscitiva sulla condizione di rom e sinti in Italia ascoltando esperti, organizzazioni specifiche e rappresentanti delle Istituzioni.
Forse la scoperta più eclatante emersa dal recente Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite, che registra il suo 20° anniversario, è la straordinaria performance dei paesi musulmani del Medio Oriente e del Nord Africa. Ed ecco la Tunisia, posizionata al sesto posto tra i 135 paesi, in termini di miglioramento dell'Indice di sviluppo umano (Isu) negli ultimi quattro decenni, davanti a Malesia, Hong Kong, Messico e India. Segue, non distante, l'Egitto, che si è piazzato al 14° posto. L'indicatore Isu misura lo sviluppo raggiunto sul fronte della sanità e dell'istruzione, insieme alla crescita economia. L'Egitto e (soprattutto) la Tunisia hanno registrato buone performance sul fronte crescita, ma hanno eccelso soprattutto su istruzione e sanità. Con un'età media di 74 anni, l'aspettativa di vita della Tunisia prevale su quella di Ungheria ed Estonia, paesi che sono due volte più ricchi. Il 69% dei bambini egiziani va a scuola, una percentuale che eguaglia quella della più ricca Malesia. Chiaramente, questi stati hanno fornito servizi sociali e distribuito su vasta scala i benefici della crescita economica. Eppure alla fine non è bastato. Parafrasando Howard Beale, i cittadini tunisini ed egiziani erano furibondi con i rispettivi governi e non ne potevano più. Se il tunisino Zine El Abidine Ben Ali o l'egiziano Hosni Mubarak speravano che i miglioramenti economici sarebbero stati ricompensati con la popolarità politica, allora devono esserci rimasti molto male.(...)
Con un discorso in latino trasmesso in tutto il mondo, nel lontano 12 febbraio 1931 un emozionato Pio XI inaugurava la Radio Vaticana, allora diretta dal gesuita Giuseppe Gianfranceschi, fisico e matematico. Tra le prime trasmissioni sperimentali, lo "Scientiarum Nuncius Radiophonicus", sorta di rassegna dell'attività della Pontificia Accademia delle Scienze. Ottanta anni dopo quell'esordio dal tono biblico («Udite e ascoltate, popoli lontani») la Chiesa celebra la provvidenziale iniziativa con una mostra ai Musei Vaticani. Inaugurata il 10 febbraio, in anteprima per la stampa, l'esposizione ripercorre le vicende della stazione radiofonica costruita da Guglielmo Marconi, uno straordinario mezzo che metteva a disposizione del Pontefice il microfono, amplificando la forza della sua parola. Da allora in poi, i «radiomessaggi», come ricorda il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, diventeranno «almeno per diversi decenni, uno dei più importanti generi di espressione del magistero papale e soprattutto dei suoi moniti in rapporto alla situazione del mondo». Un esempio per tutti: i radiomessaggi nel tempo di guerra, quando si mise in piedi l'Ufficio informazioni che lanciava appelli per rintracciare civili e militari dispersi, trasmettendo messaggi delle famiglie ai prigionieri. Ma gli anni della nascita della Radio Vaticana sono anche anni dell’affermazione dei totalitarismi che negano la libertà religiosa, di fronte ai quali «la radio si presenta come lo strumento più adatto, spesso l’unico, per diffondere un messaggio di fede e di libertà capace di superare le frontiere». All’epoca del comunismo nell'est dell'Europa, conclude Lajolo, il Papa chiede così alla sua Radio di «diventare la voce della Chiesa a sostegno dei popoli e dei fedeli oppressi», mentre «si moltiplicano i programmi regolari nelle lingue dei Paesi che hanno perduto la libertà». (..)
La situazione ivoriana è ancora incerta: il paese è diviso tra i due presidenti, Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara. Lo scrittore ivoriano Venance Konan, sostenitore di Ouattara, si è trovato i soldati di Gbagbo alle calcagna subito dopo lo scoppio della crisi ed è dovuto fuggire dal paese. Ecco il suo racconto.