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QUANDO LA SCIENZA È AL SERVIZIO DELL’UOMO

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La storia di George Washington Carver: da schiavo a scienziato benefattore dell’umanità.

 

Nato a Diamond Grove nel Missouri nel 1864, era figlio di una schiava, Mary, che apparteneva alla famiglia Carver. Il padre, schiavo anche lui di una fattoria vicina a quella dei Carver, rimase ucciso in un incidente quando il piccolo George era ancora bambino.La sua infanzia fu anche tragicamente segnata dal rapimento a cui fu sottoposto insieme alla madre e al fratello James da parte di alcuni soldati confederati datisi alla macchia: dato il loro aspetto macilento i due ragazzini furono presto rilasciati e, rimasti orfani, furono adottati dai coniugi Carver che diedero loro la possibilità di frequentare una scuola per persone di colore in un paese vicino.A 13 anni George decise di lasciare il Missouri per il Kansas dove, mantenendosi con piccoli lavori, completò gli studi superiori: ma la sua sete di sapere lo indusse nel 1885 a tentare di accedere all’Highland College da cui fu rifiutato perché nero.Solo qualche anno più tardi gli fu possibile frequentare il Simpson College nell’Iowa e successivamente l’Iowa State University dove ottenne il Master in agricoltura, segnalandosi per le sue doti intellettuali e didattiche.

 

“Terrone”… per vocazione

Il suo desiderio di aiutare altri giovani di colore desiderosi di studiare lo indusse, nel 1896, ad accettare la direzione della sezione di Agricoltura del Normal and Industrial Institute di Tuskegee in Alabama.Quando arrivò a Tuskegee, Carver si trovò di fronte numerose sfide: mancanza di strutture e di fondi disponibili per il suo dipartimento (un granaio, una mucca e pochi polli: questa la dotazione iniziale!); la povertà e la malnutrizione diffuse tra i coltivatori neri locali; una mancanza di interesse tra i giovani per lo studio dell’agricoltura, che molti degli allievi associavano alla mezzadria e alla povertà, e quindi il loro maggiore interesse per discipline tecnico-industriali o commerciali che poi avrebbero consentito loro di lavorare nelle grandi città.A Carver bastarono poche settimane per rendersi conto che il principale problema di quella terra piatta, una volta assai fertile, che si estendeva per centinaia di chilometri quadrati attorno alla piccola città, era dovuto all’impoverimento del suolo. Semine monotone di un solo prodotto, il cotone, un anno sì e uno no, avevano ridotto la fertilità della terra da una generazione all’altra.
Per controbattere la lenta spoliazione che impoveriva migliaia di mezzadri, decise innanzitutto di allestire una stazione sperimentale con un laboratorio per le analisi del terreno e di fornire ai suoi allievi e agli agricoltori che frequentavano le sue lezioni le basi scientifiche della moderna agronomia: botanica, chimica e studio dei suoli.Per oltre un decennio Carver lavorò quotidianamente su appezzamenti di terra sperimentali per sperimentare l’efficacia dei più disparati fertilizzanti naturali disponibili in loco (foglie marce di foresta, melma degli acquitrini, letame di stalla) fino ad allora completamente trascurati in favore dell’uso dei fertilizzanti sintetici in commercio. Carver inoltre introdusse nella rotazione delle colture l’utilizzazione delle arachidi, leguminose fissatrici di azoto, che consentirono ai suoli di recuperare parte della loro fertilità. Se fino ad allora il loro unico impiego era stato come cibo per maiali, dovevano pur avere qualche utilità per l’alimentazione umana: il giovane professore ne studiò a fondo la composizione chimica scoprendo che l’arachide aveva le stesse proteine della bistecca di manzo e gli stessi carboidrati della patata e che era possibile estrarne 7 diverse varietà di olio. Quell’umile frutto della terra poteva dunque dare un contributo sia al problema della perdita di fertilità dei terreni, sia alla malnutrizione e alla salute delle popolazioni del sud rurale degli Stati Uniti!Quando il rettore dell’Università della Georgia, W. B. Hill, giunse a Tuskegee per vedere con i propri occhi se era proprio vero che un professore nero aveva tanto talento quanto si diceva in giro, dichiarò che l’esposizione del problema agricolo meridionale, fatta da Carver, era “la migliore conferenza alla quale avessi mai avuto l’onore di assistere”.Viaggiando per tutte le zone rurali dell’Alabama, con le sue conferenze Carver indusse gli agricoltori ad alternare il cotone alla soia e alle arachidi e si ingegnò a trovare tutti gli usi che fosse possibile ottenere dalle noccioline, riuscendone a sviluppare oltre 300 prodotti diversi!
Carver insegnò nelle sue lezioni, rivolte anche alle mogli dei contadini, come conservare e trasformare le noccioline in farina, in burro, in formaggio ottimo per preparare pasti saporiti e bene equilibrati nutrizionalmente oltre che economici: se per fare 5 chili di burro ci volevano 50 chili di latte, con 50 chili di arachidi si potevano fare 17 chili di burro.Molti coltivatori neri del Sud non avevano mai preso in considerazione il consumo del pomodoro, per molti ritenuto tossico: Carver ne spiegò il valore nutritivo e mostrò loro parecchie ricette in cui poteva essere usato. Lo stesso fece anche con altre colture innovative come la batata (una pianta rampicante tropicale di cui gran parte degli americani non aveva mai sentito parlare e che oggi è meglio conosciuta come “patata dolce americana”) e il pecan, sviluppando oltre 100 usi diversi per ciascuna di queste due piante.Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Carver orientò i suoi studi verso la scarsità di materie coloranti: da foglie, radici, steli e frutti di 28 piante spontanee diverse creò 536 tinte da usarsi per colorare lana, cotone, lino, seta e persino cuoio. Ma solo quando si sparse la voce che all’Istituto di Tuskegee risparmiavano 100 chili di frumento al giorno mescolando due parti di farina comune con una nuova farina derivata dalle batate, l’eco delle sue ricerche si diffuse sulla stampa nazionale con titoli di rilievo in tutti gli Stati Uniti.

 

Ori e … allori

Nel 1916 fu eletto membro della Royal Society britannica (un onore riservato a pochi cittadini USA) e solo nel 1923 ricevette la medaglia NAACP dall’Associazione Americana per l’Avanzamento delle Scienze per i suoi contributi all’agricoltura. Fu amico del Mahatma Gandhi e di tre Presidenti degli Stati Uniti (Theodore Roosevelt, Calvin Coolidge e Franklin Delano Roosevelt) nonché consulente agricolo del governo russo e di molti altri Paesi in tutto il mondo.
Carver visse sempre in maniera molto frugale, accettando soltanto una piccola parte del suo stipendio e donando i risparmi di una vita di ricerche ad un fondo a lui intitolato, destinato allo sviluppo della ricerca agricola.Carver, che creò fortune per migliaia di persone, brevettò soltanto 3 delle oltre 500 sue invenzioni derivate da prodotti naturali (peraltro dopo la sua morte, nel 1943, e a favore dell’Istituto di Tuskegee). Quando industriali e politici dalla mente pratica gli ricordavano che avrebbe potuto fare un sacco di soldi se si fosse garantito l’esclusiva, egli rispondeva semplicemente: “Dio non ci ha mica presentato il conto quando ha fatto le noccioline. Perché dovrei guadagnarci io per i loro derivati?”Eppure, in piena Grande Depressione (era il 1930) il valore dell’arachide, un tempo bassissimo, si era tramutato, grazie alla “chiaroveggenza” e all’operosità di Carver, in una rendita di 250 milioni di dollari per gli agricoltori del Sud: il solo olio di arachide era valutato in 60 milioni di dollari all’anno e il burro di arachide si affermò come uno dei cibi preferiti anche dal più povero bambino americano.Carver scoprì anche che l’olio di arachide aiutava i muscoli atrofizzati dei poliomielitici: i risultati furono così sbalorditivi che egli dovette riservare un giorno al mese per curare i pazienti nel suo laboratorio, senza peraltro mai farne un business.Questa caratteristica di mettersi da parte, rinunciando ai propri diritti, fu incomprensibile per due suoi contemporanei e geni inventivi, i quali, a differenza di Carver, furono uomini astuti e pratici fino al punto di voler comprare i suoi servizi. Thomas A. Edison disse ai suoi soci che “Carver valeva una fortuna” e avallò la sua dichiarazione offrendogli un impiego ad uno stipendio astronomico che lui naturalmente rifiutò. Henry Ford, il quale riteneva Carver “il più grande scienziato vivente”, cercò di attirarlo nel suo stabilimento di River Rouge, con eguale insuccesso.

 

Integrare scienza e fede

In molti si chiesero da dove Carver traesse spunto per le sue ricerche, il perché dei suoi successi di scienziato.La sua carriera fu certamente segnata dalle difficoltà incontrate nella sua vita che sicuramente ne determinò alcune scelte ma ci sono elementi di tipo psicologico dei quali vale la pena accennare.Fin da bambino George fu attratto dal fascino del mondo vegetale: vagava per ore tra boschi e campi coltivati, esaminando piante e prelevando specie selvatiche con cui guariva gli animali ammalati.A chi gli chiedeva come facesse a operare tali miracoli Carver si limitava a dire sottovoce: “Tutti i fiori parlano con me e così fanno centinaia di piccole cose viventi che abitano i boschi. Ciò che so l’ho imparato osservando e amando ogni cosa”.A Tuskegee ogni mattino Carver si alzava alle quattro e andava a camminare nei boschi, prima dell’inizio della giornata lavorativa, e tornava con una infinita quantità di piante, molte delle quali ignote al botanico medio, che usava per illustrare le sue lezioni. Spiegando quella sua abitudine agli amici, egli diceva: “La natura è la più grande maestra e da lei imparo meglio quando gli altri dormono. Nelle ore ancora notturne, prima del sorgere del sole, Dio mi dice i progetti che devo realizzare”.Chi andava a visitare Carver nel suo laboratorio e lo trovava a gingillarsi al suo banco di lavoro con un ammasso confuso di muffe, terra, piante, insetti restava disorientato dalla estrema semplicità, per molti senza senso, che caratterizzava le sue risposte alle insistenti preghiere di conoscere i suoi segreti.“I segreti stanno nelle piante. Per scoprirli voi dovete amarle quanto basta.”Ma perché c’è tanta poca gente che ha il suo potere?” incalzavano i più curiosi. “Chi oltre a lei, sa fare queste cose?”“Tutti, basta che ci credano”. Battendo la mano su una grande Bibbia che teneva sul tavolo, egli aggiungeva: “I segreti sono tutti qui. Nelle promesse di Dio. Queste promesse sono reali, reali e anche infinitamente più concrete e sostanziali di questo tavolo in cui il materialista crede ciecamente”.Non molto prima che Carver morisse, una persona che andò a visitare il suo laboratorio, lo vide allungare le lunghe dita sensibili verso un fiorellino sul suo tavolo di lavoro. Carver si fermò e dopo un attimo di riflessione sorrise al visitatore, dicendogli: “Quando tocco quel fiore, tocco l’infinità. Esso esisteva molto prima che sulla Terra vi fossero gli esseri umani e continuerà a esistere per milioni di anni futuri. Attraverso il fiore, io parlo all’Infinito che è soltanto una forza silenziosa. Questo non è un contatto fisico. Non è nel terremoto, nel vento o nel fuoco. È nel mondo invisibile. Molti lo capiscono per istinto, e nessuno meglio di Tennyson quando scriveva:

Fiore nel muro screpolato

Io ti colgo dalle fessure,

Ti tengo qui, con le radici e tutto, nella mia mano

Piccolo fiore, ma se potessi comprendere

Ciò che sei, radici e tutto, e tutto in tutto,

Io saprei ciò che è Dio e l’uomo.

Al di là dei riconoscimenti che ebbe, Carver, non fu ben visto dai suoi colleghi proprio per questa sua visione mistica dell’universo che contrastava apertamente con l’impostazione razionale e deduttiva della comunità scientifica del tempo.Anche i giornalisti del New York Times non furono teneri con lui quando, in un editoriale del 20 novembre del 1924, criticarono i suoi metodi d’indagine, rimproverandolo che i “veri chimici” non attribuivano i loro successi all’ispirazione divina.Il ritratto di Carver che emerge dai suoi scritti e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto è quello di uno scienziato che ha precorso non solo il suo tempo ma che anche nel nostro avrebbe avuto qualche problema ad affermarsi.

 

Perché non nascono più scienziati come lui?

Certo, oggi come oggi, nel XXI secolo non ci sono più le tragiche condizioni di vita in cui Carver mosse i suoi passi: razzismo, guerre civili, schiavitù, povertà, fame e malnutrizione, malattie che sono ormai ricordi lontani.Non avendo più da preoccuparsi di queste tematiche, gli scienziati sono di fatto in una condizione disagiata: al contrario del “povero” Carver oggi sono costretti a gestire per lo più tautologici problemi di tipo amministrativo come la ricerca di fondi… per la ricerca su argomenti strampalati come i viaggi su Marte, gli incroci tra fragole e pesci, le pillole per la felicità e amenità simili, con cui si affannano a produrre centinaia di pubblicazioni che probabilmente mai nessuno leggerà.Chissà che ora, conoscendo la vita e l’opera di George Washington Carver, molti nostri giovani disperati ricercatori disoccupati ed anche vecchi baroni delle scienze mai paghi di cattedre e allori non affolleranno gli aeroporti per partire per lontane destinazioni, pronti a ridursi in schiavitù per sperimentare la voglia di riscatto di un essere umano, o non saranno disposti a lunghi e dolorosi trapianti di epidermide nera per sperimentare, sulla propria pelle appunto, cosa significa essere rifiutati ai concorsi universitari…Sono già in molti, emuli della spiritualità di Carver, ad essere stati avvistati mentre deliravano in preda a visioni mistiche nei boschi del Missouri oppure che si sforzavano di dialogare con una confezione di piselli surgelati nei supermercati dell’Alabama.Noi, umilmente, ci auguriamo che tutti costoro inseguino soprattutto il sogno di vedere scritto sulle proprie tombe epitaffi come quello che suggella il monumento a George Washington Carver: “Avrebbe potuto raggiungere la fortuna e la fama senza preoccuparsi per nessuno, ha trovato la felicità e l’onore nell’essere utile al mondo.”

Fonti

Rackham Holt, George Washington Carver: an american biography (1943).

Shirley Graham e George D. Lipscomb: George Washington Carver, Scientist (1944).

Peter Tompkins, Christopher Bird: The secret life of plants (1973)

Linda O. McMurray: George Washington Carver: scientist and symbol (Oxford Univeristy Press, 1981)

Gary R. Kremer: George Washington Carver in his own words (University of Missouri Press, 1987)

The World Book Encyclopedia (1969)

Websites

www.nps.gov/gwca/expanded/main.htm

www.africana.com

www.luminet.net

www.graceproducts.com/carver/carver.html

www.angelfire.com/md/aasp/jerry.html

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