SMOG: LA NUOVA SCHIAVITU'

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Lo smog è solo un “sintomo” di una malattia più complessa del nostro vivere, da cui si può guarire con tecnologie nuove e vecchio buon senso.

 

È un’emergenza nazionale. Decine di città rischiano di chiudere al traffico i loro centri storici per fronteggiare il rischio sanitario legato all’inquinamento atmosferico. Trasporti sul banco degli imputati per l’emergenza smog. L’accusa viene dal Ministero dell’Ambiente che ha individuato proprio in questo settore il principale fattore di pressione per quanto riguarda le emissioni inquinanti nell’aria. Nelle otto principali città italiane il traffico è responsabile per più del 70% delle emissioni delle polveri sottili PM10 e degli ossidi di azoto e per più del 95% di quelle di benzene. Lo evidenzia il recente Rapporto sullo stato dell’ambiente in Italia, presentato lo scorso 14 marzo. E ci si mette pure il Sahara. Non ci bastavano le schifezze prodotte dal traffico. Adesso anche le sabbie desertiche aggrediscono la nostra atmosfera e i nostri polmoni (F. Pratesi, 2005). Secondo rilevamenti di un pool di esperti interpellati dalla Regione Lazio, l’emergenza polveri sarebbe causata per il restante 30% da fenomeni naturali (il trasporto di pulviscolo atmosferico, dovuto alle correnti aeree). Ma dette percentuali variano a seconda delle condizioni meteorologiche e dei periodi dell’anno. A Milano, dove la distinzione tra polveri naturali e artificiali viene fatta da 3 anni, le prime sono mediamente il 15% del totale.
L’Unione europea ha deciso di intervenire radicalmente: ormai le polveri sono state bandite. Le città italiane ora sono costrette a rispettare le norme europee riguardanti le emissioni di veleni nell’aria. Ma, secondo alcuni assessori alla mobilità, per riuscirci il traffico dovrebbe essere ridotto del 30% rispetto al livello attuale. Oppure, secondo una proposta delle Agenzie per la protezione dell’ambiente regionali, occorrerebbe far circolare solo veicoli Euro2 sette giorni su sette: l’inquinamento si ridurrebbe del 40% e non si supererebbero i 35 giorni l’anno previsti.
I principali aspetti del problema, in estrema sintesi: le auto sono troppe, occupano lo spazio urbano rendendolo abbastanza inospitale, costringono a lunghe code e quindi a perdite di tempo, fanno rumore, provocano incidenti e, ultimo ma molto rilevante, inquinano in modo grave (M. Porqueddu, 2003). I sindaci firmano le ordinanze contro le automobili, ma gli esperti indicano nella combustione del gasolio la fonte principale di emissione di polveri sottili. E gasolio significa soprattutto furgoni e poi gli impianti di riscaldamento. Marginali (anzi quasi assolte dagli scienziati) le automobili, che invece sono l’oggetto principale delle terapie sempre più fantasiose dei sindaci e il soggetto dell’attenzione rabbiosa dei cittadini, stanchi di traffico pazzo e volgarmente aggressivo (J. Giliberto, 2005a). Ma andiamo con ordine…


Le responsabilità delle trasformazioni urbanistiche…

Il traffico è un problema urbanistico di assetto urbano e territoriale. Nelle città, le zone sottoposte alle targhe alterne settimanali e ai periodici blocchi totali del traffico coincide, in buona sostanza, con il perimetro dei quartieri storici, cioè di quelle zone delle città che hanno subìto un processo di terziarizzazione analogo a quello che ha subìto il centro storico. Ad esempio a Roma, nel 1971, nei quartieri interessati dalle odierne limitazioni del traffico vivevano circa 1.400.000 abitanti, che nel 2003 si sono ridotti a 970.000: circa 130.000 famiglie (430.000 abitanti) che si sono trasferite per far posto a uffici e attività produttive di ogni tipo: se una famiglia disponeva di 2 macchine, lo stesso alloggio occupato da un ufficio richiama un numero di autoveicoli almeno due o tre volte superiore.
Anche l’utopia urbanistica della città-giardino (concretizzatasi nelle distese sterminate di villette a schiera che contraddistinguono oggi i suburbi delle città americane e, sempre più, dei paesi europei) ha determinato come conseguenza uno schema insediativo che fa coincidere l’abitare con il disporre di un’auto a testa. La nascita e lo sviluppo non pianificato delle periferie ha portato ad una situazione strutturale, che subiamo ancora oggi, per cui intere aree suburbane non sono raggiungibili senza un mezzo di trasporto privato.
Ogni mattina in Italia oltre 20 milioni di persone devono raggiungere il proprio posto di lavoro. Contemporaneamente, circa 10 milioni di giovani escono di casa per andare a scuola o all’università. Il punto è che la grande maggioranza degli italiani compie questi spostamenti in macchina: lo fa il 67% di chi lavora (il dato è del 2000, ma rimane indicativo) e anche il 30% di chi studia che, ogni giorno, si muove in automobile come passeggero (il 5% siede al volante). (M. Porqueddu, 2003). Il trasporto pubblico invece non è aumentato, se non in misura marginale. In parte la responsabilità è delle amministrazioni, che continuano a cercare consenso aumentando parcheggi e strade per tamponare il nevrotizzante problema delle code e dei parcheggi. Ma, come ogni urbanista sa, questo è un caso in cui la soluzione proposta tende a trasformarsi in un incentivo al problema. Una maggiore disponibilità di strade e parcheggi chiama altro traffico che rapidamente satura il nuovo spazio, senza che nulla cambi (A. Bonelli, 2004).
Occorre rendersi conto che l’automobile privata è incompatibile con la vita urbana, cioè con la città: e questo sia nei centri storici sia nelle periferie. Ne volete un esempio? Guardate Scampia: un quartiere a strade larghe costruito per facilitare al massimo il passaggio e il parcheggio delle automobili (il sogno di ogni automobilista). Ma senza negozi, senza bar, senza cinema, senza passanti, senza vita, se non quella generata dai traffici della criminalità. Che “cultura urbana”, cioè “civile” può mai esserci in un quartiere dove la gente non ha più alcun motivo per camminare e incontrarsi per strada? (G. Viale. 2005).


Le responsabilità delle trasformazioni psicologiche…

Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, il rapporto tra l’uomo e l’automobile è strettissimo e ha modificato la nostra immagine corporea, cioè il modo in cui percepiamo noi stessi. C’è una caratteristica del modo di percepire noi stessi che accomuna ormai quasi tutti: considerarci “tutt’uno” con la nostra macchina. Convinzione che ci ha fatto cambiare specie di appartenenza: non più mammiferi ma corazzati, come le lumache e le tartarughe. Senza la corazza-automobile ci sentiamo un po’ nudi e indifesi. Con quella protezione, invece, ci trasformiamo in guerrieri: è risaputo che alla guida si diventa violenti e aggressivi. Gli automobilisti più pavidi prendono a male parole “rivali” al volante che non riuscirebbero mai ad affrontare in un faccia a faccia, talmente grandi e grossi sono.
Il problema riguarda ogni classe sociale, dalla più ricca alla più povera. Accertata la paradossale “indissolubilità” del rapporto uomo-auto, si capisce perché staccarsi dal volante sia così difficile: rinunciare alla macchina potrebbe significare rinnegare una parte della propria identità. Ecco perché accettiamo di malavoglia le targhe alterne, o perché il car sharing non si è mai diffuso: come si può chiedere ad una chiocciola di dividere il suo guscio con altre quattro?


Le responsabilità del traffico…

In Europa, secondo l’Eurostat, ci sono 487 auto ogni mille abitanti: l’Italia è al primo posto della classifica con 574 vetture ogni 1000 abitanti. In gennaio sono stati immatricolati 212.568 veicoli e sono nati 45.569 bambini: 4 a 1. Prima, la sproporzione era stata ancora più pazza: dal censimento 1961 ad oggi gli italiani sono cresciuti del 13% e i motori (auto, camion, moto: tutto) del 1.380%. C’erano allora 6 veicoli scarsi ogni 100 abitanti, ce ne sono 72 oggi. In una realtà unica, con centri storici dalle vie larghe due metri, la rete stradale più congestionata del mondo: un rapporto auto-chilometri del 40% superiore alla Germania, del 45% all’Olanda, del 60% alla Francia (G.A. Stella, 2005).
In Italia, secondo il recente rapporto del Ministero dell’Ambiente, dal 1980 al 2001 il traffico annuale di passeggeri nelle aree urbane è passato da 136,4 miliardi di passeggeri per km a 307,9 con un incremento del 126%. Le auto hanno fatto la parte del leone, con un incremento di 133,7 miliardi di passeggeri per km, mentre c’è stato un decremento di 4 miliardi di passeggeri per km per il trasporto pubblico.
Secondo il paragone ambientale fra le diverse città, che viene elaborato in una ricerca coordinata da Silvia Brini e condotta dall’APAT (Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e del territorio), il traffico produce in genere più del 70% delle polveri finissime. «I veicoli merci – scrivono gli esperti dell’APAT – sono la fonte principale delle emissioni di PM10 con valori pari al 46-47%, seguite dalle autovetture (34-35%) e da moto e ciclomotori (16-17%), mentre i bus sono responsabili di meno del 3% delle emissioni da trasporto mobile». Questo è il dato complessivo che si riferisce alla media annuale, che tiene conto anche dell’estate e del clima del Mezzogiorno. I dati cambiano quando si confrontano le diverse città e le diverse stagioni. «Il traffico – conferma Mario Cirillo, responsabile del Servizio inquinamento atmosferico e ambiente urbano dell’APAT – è il maggiore fattore di pressione sulla qualità dell’aria, anche perché contribuisce in modo fondamentale a sviluppare l’inquinamento “secondario” da PM10. Si tratta di quei composti dello zolfo e dell’azoto che poi, in aria, si trasformano in particelle.» (J. Giliberto, 2005 a).

Autobus. Per il ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, sostituire gli autobus più vecchi e inquinanti con mezzi ecologici è una delle priorità nella lotta all’inquinamento. Ma quanti sono gli autobus in circolazione in Italia? Quanti sono quelli più vecchi e inquinanti? Le aziende ASSTRA, che rappresentano il 99% del trasporto pubblico locale urbano e il 60% del trasporto pubblico extraurbano, sono dotate (dati 2003) di 16.307 autobus urbani e di 15.267 extraurbani, per un totale di 31.574 mezzi (età media dei veicoli è di 10 anni, mentre la media europea è di 7). Su 31.574 mezzi per il trasporto pubblico circolanti in Italia, quelli da sostituire al più presto sono 7.830, ovvero quelli che hanno più di 15 anni. Di questi il 30% circola al Sud, il 20% al Centro, il 25% al Nord-Est e l’altro 25% al Nord-Ovest. Purtroppo il 94% dei mezzi pubblici si muove a gasolio. Quelli ecologici sono solo il 6%; appena l’l% elettrici, il 2% ibridi e gpl, il 3% a metano.
Autoveicoli. Il ministro dell’Ambiente sostiene che occorre rinnovare il parco delle auto e delle moto, troppo vecchie e inquinanti. È vero che il 10% dei veicoli nel nostro Paese hanno più di dieci anni e quindi non sono dotati dei dispositivi più moderni contro l’inquinamento. Ma, ribattono con un esempio gli ambientalisti, la circolazione delle auto non catalitiche è già vietata all’interno del grande raccordo anulare di Roma: eppure l’emergenza nella capitale non è cessata. D’altra parte, la percentuale di macchine più vecchie risulta maggiore al Sud, dove invece l’inquinamento è minore. E viceversa, al Nord. La verità è che, in rapporto alla popolazione, in Italia circolano più autoveicoli che negli altri Paesi d’Europa: 41 milioni per 57 milioni di abitanti, contro i 50 milioni su 82 in Germania, i 35 milioni su 59 in Francia. Con un indice di 1,74 – cioè un auto per ogni abitante e mezzo – l’Italia ha la più alta densità automobilistica in Europa dopo il Lussemburgo (1,58) e occupa il terzo posto nella graduatoria mondiale. In alcune città, poi, la media di 768 veicoli per 1000 abitanti viene abbondantemente superata: a Roma (955 auto per 1000 abitanti), Torino (850), Firenze (832), Milano (810).
Motorini. A Roma circolano circa 650.000 moto e motorini (in confronto alle 2 milioni di auto il rapporto è 1 a 3). Di questi, oltre 2/3 sono gli Euro0 che emettono 15 volte più PM10 dei nuovi Euro2 (che sono solo il 5%), contribuendo così da soli ad oltre 1/5 delle PM10 della città. Quasi 3 su 10 invece sono in regola con la direttiva europea Euro1. Così, nonostante questo genere di veicoli rappresentino solo il 12% dei veicoli circolanti, essi emettono il 25% delle PM10 prodotte nella capitale. Quasi 40 milligrammi di particolato ogni chilometro percorso! I dati forniti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Lombardia indicano che i ciclomotori Euro0 (immatricolati prima del giugno 1999) producono 217 milligrammi di polveri sottili a chilometro, quelli Euro1 (immatricolati tra giugno 1999 e giugno 2002), come detto, una quarantina di mg e infine gli Euro2 con emissioni di circa 14 mg a chilometro. Se gran parte dell’inquinamento è colpa dei motorini, non si capisce allora perché vengono esclusi dai provvedimenti sulle targhe alterne o perché possono entrare nella zona a traffico limitato di Firenze, con uno stop di appena 4 ore contro le 12 delle auto. A Vicenza, poi, la prima città italiana a superare il limite di 35 giorni all’anno per il livello delle polveri sottili, i motorini in circolazione sono pochi.
Camion e furgoni. Questi veicoli addetti al trasporto delle merci o usati per l’esecuzione di lavori sono tra i mezzi più inquinanti. A Milano 68 mila veicoli diesel Euro0 producono 1/3 dell’intero inquinamento urbano. A Roma i veicoli merci sono 125.000 (corrispondono al 5% del totale nazionale) e, pur essendo solo il 5% dei veicoli circolanti, hanno il primato delle emissioni di particolato, contribuendo per il 47% all’aria mefitica (se si somma il contributo dei motorini si raggiungono i 3/4 di tutte le emissioni). Il parco merci della capitale (49 furgoni ogni 1000 abitanti, la media più alta d’Italia) è così composto: 42.600 sono Euro0, 22.600 Euro1, 33.400 Euro2 e 26.400 Euro3 (L. Garrone, 2005).
Tutto questo complesso parco macchine si concentra in prossimità dei centri urbani. Il 63,6% del traffico automobilistico si svolge in un raggio di 5 km dal centro delle città e un altro 18,9% entro i 10 km. Se dunque uno svecchiamento del parco veicoli sarebbe senz’altro un fattore positivo (secondo alcuni dati dimezzerebbe le PM10), il problema smog si sradicherebbe solo convincendo i cittadini a scegliere mezzi di trasporto pubblici o collettivi rispetto a quelli privati, spesso sotto utilizzati (1 passeggero a veicolo). Ma in un quadro caratterizzato dall’assenza di risorse disponibili per aumentare e migliorare l’offerta di trasporto collettivo, diventa sempre più difficile per le amministrazioni comunali convincere le persone a rinunciare al proprio mezzo per spostarsi in città. Con il risultato che le strade sono congestionate da auto e motorini e i livelli di inquinamento crescono in maniera esponenziale (G. Pogliotti, 2005).
C’è anche da dire che finché – come succede purtroppo da alcuni anni, grazie ad una legge dello Stato – gli autotrasportatori, mezzi pubblici compresi, usufruiscono di una riduzione del 50% sul prezzo del gasolio, le conseguenze sulle scelte dei privati, delle amministrazioni e degli enti pubblici sono quelle che sono….

 


…E quelle degli impianti di riscaldamento.

A inquinare l’aria cittadina non è solo ciò che esce dai tubi di scappamento di auto e moto: il riscaldamento degli edifici dà un contributo importante. Secondo stime di Legambiente esso riversa nell’aria ogni anno circa 380.000 tonnellate di sostanze inquinanti come ossidi di azoto e monossido di carbonio.
«Le emissioni da riscaldamento pesano in maniera variabile dal 26% per le città del Nord – scrive il rapporto APAT – all’8% per quelle del Sud» (a Roma, secondo questi dati, contribuirebbe per il 16% all’inquinamento) (APAT, 2004). Nei mesi freddi il peso degli impianti di riscaldamento è ben diverso, visto che a Milano o Torino la presenza di polveri impalpabili nell’aria raddoppia fra dicembre e marzo. Secondo l’Agenzia milanese mobilità e ambiente, le 17.000 caldaie di riscaldamento a gasolio e olio combustibile rappresentano 1/3 delle polveri sottili respirate dai cittadini.
Un passo decisivo è incentivare l’abbandono delle caldaie alimentate a carbone, a olio combustibile e a gasolio per passare a quelle a gas e a metano. O magari al teleriscaldamento (come sperimentato su larga scala a Brescia). Altra strategia è quella di puntare sull’isolamento termico, migliorando cioè la protezione termica degli edifici (coibentazione): gli esperti calcolano che il 75% dell’energia consumata per il riscaldamento domestico viene sprecata e che in realtà solo il 25% sarebbe sufficiente per mantenere un buon comfort all’interno delle abitazioni.


I rischi degli amministratori…

Da gennaio di quest’anno sono entrati in vigore i limiti imposti da una direttiva europea del 1999 (recepita in Italia con un decreto del 2002) sulle emissioni di veleni nell’aria. Protagoniste delle nuove regole, insieme al monossido di carbonio, l’anidride solforosa e l’ozono, sono le polveri sottili. La densità delle famigerate PM10, le polveri sottili prodotte per il 60-70% dal traffico dei veicoli, non può oltrepassare il valore di 50 microgrammi per metro cubo d’aria per più di 35 giorni l’anno. A poco più di un mese dall’inizio del 2005 avevano già superato quota 35 Padova, Vicenza e Verona, e ci sono vicine Milano, Torino, Rovigo, Treviso, Venezia, Bologna, Firenze. Hanno ancora più di 10 giorni a disposizione Roma, Napoli, Palermo. Nel 2010, però, i limiti si abbasseranno ancora: per le PM10, la soglia di 50 microgrammi non potrà essere oltrepassata per più di sette giorni l’anno ed entreranno in vigore limiti più restrittivi per il biossido di azoto, altro inquinante prodotto in larga parte dal traffico, e l’ozono. La norma impone ai sindaci, superato il limite dei 35 giorni, di adottare interventi che dovrebbero garantire il miglioramento della qualità dell’aria, senza però stabilire nel dettaglio quali azioni spettano alle amministrazioni locali che superano il limite.
Lo spirito del provvedimento è dunque quello di evitare l’inerzia di fronte al pericolo per la salute, anche se spesso i provvedimenti adottati sono all’insegna del borbonico “facimmo ammuina”, vale a dire: facciamo vedere di far qualcosa, anche se sappiamo che incide ben poco sulla limitazione dell’inquinamento. Nessun amministratore locale può o vuole imporre un provvedimento di blocco totale della circolazione (fino a dicembre 2005!), che comporterebbe costi insostenibili (anche sul piano elettorale). Ma i sindaci sanno che rischiano grosso: anche se la norma europea non prevede sanzioni specifiche, qualche giudice scrupoloso potrebbe contestare loro l’omissione di atti d’ufficio o qualche reato ad hoc, come lesioni colpose. L’Unione europea eserciterebbe il diritto di attuare una procedura di infrazione con la “messa in mora” dello Stato: si tratta di un iter il cui esito finale potrebbe essere una condanna o il ricorso a una seconda procedura di infrazione con il pagamento di una multa.

 

…E quelli dei cittadini.

Anche se nello scorso decennio tutte le principali emissioni sono diminuite di quasi 1/3, grazie a diversi progressi tecnologici, l’allarme inquinamento non è stato ritirato. Nessun miglioramento nella qualità delle emissioni, infatti, è in grado di controbilanciare il loro continuo aumento e diversificazione.
L’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro ha rilevato, per chi vive in città, un aumento del rischio di contrarre un tumore ai polmoni pari al 20-40% a causa degli inquinanti atmosferici. E per i bambini che vivono in aree trafficate (5000 veicoli al giorno) il rischio di ammalarsi di leucemia è del 270% in più rispetto a quelli che vivono in zone più tranquille (500 veicoli al giorno). I primi lamentano anche un’incidenza di malattie respiratorie del 20% in più degli altri (F. Fiorentino, 2002).
L’incremento del traffico causa almeno 4000 decessi in più ogni anno nelle grandi città italiane. È il risultato del Misa-2, uno studio italiano sugli effetti a breve termine degli inquinanti atmosferici realizzato da un pool di esperti che ha analizzato le cause dei decessi e dei ricoveri ospedalieri avvenuti nel periodo 1996-2002 in 15 città campione (Bologna, Catania, Firenze, Genova, Mestre-Venezia, Milano, Napoli, Palermo, Pisa, Ravenna, Roma, Taranto, Torino, Trieste, Verona). Secondo i dati di questo studio il biossido di azoto ha provocato la morte di 2000 persone, il monossido di carbonio 1900, le polveri sottili circa 900 (M. Gasperetti, 2004). Secondo altri dati l’inquinamento atmosferico provoca ogni anno a Roma la morte di 600 cittadini e genera malattie gravissime in particolare per bambini e anziani. L’asma pediatrica (e soprattutto le sue forme più gravi) sono sempre più diffuse: dal 2001 al 2002 i bimbi asmatici sono aumentati del 62,8% e dal 2002 al 2003 l’aumento ha raggiunto l’88,8% (A. Cantani, 2005)
Meno di un mese fa l’Unione Europea aveva appunto diffuso un suo preoccupato e preoccupante studio sull’incidenza dell’inquinamento sui tassi di mortalità del Continente. Secondo la ricerca, lo smog accorcia la vita degli europei in media di 8,7 mesi e circa 310 mila cittadini dell’UE muoiono ogni anno per le conseguenze dell’inquinamento atmosferico.
Nella triste classifica dei decessi per inquinamento, l’Italia, con le sue 39 mila vittime annuali, è al secondo posto dietro alla Germania. Poi ci sono la Francia e la Gran Bretagna. Il Lussemburgo, con la sua piccola popolazione, è all’ultimo posto con 282 morti. I cittadini europei più colpiti dallo smog sono i belgi, a cui l’inquinamento può ridurre la vita di 13,6 mesi. La nazione più salubre è la Finlandia, con una media di 3,1 mesi in meno.
L’indagine europea, tra le principali cause di decesso non faceva però riferimento ai tumori, bensì ai rischi di attacchi cardiaci (confermati anche da un’altra ricerca scientifica pubblicata dall’autorevole The New England Journal of Medicine dell’ultima settimana di ottobre 2004) collegati alla presenza nell’aria delle nostre città delle famigerate polveri sottili. Più del 90% dei morti da smog è causato, spiega l’indagine UE, dalle polveri sottili che possono provocare attacchi cardiaci e che sono emesse dai gas di scarico di auto e ciclomotori (in particolare dai motori diesel), dalle industrie e dal riscaldamento domestico. Le altre morti sono dovute a malattie respiratorie causate dall’ozono.
Il rapporto della Commissione europea, che è stato inviato ai governi dell’Unione, alle industrie e ai gruppi di pressione, è il primo tentativo di affrontare il problema a livello continentale.

Quali prospettive per le città?

A Basilea (Svizzera) è in corso una sperimentazione che punta a ridurre i consumi energetici della città passando da 6.000 (il consumo energetico medio in Europa, in USA è 10.000) a 2.000 Watt al giorno per ogni persona (senza tornare all’età della pietra, beninteso). Il problema è complesso e comporta sia un miglioramento dell’efficienza della tecnologia, sia la consapevolezza della gente. Anche se, si sa, la Svizzera è… lontana, qualcosina anche da noi si potrebbe cominciare a fare.
Riscaldamento domestico. A Brescia, grazie al termovalorizzatore dei rifiuti urbani, due case su tre sono teleriscaldate, una su tre usa il metano, mentre il gasolio è ridotto ormai a un’utilizzazione marginale. Altrettanto avviene a Ferrara, dove si usa il metano nel 99% della rete. Eppure, entrambe le città registrano livelli di smog superiori alla media. Ecco un’altra conferma, secondo gli ambientalisti, che il nocciolo duro del problema sta nella riduzione del traffico automobilistico privato. Comunque anche abbassare di un paio di gradi la temperatura di edifici pubblici e privati comporterebbe una consistente riduzione dell’inquinamento dell’aria.
Corsie preferenziali. Dalle proteste alle proposte, qual è allora la ricetta di Legambiente contro lo smog? Può anche servire l’aumento dell’accisa sulla benzina di tre centesimi al litro, come propone il ministro Matteoli, per ricavarne fondi da destinare ai piani strutturali. Ma il rincaro della benzina, come dimostrano anche gli effetti dell’escalation petrolifera, non è un disincentivo sufficiente all’uso dell’automobile. Il problema resta quello di reperire e dirottare risorse a favore del trasporto pubblico, finanziato per il 33% dai biglietti e dagli abbonamenti, mentre il resto è a carico delle Regioni e dei Comuni. Fino a che gli autobus viaggiano a una media di 16 chilometri l’ora, evidentemente c’è poco da sperare: basterebbe aumentare con poca spesa le corsie preferenziali (al momento appena il 4,1% di spazi urbani sono riservati alle corsie preferenziali) per incrementare di conseguenza la velocità dei mezzi, la loro efficienza e la loro puntualità. A Roma, per esempio, dove gli autobus viaggiano a 13,5 chilometri l’ora, portare questa media a 15 sarebbe come aumentare del 10% il parco circolante. Occorre cambiare i bus che sono quasi sempre a gasolio, metterli in grado di far concorrenza all’auto alzando la loro velocità media che è di 16 chilometri l’ora (2 in meno che nel 2001), imporre vere corsie preferenziali che non esistono in 35 capoluoghi su 103 e coprono quasi ovunque (violate) meno dell’1% della rete. A Parigi è partito il progetto che in pochi anni porterà a realizzare 400 km di strade riservate esclusivamente agli autobus. Investendo sulla mobilità pubblica di superficie si ottengono due vantaggi: si sottrae spazio alle auto e quindi si abbatte l’inquinamento e si ricorre ad un sistema più flessibile.
Piste ciclabili. Molti comuni italiani, Milano in testa, hanno uffici per la mobilità ciclabile, cui chiedere informazioni o interventi. Per informazioni vedere anche il sito dell’Associazione italiana per la promozione dell’uso della bicicletta (www.fiab-onlus.it) che promuove la realizzazione di più percorsi protetti, zone a velocità limitata e un’apposita segnaletica: tutti modi per facilitare gli spostamenti in bicicletta a discapito dell’auto. Scelte già in atto in alcune città di medie dimensioni, come Torino e Bologna, e di tradizione consolidata come Ferrara e Reggio Emilia, che hanno circa 50 km di piste ciclabili ciascuna. Per non parlare del Nord Europa, dove l’uso della bicicletta è abituale: non solo in Olanda (dove ci sono città dove il 50% dei trasporti è fatto in bicicletta), ma anche in Francia, dove la sola Parigi ha circa 500 km di percorsi ad hoc. Parigi ha varato recentemente un piano anti-traffico che prevede la costruzione di altre 300 km di piste ciclabili.
Pedonalizzazione del centro storico. Sono ormai in molti, tra residenti e commercianti, ad invocare una pedonalizzazione dei centri storici che “scacci via” le macchine da aree di alto pregio artistico. Facendo il caso di Roma, la zona a traffico limitato è molto grande (tolte le case, 1,2 milioni di metri quadri che però per più di 9/10 sono per le macchine e meno di 1/10 per il verde e per i pedoni). Finché lo spazio per le auto non si riduce a vantaggio di chi vuole vivere in città, invece di limitarsi ad attraversarla, la situazione non migliorerà.
Pedaggio. Secondo alcuni esperti è necessario razionare l’accesso ai centri storici tramite un pedaggio se vogliamo garantirne l’attrattività commerciale, evitarne lo spopolamento, fornire condizioni accettabili per organizzare l’approvvigionamento delle merci, preservare e se possibile aumentare la vivibilità e quindi il valore del tessuto sociale delle città. Oggi esistono strumenti tecnici che permettono di selezionare categorie di utenza e differenziare tempi e modalità tariffarie cui applicare un pedaggio per accedere ai centri storici o alla zone dichiarate, ai sensi del Codice della strada, come zone a traffico limitato. Già oggi 32 città sono dotate o si stanno attrezzando con sistemi che permettono di identificare i veicoli che transitano sotto gli appositi “varchi elettronici” discriminando chi non ha diritto di accesso (A. Croce, 2005). Poi, c’è la soluzione del “road pricing”, il pedaggio per l’ingresso nelle città. Si è visto che funziona soprattutto in città “lineari” come Singapore o con poche porte d’ingresso come Oslo o Bergen, dove sono in funzione dei veri e propri caselli di pedaggio. Nei centri italiani (che per la loro storia hanno numerose vie d’accesso e un tessuto viario complesso) il ticket d’entrata è di più difficile realizzazione. A Londra, però, la formula introdotta dal sindaco laburista Ken Livingstone ha funzionato: sotto l’occhio elettronico delle telecamere che registrano il numero di targa, per entrare nella cosiddetta “congestion charge zone” si pagano cinque sterline (8 euro) a transito, anche via Sms, entro 24 ore. Il traffico si è ridotto del 30%, gli introiti servono per finanziare trasporto pubblico e parcheggi e ora stanno pensando di allargare l’area a pagamento. Per Roma, Legambiente propone 2 euro per il grande raccordo anulare e 5 euro per le aree intorno al centro. Una misura del genere, secondo gli esperti dell’associazione, potrebbe ridurre del 30% il traffico nel centro della capitale e aumentare del 20% la velocità dei bus, con un incasso di circa 200 milioni di euro all’anno per il Comune.
Targhe alterne. Il blocco del traffico di domenica, quando la circolazione si riduce a meno di un decimo rispetto ai giorni feriali, può avere un valore mediatico ed educativo, ma in concreto serve a poco. Meglio le targhe alterne, anche se non sono una misura strutturale: bisogna sapere, però, che al massimo riducono il traffico del 10-15%, anche perché chi è di turno quel giorno tende a girare di più in auto.
Trasporto su rotaia. «Il ritardo infrastrutturale per metropolitane e ferrovie, mezzi che non inquinano ed hanno capacità enormi di trasporto, è pauroso»: è quanto afferma il presidente dell’ASSTRA, l’associazione delle aziende di trasporto pubblico locale (G. Pogliotti, 2005a). Basti pensare che mentre le strade dal 1969 al 2001 sono passate da 285.000 a 450.000 km, le ferrovie sono scese nello stesso lasso di tempo da 20.300 km a soli 16.000 (F. Pratesi, 2005a). Molte grandi città continuano a progettare grandi opere per favorire il trasporto su gomma e, come detto, pochi interventi riguardano il potenziamento delle ferrovie, delle metropolitane e delle linee filotranviarie. Grandi città come Roma, dopo aver smantellato circa 30 anni fa le loro reti di filobus operative già da 30 anni (quando erano all’avanguardia mondiale nel campo della trazione elettrica), stanno riconsiderando i vantaggi di questo tipo di trasporto pubblico.
Lavaggio delle strade. Troppa polvere? La risposta è usare l’acqua. Non è una tecnologia sofisticata eppure il sistema funziona da sempre, tant’è vero che dopo un temporale sulla città le famigerate microparticelle PM10 in sospensione nell’aria quasi spariscono. Non si tratta naturalmente di provocare temporali artificiali grazie all’uso di inseminazione (omologa o eterologa? Occorre un referendum…) delle nuvole, ma di pulire le strade con idranti a bassa pressione, come si usa in molte capitali europee spesso meno dotate di acqua delle nostre città.
Biofissaggio delle polveri sottili. Ad Alessandria è in corso una sperimentazione che prevede l’uso di un prodotto chimico, nebulizzato sulle strade, in grado di fissare al suolo le particelle PM10. Il primo esperimento in Italia su un tratto urbano ad alto traffico è stato fatto a Segrate (Milano) con ottimi risultati.
Vernici antismog. Applicate sull’esterno degli edifici, consentono di ottenere un “eco-rivestimento” (a base di biossido di titanio) che, grazie all’azione dei raggi ultravioletti del sole, scompone polveri sottili, benzene e aromatici policondensati convertendoli in sostanze inerti e innocue.
Piazzole e piattaforme logistiche per lo scarico delle merci. Uno dei problemi vitali delle città è la disponibilità di piazzole per la sosta dei furgoni e la movimentazione delle merci, specialmente nel centro storico. Andrebbero così programmati dei parcheggi di scambio per le merci, da dove poi smistare i prodotti con veicoli più piccoli e meno inquinanti (a Padova, sono già in atto sperimentazioni in questo senso con veicoli alimentati a metano su cui trasbordare le merci).
Parcheggi periferici per bus navetta di collegamento tra la periferia e il centro delle città.


Quali per le auto?

Di fronte al rincaro dei carburanti, il genio nascosto nell’italiano medio (che sa declinare a meraviglia l’arte di arrangiarsi) è partito alla scoperta dei carburanti alternativi. Improvvisamente gli scaffali degli oli di semi negli hard discount si svuotavano e le taniche di olio di colza negli ipermercati sparivano. Ma cosa c’è di vero?
Carburanti a basse emissioni. Le biomasse potrebbero massicciamente sostituire nei prossimi anni i combustibili fossili per fornire energia: lo afferma l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in un rapporto recentemente presentato a Parigi. Nel documento si sostiene che in un periodo di instabilità dei prezzi petroliferi, i costi dell’energia prodotta a partire da scorie animali e vegetali potrebbero diventare più competitivi e si sollecita la costruzione di bioraffinerie in grado di utilizzare non solo i cereali, oleaginose e zucchero, ma anche riciclare vari sottoprodotti dell’agricoltura. Nel rapporto si sottolinea anche che per utilizzare il bioetanolo (prodotto ricavato da zuccheri e cereali) sono sufficienti “leggere modifiche” dei motori attuali (F. Ghini, 2004). Secondo alcuni esperti molto dipende dal motore della vettura e dalla qualità della componentistica, come la pompa del carburante: i meccanici più esperti asseriscono che le pompe Bosch e Marelli non hanno difficoltà a lavorare con l’olio di semi al posto del gasolio. Inoltre i motori meno raffinati e di minori esigenze, con tolleranze più comode, digeriscono senza fatica l’olio di colza. Però per i lunghi chilometraggi, per chi sta attento al motore, per le automobili più esigenti e quando c’è freddo ci può essere un’usura eccessiva del motore e si possono formare incrostazioni cerose (J. Giliberto, 2005). Per l’ambiente il risultato è sicuro (ma sarà veramente così?): meno inquinamento da particolato nelle città, meno anidride carbonica. Solo fragranze leggere e persistenti di frittura mista (se i veicoli sono alimentati a olio di semi al posto del gasolio) oppure odor di grappa ai semafori (se al posto della benzina si usa alcol).
Ma entriamo nel dettaglio dei diversi carburanti alternativi al petrolio:
Alcol. Ottenuto da fermentazione o per sintesi chimica, ha un numero di ottano più alto della benzina. L’alcol a 100° può essere usato puro o miscelato con la benzina. In miscela fino al 30% non serve alcun aggiustamento al motore. Il denaturato (95°) contiene il 5% di acqua che non consente la miscelazione con la benzina e può essere usato solo puro. In caso di guasto, in genere in Italia non viene riconosciuta la garanzia.
Oli. Gli oli (di vinaccioli, colza, girasole, semi vari) possono essere usati in sostituzione del gasolio o in miscela, ma tendono a formare depositi di glicerine e altri composti. In caso di guasto, in genere in Italia non viene riconosciuta la garanzia.
Biodiesel. È un combustibile ottenuto con un semplice processo chimico di esterificazione degli oli di semi (di solito colza o girasole) che toglie la glicerina e gli altri composti pericolosi per il motore. È un carburante riconosciuto e in caso di guasto la garanzia è valida. È privo di zolfo e di idrocarburi aromatici e ha ridotte emissioni di percolato. Il principale ostacolo alla sua diffusione è dato dal fatto che sono necessarie enormi colture per produrne su scala industriale (1 ettaro per ogni tonnellata di biodiesel). Un progetto ideato dalla Coldiretti di Rieti punta a lanciare in questa provincia l’utilizzo del biodiesel, carburante derivato da oli vegetali di girasole e colza, biodegradabile fino all’89% e utilizzabile in autotrazione e come combustibile per riscaldamento. Un anno fa la Germania, con il plauso di Bruxelles, ha tolto ogni tassa petrolifera sul gasolio vegetale. La Francia ha incrementato di 1/3 il contingente agevolato. Gli USA hanno varato un piano federale di incentivi alla produzione. In tutta risposta l’Italia – piena di smog e senza petrolio – con l’articolo 527 della Finanziaria ha scelto di punire se stessa: al contrario del resto d’Europa, il Fisco italiano ha ridotto quest’anno da 300 mila ad appena 200 mila tonnellate (già esaurite!) la produzione nazionale esentasse.
Gecam. Il Gecam (detto “gasolio bianco” per la particolare colorazione simile al latte e per l’elevata ecocompatibilità) è un’emulsione di gasolio in acqua. Riduce le emissioni del 40% e può essere utilizzato da qualsiasi motore diesel, ma non è adatto per motori spinti.
Gpl. L’uso diffuso del Gpl per gli autoveicoli potrebbe portare a enormi risparmi nei costi sociali del nostro paese. Già oggi circolano in Italia circa 1,1 milioni di auto a Gpl. Secondo uno studio di Euromobility, patrocinato dal Ministero dell’Ambiente, il costo sociale dell’inquinamento atmosferico (circa l’1,7% del prodotto interno lordo) con una riduzione delle emissioni del 2% circa si ridurrebbe di 400 milioni di euro. Ma con la sostituzione dei veicoli diesel con veicoli Gpl i miglioramenti sarebbero ancora più rilevanti.
Metano. Altro combustibile “pulito” che però sconta una diffusione rarefatta a livello nazionale (circa 470 distributori in tutta Italia, con una netta prevalenza al Centro-Nord). Malgrado ciò sono circa 400 mila le auto alimentate a metano in Italia. Molte case automobilistiche hanno a listino modelli alimentati a benzina-metano o solo metano e quasi tutte le auto lo possono usare con piccole modifiche.
Nuovi motori. Già dal 2001 è in vigore lo standard Euro3, più restrittivo rispetto all’Euro1 (la normativa che impose di fatto l’adozione del catalizzatore) e alla sua evoluzione Euro2, mentre dal 1° gennaio 2006 lo standard di riferimento sarà costituito dalla normativa Euro4, lo standard europeo più restrittivo in termini di emissioni inquinanti (secondo alcune stime, in Italia sono già 1,5 milioni le auto circolanti in regola con questi nuovi limiti).
Filtri per il particolato. Sono stati sviluppati filtri che consentono ai vecchi autobus (a benzina e diesel) di abbattere l’emissione delle polveri ultrasottili. Sperimentazioni avviate tre anni fa a Ferrara hanno prodotto un dispositivo in cui i gas di scarico vengono avviati a un apparecchio scambiatore che li raffredda, prima di passare per il filtro, fatto di carta speciale, che assorbe le polveri ultrasottili e gli idrocarburi aromatici più pericolosi per l’organismo. Anche Roma sperimenterà l’uso di questi filtri su 100 autobus.
Auto e ciclomotori elettrici (emissioni zero). Forse non tutti sanno che l’Italia, con circa 100.000 mezzi in circolazione, è il paese con il maggior numero di veicoli elettrici in Europa! Silenziosi, parzialmente riciclabili, non inquinanti, decine di chilometri di autonomia, tempi per la ricarica accettabili, batterie con periodi di vita di oltre 10 anni. Sono oramai in commercio auto “ibride” (dotate di un motore a benzina combinato con un motore elettrico alimentato da batterie che si autoricaricano durante la “marcia a benzina”) con consumi simili ad un diesel, prestazioni eccellenti e costi di gestione da “city car” (20 km/l in città). Un’auto così evita di immettere nell’atmosfera più di 100 grammi di anidride carbonica a km, fa meno rumore e il 90% dei suoi componenti sono riciclabili. Certo, il costo è ancora elevato (circa 23.000 euro)… Un taxi elettrico, secondo dati del Comune di Roma, consente di ridurre i costi di gestione e di manutenzione rispetto ad un auto tradizionale. Sono previste anche facilitazioni per quel che riguarda il leasing rispetto ad un taxi tradizionale. Purtroppo il costo per l’acquisto di un taxi elettrico è di circa 59 mila euro (Iva esclusa), circa 40 mila in più di un analogo modello tradizionale. Ma grazie ai contributi del Ministero dell’Ambiente e a quelli regionali, i costi tra i due tipi di taxi sono praticamente equivalenti.
Biciclette a pedalata assistita. Oltre ai modelli tradizionali arriva anche la bicicletta a idrogeno che utilizza la tecnologia fuel-cell e al posto delle emissioni inquinanti produce solo piccole gocce d’acqua. Si chiama Cameleo Fuel Cell ed è una bicicletta elettrica a pedalata assistita, in grado di produrre il 70% dell’energia necessaria per il movimento, su cui è stata montata una cella combustibile a idrogeno: la bici è capace di percorrere un centinaio di km con un pieno di idrogeno. Il prodotto di scarto del motore altro non è se non vapore acqueo. Prezzo previsto: intorno ai 3000 euro.
Autobus a basso impatto ambientale. I bus incidono in minima parte sull’inquinamento atmosferico urbano per due motivi: hanno un livello molto basso di consumo di energia per passeggero/chilometro e il loro numero è limitatissimo (su oltre 43 milioni di veicoli circolanti in Italia, solo 35 mila sono bus adibiti al trasporto pubblico locale: a Roma ci sono 2 milioni di auto e 2000 bus). Secondo l’UITP, per quanto riguarda il PM10 l’incidenza del trasporto pubblico è del 7,7%; per il CO2 del 5%; per il monossido di carbonio l’8% (G. Pogliotti, 2005). Con l’acquisto di 470 autobus urbani alimentati a metano, la città di Roma ha avviato il proprio programma di rinnovamento del trasporto pubblico: il Comune prevede di arrivare a 800 mezzi a gas in 4 anni, di destinare 1/3 della flotta al trasporto elettrico (bus, tram e filobus) e il restante terzo ad autobus equipaggiati con motori diesel Euro4 ed Euro5. Intanto, dal 25 febbraio è in circolazione per il Lazio il primo autobus ad idrogeno del Cotral (azienda pubblica per il trasporto extraurbano regionale).

 

Quali per gli esseri umani?

Oggi la tecnologia dell’informazione rende accessibili sistemi di mobilità flessibile, fondati sulla condivisione del mezzo (car-sharing, taxi collettivo, trasporto a domanda; ma soprattutto trasporto pubblico di superficie su strade liberate dal traffico privato) per spostarci in città, ma anche fuori, in vacanza. Sistemi che sono più economici, più comodi, più veloci, più sani dell’automobile privata: sia per noi che per l’ambiente. E, soprattutto, sistemi che restituiscono la città, oggi sotto sequestro da parte delle auto, agli umani, alla socialità estemporanea e all’incontro con chi è diverso da noi e che, chiusi nella nostra scatola di latta, non incontreremo mai, se non come lavavetri (G. Viale, 2005). In effetti secondo alcuni dati l’80% delle vetture presenti in una città, viaggia per non più di un’ora al giorno, trasportando in media 1,2 persone. Quanto alla velocità di crociera, quella media del traffico di Roma è di 18 km l’ora, che cala a 15 nell’area centrale, e tocca punte di parossistica lentezza (5 km/h) nell’ora di punta serale in molti quartieri romani (A. Mattone, 2002). Per il resto della giornata, le macchine stanno ferme (nei garage, nei parcheggi a pagamento… o sui marciapiedi) (G. Jacomella, 2005).
Orari differenziati. Per il momento interessano solo le scuole. Ma potrebbero essere estesi a fabbriche e uffici. In Italia capofila dell’iniziativa è Milano, che ha disposto lo slittamento dell’inizio delle lezioni nelle scuole medie e superiori alle 10 del mattino.
Car sharing. A Roma, presso il terzo Municipio, ha preso il via un esperimento di car sharing, il servizio di mobilità flessibile al trasporto pubblico locale e alternativo all’auto privata. Il servizio consentirà agli utenti di condividere una flotta di automobili pagandone solo l’uso effettivo, con un “tot” all’ora e a chilometro (ma con il vantaggio, non trascurabile, di non dover pagare il bollo, l’assicurazione e il carburante e di avere ben 7 parcheggi assicurati). In Italia il car sharing, arrivato nel 2000, è diffuso in 6 città (Bologna, Venezia, Torino, Rimini, Modena e Genova), ha circa 3000 iscritti e circa 140 automobili che godono del privilegio di avere accesso alle zone a traffico limitato, parcheggi gratuiti, accesso libero alle corsie preferenziali e alle vie riservate ai mezzi pubblici. Secondo alcuni calcoli, chi in auto fa meno di 12 mila km l’anno, con il car sharing risparmia migliaia di euro e, visto l’andazzo, ne guadagna in qualità della vita.
Car pooling. Un’altra strategia per ridurre il traffico è il car pooling: ci si accorda con i vicini o colleghi che percorrono le stesse strade in orari compatibili, per usare insieme un’unica vettura.
Telelavoro. Ancora di più il telelavoro potrebbe consentire a città basate essenzialmente sul settore terziario, sui servizi e sulla pubblica amministrazione (pensiamo a Roma) di eliminare il flusso di pendolari che potrebbero tranquillamente lavorare da casa, risparmiando soldi e tempo e migliorando la propria qualità di vita (oltre a quella dei cittadini “indigeni”).


Quali per le leggi?

Lo smog “affascina e intorpidisce”. Non conosciamo con esattezza la composizione chimica della melma che respiriamo al posto dell’aria. Neppure sappiamo valutare tutti gli effetti sulla salute umana. Sappiamo però da molti anni che oltre un certo limite non possiamo permetterci di respirarla. Nel 2008 il limite diventerà ancora più ristretto. Assisteremo allora a invenzioni ancor più strampalate di quelle escogitate in questi anni. Stratagemmi inutili e dannosi. Prese in giro clamorose. Dalle targhe pari nei giorni dispari alle auto scure nei giorni chiari. E viceversa. (P.L. Cervellati, 2005).
C’è chi dice che l’Unione europea fissa limiti esagerati e una volta si respirava peggio, tanto che in piazza Duomo a Milano nel dicembre ‘71, prima che si mettessero del tutto in riga fabbriche, stufe a carbone e vecchie marmitte, si misurarono in media 410 microgrammi di pulviscolo (con punte oltre i mille) al cui confronto i 50 microgrammi di PM10, tollerati oggi non più di 35 giorni l’anno e già da molti superati, sembrano sbuffi di sigaretta. È vero. Non c’erano allora gli studi dell’OMS sulle polveri fini che uccidono nelle prime otto città italiane 10 persone al giorno e causano 31 mila casi di bronchite nei bambini l’anno, ma è vero: era peggio (G.A. Stella, 2005). E allora?
Qualcuno potrebbe pensare che basti tappare i tubi di scarico delle macchine… oppure dotarli di un filtro, in tutto simile agli aspirapolvere con filtro ad acqua, per ottenere un ragionevole abbattimento degli inquinanti… alla fonte. C’è chi consiglia di fissare un giorno a settimana in cui tutta la popolazione si concentri ad invocare, anche con adeguate danze propiziatorie, l’arrivo della pioggia e del vento in grado di ripulire l’aria e di diluire le concentrazioni delle polveri nell’aria urbana. Anche un blocco del respiro, dalle ore 15 alle 18, a giorni alterni potrebbe contribuire a questo scopo…
Una via più “praticabile” potrebbe essere quella di non dotarsi di centraline di monitoraggio. Molti capoluoghi di provincia ne sono attualmente sprovviste (secondo Legambiente, il 30% delle città medio-piccole capoluogo di provincia non ha centraline per misurare il PM10). Quanto ai comuni poi… non si può pretendere che mettano una centralina per ognuno degli oltre 8100 comuni italiani. Anche perché costano almeno 250 mila euro l’una e ne servono 30.000 all’anno per la manutenzione. Dunque meglio non averle. Del resto si sa: “chi cerca, trova”. Quindi… se non vuoi trovare dati spiacevoli, non cercarli! Un’altra strada potrebbe essere rimuovere le centraline e spostarle in aree meno esposte all’inquinamento: si limiterebbero così i picchi più alti a beneficio della media (statistica) dei dati di sforamento. Il Ministro dell’Ambiente suggerisce che andrebbero posizionate in maniera più corretta: «Spesso vengono piazzate vicino ai semafori o alle fermate degli autobus, dove le auto sono sempre ferme in coda. E così i valori finiscono per essere più alti rispetto a quelli reali». In alcuni casi l’aria viene ancora prelevata all’altezza dei tubi di scappamento e non ad altezza d’uomo, dove la concentrazione delle polveri è più bassa e da dove effettivamente entra nei nostri polmoni (L. Salvia, 2005)… Sic. Oppure si potrebbero innalzare le soglie stabilite dalla legge. Come si ricorderà per l’inquinamento di atrazina di molti pozzi italiani, il Ministero della Sanità di allora pensò bene di modificare i limiti imposti dalla legge, rendendo così potabili le acque inquinate. Un miracolo dell’ingegno italiano!
Forse sarebbe più serio varare un piano di incentivi su larga scala che invogli utenti pubblici e privati ad acquistare un mezzo a basso impatto ambientale. Fino a 30 anni fa, nell’industria, i veicoli per la movimentazione delle merci erano dotati esclusivamente di motori termici. Ora il 99,5% è rappresentato da carrelli elettrici. Tutto questo è stato possibile perché c’è stata una legge che ne ha reso obbligatorio l’acquisto (oggi lo Stato contribuisce per il 60% all’acquisto di veicoli ecologici da parte degli enti pubblici, invece di obbligarli).


Concludendo…

Ma, al di là delle leggi che, come sappiamo bene, si possono applicare (per i “nemici”), interpretare (per gli “amici”) o gabbare (alla faccia di “tutti”… i divieti), resta il fatto che forse c’è qualcosa da rivedere nel nostro modo di vivere, che richiede un nuovo orientamento negli stili di produzione e consumo e di abitudini di vita. Il problema smog, come abbiamo visto, è solo un “sintomo” di una malattia più complessa del nostro vivere e non può essere lasciato solo alle decisioni dei politici, specialmente in questi tempi di elezioni.
Spesso si parla di mancanza di “volontà politica” per giustificare i ritardi nell’affrontare i grandi problemi di questo mondo (guerre, povertà, fame, malattie, ecc.). L’invivibilità delle nostre città è uno di questi: ma perché a questo malessere generalizzato non corrisponde un’assunzione di responsabilità personale da parte di ogni cittadino? Se i singoli iniziano a trovare strade diverse, è possibile che la situazioni migliori, a poco a poco e con lo sforzo di tutti.
L’alternativa è la rassegnazione di fronte alle targhe alterne, al blocco totale della circolazione. La prima cosa da combattere è la rassegnazione. Di fronte a questo impalpabile disastro ecologico che è l’inquinamento nelle grandi città, nessuno è innocente. Tutti (esclusi i bambini) hanno la loro parte di responsabilità. A partire dalle amministrazioni, certo, ma nessun comune cittadino può invocare l’assoluzione per non aver commesso il fatto. L’inquinamento ci riguarda tutti. E più di noi, riguarda i nostri figli. La battaglia contro lo smog si vince o si perde tutti insieme. Forse è giunta l’ora in cui i cittadini debbono smetterla di chiedersi cosa fanno i politici contro lo smog, e chiedersi invece cosa fanno loro per avere un’aria migliore. (M. Fortuna, 2005).
Un’organizzazione migliore del nostro spazio, del nostro tempo è possibile, ne siamo convinti. Le tecnologie utili ci sono e sono fatte per darci maggiore libertà: per liberare tempo (quanto tempo perdiamo nelle code e a cercare parcheggio?), per liberare spazi (per il gioco, per il verde, per il passeggiare, per le biciclette), per liberare denaro (i costi privati e sociali dell’auto sono pesantissimi), per liberare la nostra socialità (altrimenti relegata in una realtà virtuale).
In fondo anche l’automobile è stata creata per darci più libertà: purtroppo, oggi, dobbiamo constatare che ne siamo divenuti “schiavi”.


Bibliografia

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Mattone A. (2002): SOS traffico, un’auto per abitante. La Repubblica, 19 novembre 2002
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Pratesi F. (2005a): Non basta l’aspirina. Corriere della Sera, 10 febbraio 2005
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Viale G. (2005): L’addio alle auto forse ci salverà. La Repubblica, 15 febbraio 2005

 

POLVERI TOSSICHE

Polveri sottili (PM10): sono un insieme eterogeneo di particelle microscopiche solide e liquide (come carbonio, ferro e materiali organici) sospese nell’aria (le PM10 hanno un diametro inferiore a 1/100 di millimetro), capaci di entrare nel corpo umano attraverso il sistema respiratorio (possono raggiungere i bronchi e gli alveoli polmonari) rilasciando sostanze tossiche che irritano le vie respiratorie, alterano il sistema immunitario e incrementano le allergie.
Il 70% delle polveri sottili è prodotto dal traffico. Un altro 10-15%, nei mesi invernali, deriva dagli impianti di riscaldamento delle case. Le restanti particelle hanno origini naturali (ad esempio, sabbia dei deserti africani portata dal vento).
La normativa europea stabilisce che non devono superare il valore medio di 40 mg/metro3/anno e i 50 mg/metro3 di media giornaliera per più di 35 giorni l’anno.
A seconda del tipo di veicolo il quantitativo di PM10 varia:
• auto a benzina: 0,8 milligrammi di PM10 emessi per ogni chilometro percorso (siano motori Euro 1, Euro 2, Euro 3 oppure Euro 4);
• auto a gasolio: 30 milligrammi di PM10 emessi per ogni chilometro percorso (se motori Euro 4. Nel caso venga applicato un ulteriore filtro per il post-trattamento dei fumi, i milligrammi scendono a 10). Il dato sale a 48 per i diesel Euro 3, a 66 per quelli Euro 1 e 2, e a 195 nei motori Euro 0.
Oltre alle PM10 prodotte dai tubi di scappamento, le auto (siano a benzina o a gasolio) emettono 18 milligrammi di polveri sottili per ogni km percorso a causa dell’usura dei freni, della frizione, delle gomme e dell’asfalto.

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